Anoressia, bulimia e disturbi alimentari in genere sono un aumento, tanto da aver fatto scattare il campanello d’allarme al ministero della Salute, che ha deciso un piano di intervento mirato, a partire dai Pronto Soccorso. È qui che sarà introdotto il “codice lilla” per accogliere in modo adeguato i pazienti che si presentano con sintomi specifici. Medici, infermieri e più in generale gli operatori sanitari potranno così aiutare non solo coloro che presentano disturbi legati alla nutrizione e all’alimentazione, ma anche i loro familiari. Ai parenti sono indirizzate, infatti, una serie di raccomandazioni per aumentare la consapevolezza nei confronti di quelle da semplici forme di disagio possono trasformarsi in vere e proprie malattie.
“Il vero problema è che troppo spesso non c’è la preparazione per intraprendere un percorso terapeutico vero, ci si limita a infilare un sondino gastrico per l’alimentazione di ragazze che altrimenti rischiano di morire. Ma dopo 20 giorni, rimandate a casa, tornare magre quanto e forse più di prima. Di recente mi è capitato di portare una ragazza di 17 anni in ospedale, che non beveva da 6 giorni. Sono pazienti “scomodi”, non vengono accettati di buon grado, dicendo che non ci sono posti letto o soldi per poterli seguire in modo adeguato. Perché siano accolti mi tocca alzare la voce” denuncia Fabiola De Clercq, scrittrice belga da anni in Italia e presidente di Aba, Associazione Bulimia Anoressia, impegnata da anni in prima linea nell’aiuto di giovani con gravi problemi alimentari.
Il codice lilla e specifici interventi
Il Codice lilla nei pronto soccorso prevede una forma di accoglienza specifica e soprattutto un percorso terapeutico mirato, per coloro che si presentano agli sportelli in emergenza, con gli effetti di disturbi alimentari. Si tratta di un’iniziativa promossa dal ministero della Salute (Raccomandazioni per intervenire in pronto soccorso per un codice lilla), che ha anche messo a punto le Raccomandazioni per i familiari, disponibile sul sito www.salute.gov. L’obiettivo, come si legge nel documento, è quello di “aiutare i familiari di pazienti, fornendo loro delle prime risposte su come riconoscere i sintomi dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione, aiutandoli a comprendere la natura e a fornire un supporto pratico, soprattutto per la gestione dei pasti”.
A chiedere un documento e attività di intervento mirate sono state proprio le associazioni dei familiari, che insieme agli operatori sanitari hanno sottolineato l’esigenza di “strumenti pratici in una tematica in cui ancora oggi, purtroppo, esiste una estrema disomogeneità di cura e trattamento sull’intero territorio nazionale” si legge in una nota del Ministero.
Ma il problema è che spesso proprio alle associazioni è lasciato il compito (e la responsabilità) del recupero di pazienti che soffrono di disturbi dell’alimentazione. “Noi, come ABA abbiamo una convenzione con l’ospedale Fatebenefratelli di Milano, che si trova vicino alla nostra sede. Le facciamo ricoverare quando non c’è alternativa, quando sono in pericolo di vita, ma le seguiamo con il nostro personale, fatto di giovani psicologhe che le seguono mattina e pomeriggio, che danno loro sostegno e fiducia, e che cercano di far capire alle ragazze malate che possono farcela da sole, che non hanno bisogno del sondino o delle flebo, perché ciò di cui più necessitano è proprio la fiducia in se stesse” dice De Clercq.
“La situazione, comunque, è drammatica: da noi arrivano 200 giovani alla settimana con disturbi come anoressia e bulimia” aggiunge l’esperta, che a sua volta è stata malata per 23 anni e, dopo la guarigione, si dedica ad aiutare gli altri.
Anoressia, bulimia, disturbi alimentari: cosa è utile sapere
La famiglia rimane il luogo privilegiato nel quale riconoscere un eventuale disturbo dell’alimentazione, nonostante spesso questo nasca da un rapporto conflittuale nato proprio all’interno del nucleo familiare. Ma come riconoscerli? “Può essere difficile individuare i primi sintomi e frequentemente chi ne è affetto tende a nascondere i comportamenti della malattina – spiegano gli esperti del ministero della Salute – Molti di questi comportamenti, almeno in una fase iniziale, possono non evidenziarsi nello sfondo di una cultura ossessionata dalla magrezza e dalla “dieta” e può essere difficile per i genitori comprendere quando pensieri, comportamenti e scelte alimentari dei loro figli stanno diventando pericolosi, mettendo così a rischio la salute fisica e mentale”.
Questi alcune indicazioni utili, contenute nelle Raccomandazioni del Ministero:
– i disturbi alimentari sono particolarmente diffusi nel genere femminile, nell’adolescenza e nelle giovani (soprattutto tra i 12 e i 25 anni), anche se possono colpire i maschi e tutte le fasce d’età;
– sono caratterizzati da alterazioni dello stato di nutrizione, indipendenti dal peso corporeo: sottopeso (se si mangia poco, troppo poco, si digiuna o si vomita), normopeso (se il digiuno è alternato a pasti molto abbondanti, le cosiddette “abbuffate”, che compensano la restrizione dietetica), sovrappeso (quando si ha una malnutrizione per eccesso, con perdita di controllo nell’ingerire i cibi, che possono portare a forme di obesità);
– i disturbi alimentari sono associati a gravi sofferenze psicologiche ed emotive, e a difficoltà relazionali e sociali;
– nelle fasi iniziali i sintomi possono passare inosservati anche ai familiari: “L’atteggiamento di un adolescente che sta sviluppando un Disturbo della Nutrizione e dell’Alimentazione spesso cambia repentinamente: l’adolescente può diventare introverso, finanche oppositivo e comunque poco incline a una comunicazione aperta e spontanea che lo esponga al rischio di essere spinto a modificare i propri comportamenti” spiegano gli esperti del ministero della Salute;
– l’intervento deve essere multidisciplinare, coinvolgendo esperti psichiatrici e psicoterapeuti, oltre che medico-nutrizionali. Occorre agire tempestivamente, specie in età evolutiva, per prevenire danni su sviluppo e crescita.
