Non bastava il “gender gap”, cioè il fatto che le donne siano pagate meno dei colleghi uomini, a parità di ruoli e mansioni. Anche in campo medico le differenze di genere pesano, soprattutto in termini di diagnosi di malattie che ancora oggi sono spesso considerate “maschili” e che vengono individuate con maggior ritardo nelle donne.
Le donne vivono di più ma peggio
Una ricerca dell’università di Copenhagen conferma che le donne vivono più a lungo (in media 4/5 anni) rispetto agli uomini, ma vivono “peggio”, sono meno curate e le diagnosi sono spesso tardive. Gli studiosi danesi hanno calcolato che in media i sintomi sono riconosciuti con due anni e mezzo di ritardo nella popolazione femminile rispetto a quella maschile. I dati più recenti dicono che le malattie cardiovascolari, ad esempio, nelle donne superano i tumori come causa di morte e il 40% dei decessi è dovuto a infarto o ictus. Eppure sono spesso sottovalutate. “Le malattie cardiovascolari sono un esempio emblematico. Anche se negli ultimi 30 anni la mortalità generale si è ridotta, la tendenza a una diminuzione nelle donne è meno pronunciata e proprio queste patologie rappresentano la prima causa di morte per il genere femminile” spiega Nicoletta Orthmann, responsabile medico-scientifico di ONDA, Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna. Per questo da tempo si invoca la cosiddetta medicina di genere, ossia percorsi di cura e soprattutto di diagnosi pensati specificamente per le pazienti donne.
Donne, malattie diagnosticate in ritardo: perché?
Perché le malattie sono spesso diagnosticate con più difficoltà o in ritardo nelle donne? “I motivi sono vari. Il primo ha a che fare con un retaggio culturale, che porta a pensare che le malattie cardiovascolari, ad esempio, colpiscano soprattutto gli uomini. È ciò che accade, al contrario, con l’osteoporosi, considerata erroneamente una malattia femminile” spiega Orthmann.
“Il secondo motivo è che i sintomi delle stesse patologie possono essere differenti tra uomini e donne. Il terzo ha una base biologica: la donne hanno un equilibrio ormonale differente e sono più difficili da studiare: basti pensare che le ricerche, anche su animali, sono condotte per lo più su topi maschi. Lo stesso vale per gli studi clinici su persone, perché i campioni maschili non presentano le stesse variabili ormonali e hanno un minor rischio di ricadute sulla fertilità, che invece la somministrazione di molecole o farmaci sulle donne potrebbe avere. I campioni femminili su cui testare medicinali o cure, inoltre, sono più difficili da trovare perché le donne hanno meno tempo a causa degli impegni sociali, familiari e lavorativi”.
I fattori, dunque, sono diversi. Il risultato è la conferma di quanto già sosteneva la cardiologa americana Bernardine Healy, che negli anni ’90 scrisse sul New England Journal of Medicine un editoriale dal titolo The Yentl Syndrome, in cui denunciava le sistematiche discriminazioni subite dalle pazienti donne sia in fase diagnostica che terapeutica. “È stata pioniera della medicina di genere, ossia dell’esigenza di studiare e curare in modo differente a seconda del sesso: nonostante molti passi avanti, ancora oggi le donne sono svantaggiate e sottodiagnosticate, specie in alcune patologie” spiega il responsabile medico-scientifico di ONDA.
Ma quali sono le patologie per le quali ci sono maggiori differenze?
Ictus e infarto nelle donne
Il recente studio danese punta l’attenzione sulle malattie cardiovascolari e in particolare sull’infarto al miocardio, considerato prettamente patologia maschile, ma che invece colpisce anche la popolazione femminile. Il problema principale sta nei sintomi con i quali si presenta: nell’uomo è presente un dolore precordiale irradiato al braccio sinistro, mentre nella donna può manifestarsi in modo differente, con dolore alla schiena, dorso e collo, alla mandibola e può essere accompagnato da nausea, vomito, sudorazione, ansia e astenia. A volte può anche mancare un sintomo preciso, ma può presentarsi con semplice difficoltà respiratoria, dunque difficile da diagnosticare in modo tempestivo. Le donne sono anche svantaggiate perché l’infarto si presenta in genere in età più avanzata, anche 10/15 anni dopo l’uomo e può colpire i vasi sanguigni più piccoli” spiega Orthomann, che aggiunge: “Questo anche perché con la menopausa viene a cadere lo scudo protettivo degli estrogeni, che espone a problematiche specialmente cardiovascolari”.
“Anche le terapie anticoagulanti per soggetti che hanno bisogno di rivascolarizzare dopo una malattia coronarica, è più facile che nelle donne abbia complicanze emorragiche rispetto agli uomini” spiega Antonella Vezzani, medico anestesista, responsabile della struttura semplice di Terapia Intensiva dell’ospedale di Parma, in prima linea nella promozione della medicina di genere.
