C’era una volta il lavoro. Ora per i giovani non c’è più ma non c’è nemmeno una scuola capace di orientare i nostri ragazzi, in grado di prepararli alle sfide delle nuove occupazioni e di insegnare loro ciò che serve nel mondo del lavoro.
L’Istat a novembre 2016 ha registrato un aumento dell’1,8% del tasso di disoccupazione giovanile arrivando al 39,4% di punti percentuali, il più alto a partire da ottobre 2015. L’unico dato positivo arriva dagli ultracinquantenni: sono i papà e soprattutto le mamme dei nostri ragazzi a trovare ancora lavoro.
Tuttavia non basta leggere i dati. Non serve il piagnisteo del pessimismo di fronte a questi numeri. E’ necessaria una risposta: la scuola non sta facendo il suo dovere.
Chi fa l’insegnante (come il sottoscritto) dovrebbe avere l’onestà intellettuale di denunciare questa situazione: la maggior parte dei docenti è ancora convinta che basti insegnare bene la propria materia, la matematica, l’italiano, la scienza o il latino per trovare un lavoro. Nulla di più sbagliato.
Non è un caso che il rapporto 2016 dell’istituto “Giuseppe Toniolo” sulla “Condizione giovanile in Italia” elaborato prendendo in esame oltre nove mila giovani tra i 18 e i 33 anni con titolo di studio, condizione lavorativa e residenza diverse, abbia messo in evidenza un dato interessante: il 50% dei giovani non vedono nel loro percorso scolastico una risorsa per costruire il proprio presente e un futuro professionale. Solo il 41% dei giovani (con una punta del 44,5% tra gli studenti che hanno fatto studi tecnici) ha dichiarato di essere d’accordo sul fatto che l’istruzione è utile per trovare più facilmente lavoro. Il 9,2% dichiara persino che l’istruzione scolastica non serve a nulla.
I giovani hanno capito sulla loro pelle che per trovare lavoro non serve sapere solo la fisica e l’informatica ma serve saperla applicare.
Un “esercizio” che dev’essere fatto fin dalla scuola primaria. Pensiamo alla tecnologia. In qualche scuola primaria le ore dedicate a questa materia non sono più di una mentre sono due per religione ed educazione fisica. L’Italia quanto alle competenze digitali di base degli studenti, è al 23esimo posto in Europa.
Eppure nei prossimi anni avremo bisogno di figure competenti in questo settore.
Fin quando un solo maestro della scuola elementare o un professore della scuola secondaria di primo grado non si renderà conto che quelle lezioni di informatica o di educazione artistica serviranno per il futuro cittadino a trovare un lavoro, continueremo a leggere dati come quelli annunciati dall’Istat in questi giorni.
Non solo. Dire che l’occupazione non c’è non è sempre vero. Nel nostro Paese, il ministero dell’Istruzione ha calcolato che ci sono ogni anno più di 300 mila richieste di diplomati degli istituti tecnici e professionali da parte delle aziende.
Chi sceglie una scuola di questo tipo ha una grande possibilità di trovare lavoro ma gli alunni che si iscrivono a queste scuole sono sempre meno.
Dal 1990 sul totale dei diplomati della scuola secondaria, gli allievi dei tecnici sono passati dal 44% al 35% mentre quelli dei licei sono passati dal 30% al 45%.
Chi siede dietro la cattedra ancora non ha capito che l’istruzione tecnica applicata è la condizione necessaria per la sopravvivenza del nostro sistema produttivo.
Si tratta di un passaggio culturale necessario. E non c’è più tempo per attenderlo.