Nel nostro paese, secondo i dati dell’Associazione Italiana Dislessia, sono almeno 350 mila gli studenti ai quali è diagnosticata la dislessia, il Disturbo Specifico dell’Apprendimento (DSA), che rende difficoltosa la lettura.
Le persone con DSA sono rappresentate per il 5% da bambini e il 2% da adulti, seconod il Miur. Le stime sulla dislessia, però, potrebbero essere sottodimensionate quando si tratta di persone oltre l’adolescenza, perché è solo di recente che scuola e insegnanti sono tenuti a tenere conto delle diagnosi, grazie alla legge 170 del 2010. Sarebbero quindi molti gli adulti dislessici che non sanno neppure di saperlo e che semplicemente convivono da tempo con un disturbo che può essere causa di frustrazione, ansia o senso di inadeguatezza: quelli che potevano sembrare scarso impegno scolastico o rendimento non eccellente, in realtà potrebbero essere stati semplicemente sintomi di una dislessia non riconosciuta (e non affrontata).
Oggi, però, sono aumentate sensibilità e conoscenza in questo campo. All’università di Siena, inoltre, ci si avvale di uno strumento in più per poter identificare questo specifico disturbo dell’apprendimento in età adulta.
Il nuovo screening
Per tutto il mese di giugno presso l’ateneo toscano ci si può sottoporre alle prove diagnostiche innovative: “Si tratta di una serie di prove specifiche per valutare le performance di lettura degli studenti universitari. La novità consiste in un test capace di misurare la velocità di lettura silenziosa, ossia nella mente. È notoriamente difficile valutare la lettura in questa modalità, perché non si può essere sicuri realmente di cosa, quanto e come la persona stia leggendo. Gli autori della BDA 16-30 (il nome di questa batteria di prove) hanno ideato un test che prevede di eseguire specifiche azioni (come premere pulsanti o pronunciare alcune parole isolate) mentre si legge nella mente. In questo modo si può verificare la corretta comprensione” spiega Massimo Ciuffo, psicologo, direttore dell’Istituto di Ricerca sui Disturbi d’Appredimento e Comportamento (IRDAC) e primo autore della BDA 16-30, che ha collaborato con l’ateneo senese e il Centro Dedalo a questo progetto.
“Siamo certi che a breve il test sarà lo strumento principale con cui diagnosticare la presenza di dislessia in adolescenti e adulti. La risposta degli studenti dell’Università è stata molto positiva: in molti si sono presentati subito, chiedendo di partecipare allo screening e confermando che c’è un sommerso di studenti dislessici mai diagnosticati. Molti adulti dislessici, infatti, hanno sviluppato da soli strategie con cui raggiungere buone abilità, scolastiche o lavorative, che vengono però meno di fronte a un maggior carico di studio o stress” continua l’esperto.
Come si diagnostica negli adulti
Lo screening proposto a Siena rappresenta una novità importante, perché finora la diagnosi di dislessia in età adulta ha avuto forti limiti. Anche negli adulti, comunque, la diagnosi viene realizzata da uno psicologo, generalmente affiancato in équipe da un neuropsichiatra e un logopedista: “In questo modo si esclude (o si rilevano) possibili patologie mediche, come problemi uditivi o visivi, che potrebbero non essere compatibili con dislessia” spiega Ciuffo. Purtroppo sono ancora troppo pochi i centri e i servizi sanitari pubblici per i DSA in età adulta. Un’eccellenza in questo ambito è rappresentata all’Unità Operativa di Neurologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova a Reggio Emilia, dove ha operato a lungo il prof. Enrico Ghidoni, specialista in neurologia, ex presidente dell’Associazione Italiana Dislessia e oggi membro della Fondazione Italiana Dislessia.
Fatta eccezione per la BDA 16-30, l’unico strumento finora a disposizione per gli adulti è un semplice questionario, l’Adult Dyslexia Check List (Vinegard, 1994) composto da venti domande chiuse, capace di rilevare solo la “possibile presenza” di dislessia. Si tratta di un questionario che da solo non ha alcun valore diagnostico.
Come si interviene
Spesso gli adulti con dislessia non diagnosticata si trovano a vivere situazioni frustranti, nelle quali si sentono inadeguati, arrivando anche a dubitare della propria intelligenza. In caso di disturbi lievi, spesso sono messe in atto strategie compensatorie, che però possono non bastare a superare difficoltà e lentezza. A risentirne sono l’autostima e le aspettative personali, alle quali possono contribuire disturbi dell’umore e stati di ansia. “La diagnosi di dislessia in età adulta è già di per sé un primo passo, perché permette di ricostruire l’immagine del sé, individuando la responsabilità delle proprie difficoltà a un fattore esterno. Poi si lavora sul potenziamento con strumenti ideonei” spiega lo psicologo.
Consigli e strumenti
In attesa che possa diventare realtà una proposta di legge (del 22/3/2017) che prevede l’estensione degli strumenti compensativi pensati per gli studenti dislessici a scuola anche all’ambito lavorativo, esistono già strumenti che possono risultare di grande aiuto. Si tratta, ad esempio, di software che convertono il testo parlato (dal soggetto in questione) in un documento scritto, agende digitali o sveglie sugli smartphone che ricorda eventi e appuntamenti importanti. Gli esperti, inoltre, consigliano di seguire alcuni accorgimenti, come ad esempio:
– scrivere al computer usando un font maiuscolo, che facilita la lettura e la comprensione/memorizzazione;
– memorizzazione tramite immagini e schemi (come avviene per le mappe scolastiche);
– scriversi brevi liste di procedure da seguire, rispettando l’ordine cronologico;
– usare smart pen, che digitalizzano il contenuto del testo (o del disegno o dell’appunto su foglio di carta) direttamente sul proprio computer o tablet;
– ricorrere ad audiolibri, particolarmente adatti per ovviare le difficoltà di lettura, ma in grado di facilitare la memorizzazione.
I sintomi
Ci sono alcuni campanelli d’allarme che dovrebbero insospettire e spingere, eventualmente, a rivolgersi a un esperto. Questi sono principalmente:
– lettura lenta e inaccurata;
– lentezza nei meccanismi di automatizzazione;
– difficoltà nell’esprimere i concetti in modo esaustivo e chiaro;
– lessico limitato o poco adeguato;
– difficoltà nell’imparare una lingua straniera;
– difficoltà nell’organizzazione del lavoro e nella gestione del tempo;
– fatica a memorizzare concetti o sequenze di istruzioni;
La dislessia è ereditaria?
“La dislessia ha certamente una componente ereditaria, anche se non è raro diagnosticare soggetti in cui non si è registrata alcuna familiarità. La componente ereditaria della dislessia non differisce, per modalità e frequenza, dalla componente ereditaria che si osserva, ad esempio, nei caratteri somatici (colore degli occhi, dei capelli, ecc.). Si tratta semplicemente di una “neurodiversità”, non di una malattia o una patologia, ma di una diversa e fisiologica espressione del funzionamento cognitivo” conclude Ciuffo.