La pluridisabiità stravolge la vita, anche delle famiglie. Fa paura essere isolato dal mondo: quando alla cecità si aggiunge la sordità, è come se una saracinesca calasse sulla tua esistenza, come se perdessi gli interessi e la tua identità, anche agli occhi degli altri. E gli altri non sanno più come comunicare con te. Cominciano a isolarti e a isolare i tuoi cari. È a questo punto che, se qualcuno ti lancia una rete, ti ci aggrappi. Una rete fatta di persone, risorse, opportunità.
Patrizia Ceccarani è un pilastro della Lega del Filo d’Oro: pedagogista, psicologa e psicoterapeuta, è Direttore Tecnico Scientifico dell’Associazione, direttore del Centro Nazionale di Osimo e propulsore di iniziative, ricerche, sperimentazione e nuove frontiere nell’approccio alla sordocecità. Ragazza radicata nella provincia italiana, è diventata una donna motore di un grande cambiamento, un punto di partenza su una nuova strada per migliaia di persone. Una persona minuta e determinata capace di convogliare intorno a sé energie, passioni, risorse.
Un tempo le persone sordocieche erano recluse
Ha iniziato a collaborare con l’associazione nel 1969, sei anni dopo la sua fondazione, quando c’erano solo 8 persone e nessuno conosceva in Italia la condizione dei sordociechi. «Ho conosciuto la “Lega” quando facevo l’ultimo anno delle scuole magistrali per diventare insegnante. Frequentavo la parrocchia e lì la “Lega” chiedeva aiuto ai giovani per passare casa per casa a chiedere offerte. All’inizio le provincie collaboravano ma i fondi non bastavano, così le parrocchie erano il punto cruciale per reclutare i giovani. Ho cominciato così: si girava in coppia con un pacchetto di ricevute e si suonavano i campanelli».
Roba d’altri tempi, ma viva in parte ancora oggi, perché le donazioni spontanee sono il cuore economico di questa Associazione. «Oggi abbiamo finanziamenti statali e ogni tanto donazioni sostanziose, ma viviamo ancora dell’aiuto capillare delle persone che ricevono i nostri avvisi nella cassetta delle lettere. A quei tempi, poi, avevamo postazioni anche nelle stazioni e nelle piazze. La gente ci guardava strano però ci aiutava: scoprire chi erano e come vivevano le persone con sordocecità voleva dire scoperchiare un mondo sommerso». Anche a lei, studentessa con un futuro da maestra, quel mondo appariva confuso. «Negli anni Sessanta si parlava poco degli adulti con deficit plurisensoriali, figuriamoci dei bambini: vivevano chiusi negli istituti o in casa. E quando uscivano, la gente chiudeva le finestre. Ai genitori, i medici dicevano che per loro non si poteva fare niente. Poi gli istituti per non vedenti non ospitavano i non udenti, e viceversa. La “Lega” mi ha aperto gli occhi su questa realtà e così, durante l’ultimo anno di scuola, ho affiancato le insegnanti del centro di Osimo, che era appena nato. Durante l’estate ho partecipato ai soggiorni con le persone con sordocecità, che già la “Lega” organizzava e che oggi sono uno dei fiori all’occhiello dell’Associazione. E questo mi ha spinto a fare pedagogia all’università invece che matematica: ho capito che volevo aiutarli a uscire dall’isolamento. Avevo bisogno di raccogliere questa sfida e questa sfida dura ancora oggi: per me non c’è mai un limite e non c’è mai una fine, cerco sempre insieme alla mia équipe di arrivare più in là nella ricerca, negli obiettivi e nei risultati».