Disturbi alimentari: quali sono i sintomi
Tra i sintomi a cui prestare particolare attenzione ci sono diete che portano a eliminare determinati cibi e gruppi alimentari (o a saltare i pasti), un’attenzione eccessiva al calcolo delle calorie o una predilezione per alimenti ricchi di fibre; un ricorso a grande idratazione (privilegiando le bibite dietetiche) o la scelta di regimi alimentari particolari come quello vegetariano o vegano.
All’opposto possono esserci episodi frequenti di “abbuffate”, associate alla sensazione di perdita di controllo, che avvengono per lo più in solitudine e sono seguiti da un forte senso di colpa e fallimento. Sono una risposta a sofferenze emotive forti e spesso avvengono dopo periodi prolungati di digiuno.
Attenzione anche nel caso in cui l’adolescente ricorra a un esercizio fisico eccessivo, con lo scopo principale di perdere peso, invece che di allenarsi in modo sano ed equilibrato. Altro campanello d’allarme sono casi di vomito (per lo più autoindotto), per eliminare il cibo che si ritiene di aver assunto in modo eccessivo.
Trattandosi di disturbi strettamente legati alla sfera emotiva e psicologica spesso sono associati a stati di depressione, tristezza, rabbia, isolamento sociale, ossessioni (come per la propria immagine corporea)e stati d’ansia, che possono essere amplificati proprio dallo stato di malnutrizione che ne è causa e conseguenza.
Quali tipi di disturbi
Ce ne sono di diverso genere: dalla anoressia e bulimia nervosa al disturbo da Binge-Eating, con ricorrenti abbuffate, ma senza condotte compensatorie, quindi caratterizzati da mangiate molto abbondanti, rapide, in solitudine per imbarazzo, con senso di imbarazzo, disgusto verso se stessi, depressione e sensi di colpa.
Ci sono poi disturbi detti “evitanti/restrittivi dell’assunzione di cibi” (Arfid) che sono caratterizzati dalla incapacità persistente di soddisfare le necessità nutrizionali, con perdita di peso o alterazioni nella crescita, specie per i più giovani. Di solito sono accompagnati dalla mancanza di interesse per il cibo e dalla preoccupazione che alcuni alimenti possano avere effetti negativi su di sé. La differenza rispetto ad altri disturbi sta soprattutto nella mancanza di un senso di ansia e controllo sul proprio peso o sulla propria figura estetica. Questo tipo di disagio e comportamenti insorge soprattutto in un’età inferiore ai 13 anni.
Ci sono poi casi più rari di cosiddetta Pica, caratterizzata da persistente ingestione di sostanze senza contenuto alimentare, non commestibili e il Disturbo da Ruminazione, che consiste nel ripetuto rigurgito di cibo, che può essere rimasticato, ingoiato o sputato.
Il vero tabù
Al di là delle classificazioni, c’è un ulteriore problema, dato da un tabù: quello degli abusi, che soo per la maggior parte la causa dei disturbi alimentari. Abusi fisici, sessuali, ma anche psicologici. In 8 casi su 10 le ragazze, quando iniziano ad aprirsi e a parlare, raccontano di aver subito violenze sessuali nei primi 10 anni di vita, dunque presumibilmente in famiglia. Altre a distanza di tempo, anche due anni, riferiscono delle mortificazioni subite, di quando hanno ricevuto urla, minacce o si sono sentite dire dalla madre frasi come ‘senza di me non vali niente’, ‘sei nata per sbaglio’ o ‘un’altra sarebbe stata migliore di te'”.
I consigli
“In questi casi il primo consiglio è quello di correre in una struttura che abbia una lunga conoscenza di questa patologia, rivolgendosi alla polizia in caso di abusi – prosegue la presidente di Aba – Non bisogna mai invece lasciare sole le ragazze, senza sostegno, facendole sentire bugiarde e spingendole di fatto a farsi male in un altro modo”. “In generale occorre ascoltare e cercare di cogliere le emozioni di chi soffre e spesso ha anche difficoltà a manifestare i propri sentimenti: in moltissimi casi si tratta di giovani con madri anaffettive, che non hanno mai abbracciato le figlie e queste, a loro volta, faticano a manifestare i propri stati d’animo, anche se ne avrebbero molto bisogno”.
Il Ministero consiglia anche ai familiari di parlarne: che si tratti di altri parenti, insegnanti o figure di riferimento della vita del giovane (l’allenatore, un altro educatore, ecc), ciò permette di avere un quadro più completo della situazione e di capire se davvero ci sia un disagio più profondo.
È importante anche il confronto con il medico di base o pediatra, per poter avere consigli e, se necessario, un accesso a strutture specializzate e ad esperti in questo tipo di patologie, per una diagnosi corretta e tempestiva.
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