Della meravigliosa lettera pubblicata su Il Giornale, indirizzata a un genero “idealtipico” (No, non è Raoul Bova!!!), e scritta dall’avvocato Annamaria Bernardini de Pace, la cosa che mi colpisce di più è la firma: «TUA SUOCERA», tout court.

Caspita. Ci vuole fegato a identificarsi completamente con un ruolo tanto scomodo.
Sì, perché la suocera da che mondo è mondo è, per definizione, passatemi il termine, la “stronza”  della famiglia.

Ingombrante, pettegola, impicciona, petulante, ansiosa, saccente… Gli aggettivi sulla suocera si sprecano. Ma, a fare un po’ di autocoscienza, potrebbero benissimo essere indirizzati alla nuora che li snocciola verso la madre del marito. Oppure alla cognata, sorella di lui, che se latita è male e se si immischia nelle faccende di casa è peggio. Oppure, ancora, alla cugina di terzo grado emigrata dall’altra parte del globo, per il solo fatto che si considera una dei parenti serpenti, telefona dall’America o dall’Australia nel cuore della notte e nessuno sa che faccia abbia.

Invece no: la suocera è la nemica numero 1. L’arma letale del nucleo famigliare, la bomba sempre pronta a scoppiare. E a far deflagrare liti furibonde.

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Elderly Woman Laughing — Image by © Corbis

Ora, io mia suocera la amo.
Anche se ogni tanto borbotta come una pentola di fagioli, sta in fissa con le previsioni meteo, dice che dovrei dimagrire o che dovrei farmi allungare i capelli…
Le voglio bene perché è la mamma dell’uomo che ho sposato e che prima di me lo ha cresciuto, viziato, coccolato e sopportato. Grazie di esistere!
Mia suocera vive a Milano, si chiama Ivana e anche io la chiamo così: con il suo nome di battesimo. E noi due ci diamo del tu.
Nessuno nella mia famiglia d’origine, a Palermo, comprende questa scelta “bizzarra”. Dalle mie parti, in Terronia, alle suocere si dà spesso del lei (o del voi). E ci si rivolge con un  vocativo: “Signora” o “Mamma”, “Mammà”, addirittura “Mamà”, un misto tra l’orgoglio siculo e la spocchia francese di maman.

Chi dice “Signora”, prende le distanze. Chi assimila la suocera a una seconda madre, quelle stesse distanze, secondo me, le amplifica ancora di più. Perché sembra una forma di affetto e di rispetto, ma secondo me è pura ipocrisia. Di mamma ce n’è una sola. E io la mia non la cambierei MAI.
Mia mamma preferirebbe che il genero la chiamasse Professoressa. Io la stimo: se titolo onorifico dev’essere, meglio prof che stronza, tutto sommato, no?

Mio marito ha risolto il problema come, all’epoca sua, fece anche mio padre con la madre di sua moglie: semplicemente, non la chiama.
Al massimo emette un fischio generico o un gridolino soffocato, a bassa voce: «Ehi», «Ehilà».

Perché, come ti appelli alla suocera, sbagli. Meglio scriverle una lettera, appunto (come farà la scrittrice Valeria Di Napoli, in arte Pulsatilla sul numero di Donna Moderna in edicola il 20 agosto). Con buona pace di tutti e della Bernardini de Pace.