Il diabete delle donne
Le problematiche legate al diabete femminile sono connesse agli equilibri ormonali e a loro volta hanno ripercussioni nel maggiore rischio che le donne hanno di incorrere in malattie cardiovascolari. “Un caso esemplare è il diabete in gravidanza. Fino a qualche tempo fa si pensava che con la nascita del bambino anche le problematiche legate alla glicemia scomparissero senza lasciare traccia, invece si è visto come la patologia può avere ripercussioni in seguito, come ad esempio un maggior rischio di andare incontro a ipertensione. Da questa e altre considerazioni si è capita l’importanza di studiare meglio e più a fondo le donne, anche alla luce del fatto che proprio il diabete rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza delle malattie coronariche nelle donne, molto più che negli uomini” spiega Vezzani.
Il fumo e le malattie respiratorie
Un altro capitolo riguarda le malattie specificamente respiratorie: hanno significative differenze di genere che riguardano i sintomi, ma anche la base clinica e ormonale. Ad esempio, diversi studi hanno mostrato una risposta differente delle donne al fumo di sigaretta rispetto agli uomini. Differenze di genere significative sono state individuate anche in ambito respiratorio già nella fase dello sviluppo embrionale, mentre nella fase cronica delle malattie la popolazione femminile manifesta, ad esempio, sintomi più marcati, come tosse, produzione di muco e difficoltà respiratoria. “Negli ultimi 15 anni le diagnosi di tumore al polmone nelle donne sono aumentate del 45% e il fumo è noto fattore di rischio. Nelle donne la potenza di questo fattore di rischio è più elevata. Ci sono studi che si stanno focalizzando nella ricerca delle differenze nei danni che il fumo causa a livello polmonare ai tessuti. Anche la tosse, che è uno dei sintomi, è letta in maniera meno significativa nelle donne rispetto agli uomini” spiega Nicoletta Orthmann.
Il tumore del colon
Anche in campo oncologico, dunque, esistono differenze di genere. Un altro caso è quello del cancro al colon: “Si pensa che sia una patologia prevalentemente maschile, ma si tratta solo di un retaggio culturale, perché è al secondo posto tra i tumori nella popolazione femminile: il rapporto AIOM-AIRTUM evidenzia come al primo posto ci sia il tumore al seno (28% con 50 mila nuovi all’anno, secondo il report 2017), seguito da quello al colon-retto (13% con 23 nuovi casi annui). Il problema è che nella donna si localizza soprattutto nel tratto ascendente, molto più a monte rispetto all’uomo, quindi anche un esame molto utile come il sangue occulto nelle feci può essere di più difficile lettura, perché può dare falsi negativi” spiega il responsabile medico-scientifico di ONDA.
La medicina dev’essere personalizzata
Di fronte a queste differenze, diventa fondamentale seguire percorsi di prevenzione e cura che tengano conto di criteri studiati sulla specificità dei due sessi. “Fino ai primi anni 2000 anche nelle Facoltà di medicina non si studiava la medicina di genere. Oggi sta aumentando la sensibilità e questa materia è entrata negli insegnamenti di laurea e infermieristici: si parla di medicina personalizzata, che tenga conto delle specificità del singolo individuo, quindi a maggior ragione occorre considerare le differenze di genere e le variabili socioculturali e ambientali, che incidono sulla salute della donna e hanno un peso importante ai fini della prevenzione.
Le donne si curano meno anche perché sono caregiver
“La preparazione dei medici sta aumentando, anche se non sempre sono chiare le differenze tra uomini e donne: man mano che vengono condotti nuovi studi, migliora anche la formazione dei professionisti. Bisogna, però, tenere presente che le donne sono penalizzate anche socialmente: sono soprattutto loro ad essere caregivers, a prendersi cura di familiari e persone bisognose, trascurando se stesse. Ciò è ancora più vero in età avanzata: un uomo gode in genere di una migliore assistenza da parte di figure femminili, come mogli o figlie. Le donne, invece, vivono più a lungo, ma spesso sole” spiega Vezzani, che aggiunge: “Negli ospedali si è fatto molto, ad esempio con il Bollino Rosa, ma non bisogna abbassare la guardia”.
Importante la prevenzione anche per patologie non femminili
“Occorrono anche campagne di comunicazione e informazione mirate: le donne hanno mostrato sensibilità nei confronti di quelle promosse in campo oncologico per la prevenzione, ad esempio, di tumori al seno o al collo dell’utero. Per il cancro ai polmoni, invece, non è così: è importante, invece, far comprendere l’importanza della prevenzione e della diagnosi, anche per patologie che non sono considerate “femminili’” conclude Nicoletta Orthmann.