I nuovi metodi educativi
Una scelta, la sua, in parte condivisa dalla famiglia. «Decisi di iscrivermi a Bologna, l’unica facoltà con Pedagogia speciale e mi laureai con una tesi sulla Lega del Filo d’Oro. Mi accordai con mio padre che se non avessi dato gli esami giusti, avrei lasciato. E invece finii nei tempi ed entrai subito alla Lega come pedagogista, dove poi fui assunta». Il cammino era segnato. «Allora, l’Olanda era all’avanguardia. Seguii una formazione specifica lì e cominciai a creare una collaborazione con l’estero». L’Associazione cominciò così a guardare oltreconfine e a sperimentare nuovi metodi educativi. Una sorta di pionierismo educativo. «Alcuni approcci funzionavano subito, altri dovevamo studiarli, così iniziammo dei progetti di ricerca insieme al primo team di lavoro, fatto da pedagogisti e psicologi: lavorai con ragazzini e insegnanti per insegnare il controllo sfinterico, poi cominciammo a far conoscere la comunicazione pittografica e oggettuale, che era poco sviluppata. Portammo tra i nostri sistemi di comunicazione la dattilologia. Iniziammo dei progetti di ricerca per insegnare la lettura con le rappresentazioni pittografiche. Non eravamo ben visti per il nostro approccio cognitivo – comportamentale. Ma il nostro obiettivo era trovare le soluzioni, e sapevamo che più ti apri e più ti metti in discussione, più i risultati arrivano. Abbiamo sempre lavorato tutti insieme e dagli input raccolti elaborato nuove strategie per una disabilità così specifica e severa».
L’apprendimento per una persona disabile dura tutta la vita
La forza del metodo messo a punto in quegli anni ha segnato la storia della Lega del Filo d’Oro. «Noi crediamo nell’apprendimento, siamo un centro educativo – riabilitativo. Se una persona nasce con la disabilita non si può riabilitare – riabilitare significa infatti “abilitare di nuovo” – però, attraverso una presa in carico completa, tutte le sue esperienze possono diventare fonte di apprendimento. Per questo l’educazione non si può fermare ai trattamenti presso i nostri centri: ed ecco che coinvolgiamo le famiglie, la scuola, gli assistenti sociali del territorio, in modo che tutti partecipino al progetto educativo personalizzato. Le famiglie, in particolare, vengono chiamate ad assistere alle terapie e alle attività dei loro bambini e ragazzi: devono sapere cosa sono in grado di fare i loro figli». La Lega per ogni persona con sordocecità diventa una seconda famiglia: dove vieni spronato a dare il massimo, dove non ti si lascia adagiare nella tua condizione, dove non puoi nasconderti dietro alla disabilità perché in te riposano sono nascosti capacità e talenti.
Occorre guardare la persona oltre la sua disabilità
«Ognuno dei nostri operatori crede nella possibilità di apprendimento della persona con disabilità o pluriminorazione, anche se gravissima. Noi tutti – psicologi, educatori, fisioterapisti, logopedisti, tecnici degli ausili – crediamo in loro, nelle loro abilità residue e con l’amore e con il metodo scientifico lavoriamo per aiutarli». Ci vuole cuore, ma anche tecnica. «Abbiamo messo a punto un metodo che permette di lavorare su micro obiettivi: si osserva la persona e quello di cui ha bisogno e si elabora un progetto per lei, fatto di tanti piccoli passi. In questo modo l’attività per chi ha una disabilità grave viene semplificata, e la gratificazione arriva prima. Da noi la persona è al centro e tutti gli operatori si integrano: non esistono compartimenti stagni, mentre spesso chi vive la disabilità viene inserito in una certa categoria, e poi in sottocategorie, senza guardare la sua unicità, le sue peculiarità. Invece si tratta di una realtà completa e complessa».
Per saperne di più sulla Lega del Filo d’Oro
La Lega del Filo d’Oro, presente in 8 regioni con Centri Residenziali e Sedi territoriali, dal 1964 assiste e riabilita le persone sordocieche (189.000 in Italia) e con deficit psicosensoriali, cercando di accompagnarle all’autonomia. Quasi il 50 per cento di queste persone ha anche una disabilità motoria, 4 su 10 hanno danni permanenti legati a una disabilità intellettiva. In 7 casi su 10 le persone sordocieche hanno difficoltà ad essere autonome nelle più semplici attività quotidiane come lavarsi, vestirsi, mangiare, uscire da soli. Un “esercito” di invisibili con disabilità plurime di cui spesso s’ignora l’esistenza. Dal 2006 le risorse raccolte grazie al 5×1000 hanno permesso all’associazione di moltiplicare il suo aiuto: i centri sono diventati 5 in tutta Italia, le sedi territoriali 8, le persone assistite quasi 900.
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