Oggi, 1 dicembre, partecipo a una giornata di dibattito sul tema della parità di genere: NOW!
Nel programma, di fianco al mio nome, compare la dicitura “direttore”. Che non è sfuggita a chi gestisce l’account di @timeforequality che ha scritto questo tweet.
Non si dice
se è una donna?
#NOW2014@YWNetwork@LAMONTEDOC@ParioDispare1@A_Monfreda@DonnaModerna@MariangelaPira@emmabonino
—TimeForEquality(@timeforequality)
#direttrice#direttrice#direttrice#direttrice#direttrice#direttrice
]
Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
]
Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
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Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
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Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
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Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
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Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
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Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
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Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
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Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
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È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
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—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
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Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
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Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
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Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
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Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
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Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
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Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
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Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
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Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
]
Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
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Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
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6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
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Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
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Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
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Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
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È questa la vera parità.
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[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=13]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
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Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
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Èquestalaveraparità.
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6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
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Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
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Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
[_modulo=15]
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Neènatoundibattitoacolpiditweet
6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=12]
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—AnnalisaMonfreda(@A_Monfreda)[_modulo=14]
Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
Achimichiedecomechiamarmi,sedirettore,direttoreodirettrice,iorispondo:comepreferisci.Perlastessalogicanonhomaimodificatoladicituranelcolophon.
Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
Diunacosaperòsonoquasicerta.Concentrarcisuquestitemisquisitamenteformalicifaperderedivistalamanierabenpiùsubdolaconcuileparolemantengonoladisparità.
Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
Adesso,conl’aiutodelleparole,conquistiamoildirittocheilnostrooperatosiavalutatononinunalogicadigeneremainunalogicadipersone.
Èquestalaveraparità.
[_modulo=15]
— Time For Equality (@timeforequality) [_modulo=10]
Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
6 anni da direttrice chiamata direttore. E mai ho sentito il peso del mio genere. Una parità acquisita nel profondo? [_modulo=11]
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[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
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Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Ildibattitocontinueràmaintantomihafattoriflettere.
Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
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Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
Ildibattitoperòèserioedesistedaalmeno40anni,conteorietuttevalideetuttedisegnodiametralmenteopposto:”ladicituramaschileperpetralostereotipo”,”ladiciturafemminilerappresentaunadiminutio”.
Nelfrattempolasocietàècambiata.
Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
Selasocietàarrivaacambiareprimadelleparolenonc’ènientedimale.Sarebbepeggioilcontrario.
Certo,leparoleperpetranostereotipi.Mapossiamoanchepensarecheraccontinounastoria.Lastoriadiquandosologliuominipotevanosvolgerequesteprofessioni.Unaparola,svuotatadiappigliallarealtànonpuòfaremaleanessuno,anzipuòesseretestimonediunprogresso.
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Lenostreministrealgovernononvengonoscreditateperchéchiamateinunmodoonell’altro,maquandosiparlapiùdellorolookchedellaloroazionedigoverno.Quandovengonocrocifisseperunaqualunquegaffeoerrore,perchéunadonnacheraggiungeivertici,chesfondailsoffittodicristallodevedimostraresemprequalcosainpiù,devedimostrarediesserselameritataquellafiduciacheleèstatadata…
Insomma,anchesenzaleparolegiuste,abbiamoconquistatoildirittodiricoprirequasituttiiruoli.
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Èquestalaveraparità.
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Ne è nato un dibattito a colpi di tweet
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Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
A chi mi chiede come chiamarmi, se direttore, direttore o direttrice, io rispondo: come preferisci. Per la stessa logica non ho mai modificato la dicitura nel colophon.
Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
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Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
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Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Appartengoaunagenerazioneoprofondamentesuperficialeointimamenteparitaria.
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Semplicemente,nonmipongoilproblema.Daquandoricordo,nonhomaimessoindubbiocheundirettorepotesseesseredonna.
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Lenostrefigliestannocrescendoconungovernopienodiministridonne,conun’astronautadonnanellospazioeconospedalipienidichirurghidonne.Nonavrannomaidubbicheunadonnapossafaretuttiquestilavori,ancheseilsostantivocheindicalaprofessionecontinueràaesseremaschile.
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— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=12]
[_modulo=11] è vero, le parole sono specchio di stereotipi. Ma per cambiare le parole si deve prima cambiare i fatti. Non il contrario
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=13]
[_modulo=11] grazie a te! Concordo che il linguaggio e il dibattito siano il motore del cambiamento! A lunedì per continuare;-)
— Annalisa Monfreda (@A_Monfreda) [_modulo=14]
Il dibattito continuerà ma intanto mi ha fatto riflettere.
Appartengo a una generazione o profondamente superficiale o intimamente paritaria.
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Semplicemente, non mi pongo il problema. Da quando ricordo, non ho mai messo in dubbio che un direttore potesse essere donna.
Il dibattito però è serio ed esiste da almeno 40 anni, con teorie tutte valide e tutte di segno diametralmente opposto: “la dicitura maschile perpetra lo stereotipo”, “la dicitura femminile rappresenta una diminutio”.
Nel frattempo la società è cambiata.
Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
Se la società arriva a cambiare prima delle parole non c’è niente di male. Sarebbe peggio il contrario.
Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
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Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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6annidadirettricechiamatadirettore.Emaihosentitoilpesodelmiogenere.Unaparitàacquisitanelprofondo?[_modulo=11]
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Le nostre figlie stanno crescendo con un governo pieno di ministri donne, con un’astronauta donna nello spazio e con ospedali pieni di chirurghi donne. Non avranno mai dubbi che una donna possa fare tutti questi lavori, anche se il sostantivo che indica la professione continuerà a essere maschile.
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Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
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Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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Certo, le parole perpetrano stereotipi. Ma possiamo anche pensare che raccontino una storia. La storia di quando solo gli uomini potevano svolgere queste professioni. Una parola, svuotata di appigli alla realtà non può fare male a nessuno, anzi può essere testimone di un progresso.
Di una cosa però sono quasi certa. Concentrarci su questi temi squisitamente formali ci fa perdere di vista la maniera ben più subdola con cui le parole mantengono la disparità.
Le nostre ministre al governo non vengono screditate perché chiamate in un modo o nell’altro, ma quando si parla più del loro look che della loro azione di governo. Quando vengono crocifisse per una qualunque gaffe o errore, perché una donna che raggiunge i vertici, che sfonda il soffitto di cristallo deve dimostrare sempre qualcosa in più, deve dimostrare di essersela meritata quella fiducia che le è stata data…
Insomma, anche senza le parole giuste, abbiamo conquistato il diritto di ricoprire quasi tutti i ruoli.
Adesso, con l’aiuto delle parole, conquistiamo il diritto che il nostro operato sia valutato non in una logica di genere ma in una logica di persone.
È questa la vera parità.
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