Desirée Mariottini l’abbiamo conosciuta attraverso i dettagli – prima confusi, poi via via più cruenti – della sua ultima notte, quella tra giovedì 18 e venerdì 19 ottobre. Morta in una delle “baracche” di via dei Lucani 22, nel centralissimo quartiere San Lorenzo a Roma, stabili abbandonati dove si alternano senza fissa dimora e spacciatori della zona, questi ultimi perlopiù nordafricani. A un passo dalla San Lorenzo dove si esce per divertirsi e star fuori fino a tardi. Bisognerà aspettare l’autopsia, cinque giorni più tardi, per ricostruire almeno in parte la fine della sedicenne: Desirée è morta per overdose e sul suo corpo ci sono segni di violenza sessuale, compiuta probabilmente da più persone. Al ritrovamento del cadavere gli agenti non si sono subito accorti che il corpo era stato rivestito, mentre il medico legale ipotizzava si trattasse di una giovane donna tra i 25 e i 30 anni, forse senza tetto. O almeno questo è quello che hanno scritto molti giornali nelle prime ore, quando la storia di Desirée irrompe nel dibattito pubblico.
Quella di una giovane donna morta per overdose, in fondo, è “solo” cronaca tristemente ordinaria e sembra non avere le carte per sfondare il muro di indifferenza che di solito circonda i tossicodipendenti. Quelle sono cose che riguardano chi muore e le loro famiglie, com’era all’inizio del caso Stefano Cucchi, mica di tutti gli altri: cosa puoi aspettarti dai tossici, d’altronde, se non che prima o poi muoiano. Al contrario, quella dell’adolescente drogata, stuprata e uccisa da un gruppo di neri spacciatori è la storia, quella capace di catalizzare l’interesse di pubblico, stampa e istituzioni come nient’altro in Italia. Scrivono i giornali che i pm “saltano sulla sedia” quando leggono il referto dell’autopsia, così il fascicolo che racconta l’ultima notte di Desirée sale di piano e raggiunge il procuratore aggiunto Maria Monteleone e il sostituto Stefano Pizza. Si fanno interrogatori a tappeto e nella notte tra il 24 e il 25 ottobre si effettuano due fermi, seguiti a ruota da un altro la mattina dopo. Si tratta dei senegalesi irregolari Mamadou Gara, 27 anni, e Brian Minteh, 43 anni, mentre il terzo è Chima Alinno, nigeriano di 46 anni in possesso di un permesso soggiorno per motivi umanitari, scaduto il 13 marzo 2018. Tutti e tre hanno precedenti per spaccio di droga.
Sui social, intanto, è guerra. Scorrere l’hashtag #Desiree su Twitter o leggere i commenti agli articoli che la riguardano su Facebook è a suo modo è un’esperienza. Colpa dei governi che hanno favorito l’immigrazione clandestina, colpa dei giornali che parlano di “gruppo” e non specificano la nazionalità di chi ha compiuto l’orrendo delitto, colpa del degrado e del Comune, già che ci siamo, che vieta gli alcolici e non raccoglie la spazzatura. Dentro quell’hashtag e in quei commenti c’è qualsiasi cosa, dal sacrosanto sdegno agli inviti al silenzio, dai sostenitori di Matteo Salvini a quelli che invece lo contestano e lo chiamano sciacallo. Intanto di Desirée si spulcia tutto: i profili online e la storia familiare, attraverso il resoconto dei concittadini di Cisterna Latina, spesso indicati solo per nome. Come i residenti di San Lorenzo, ai quali si chiede di parlare del degrado del quartiere – sempre di quello, solo di quello – anche questi amici e conoscenti non meglio identificati confermano e annacquano quello che di Desirée pensiamo già, immaginiamo già, crediamo già. È andata alle baracche per recuperare un cellulare, no un i-Pad, aveva litigato con la madre, aveva problemi di droga, viveva con i nonni, era tossicodipendente, era ribelle, frequentava brutta gente, suo padre è uno spacciatore. Alessandra Ziniti su La Repubblica ricostruisce lucidamente una dinamica complessa di una famiglia con tante difficoltà, senza fronzoli né pietismi, mentre Fabrizio Caccia sul Corriere (lo stesso che aveva scritto un contestatissimo articolo su Pamela Mastropietro) ripiega sulla testimonianza dell’amica e scrive di un’adolescente timida, di un padre disperato, di “ragazzi di colore” che le hanno fatto provare le canne per la prima volta.
Ma Desirée non è un’hashtag, né un commento sotto un articolo di Facebook. La sua morte, tremenda, tocca tutti i nostri punti deboli. È successo anche in America qualche mese fa, quando Mollie Tibbett è stata violentata e uccisa da un immigrato irregolare mentre faceva running: persino Donald Trump aveva cavalcato l’indignazione del momento per annunciare nuove strette sull’immigrazione. Suo padre Rob ha dovuto chiedere che la smettessero di strumentalizzare la morte della figlia. È successo con Pamela Mastropietro, con la famiglia chiusa nel suo dolore che non ha mai rilasciato dichiarazioni pubbliche. Ed è successo con Desirée: un’altra storia di cui, probabilmente, non abbiamo capito niente, mentre pensavamo di sapere tutto.