Vedere tuo figlio morire letteralmente di fame, vederlo chiudersi in bagno e trattenere il respiro, per capire se sta vomitando. Restare lì, immobile e tesa mentre ti urla cose orribili perché nell’insalata è finita una goccia di olio in più. Cercare dentro di te quel bambino che rideva sempre, aggrapparsi al ricordo per tollerare l’immagine di un corpo pelle e ossa che oggi non rifiuta neanche l’idea della morte. Nessuno come il genitore di chi è affetto da disturbi alimentari sa descrivere con così lucida chiarezza il baratro in cui precipita la famiglia quando la malattia inizia a divorare il suo mondo. Elena ne parla per un’ora, srotolando i fatti, ripercorrendo la strada che con fatica l’ha portata a diventare la donna che è oggi. La sua Ada – il nome è di fantasia, è presto per uscire allo scoperto – ha sofferto a lungo di anoressia, un male che obbliga a rimettere tutto in discussione.

I disturbi alimentari devastano tutta la famiglia

«Per accettare, per riuscire a conviverci e poi cercare una via d’uscita devi talmente scavare dentro di te che alla fine non sei più la stessa» dice. «Io sono stata fortunata. Lei è ancora magra, ma oggi sta bene. Non scarta più il grasso del prosciutto, esce a mangiare con gli amici, la prima volta che l’ha fatto sono tornata fisicamente a respirare. Un giorno la psicologa le ha detto che poteva camminare da sola, lei è tornata a casa e mi ha detto: ora ho la forza di combattere il mostro, se dovesse tornare». Ada era arrivata a pesare poco più di 40 chili, era a un passo dal ricovero. «Aveva iniziato a dimagrire, ma aveva un passato di bambina tondetta e stava crescendo, era nelle cose. Però l’ossessione cresceva e il peso calava, e lei era sempre più triste, piangeva tanto… è stato il suo modo per dirmi “mamma, ti prego aiutami”, così l’ho portata in un centro di disturbi alimentari». Da allora, per quattro anni, l’anoressia ha inghiottito la normalità di quella famiglia. Tutto è stato risucchiato in un gorgo di ansie e battaglie quotidiane.

I malati sono quasi 3,7 milioni in tutta Italia

In Italia, secondo gli ultimi dati del ministero della Salute, le persone in trattamento per disturbi dell’alimentazione sono quasi 3,7 milioni. L’attenzione sul tema è cresciuta, anche grazie ad appuntamenti come quello del Fiocchetto Lilla, la Giornata mondiale contro i disturbi alimentari che si celebra il 15 marzo. Del calvario che affrontano le famiglie, però, si parla molto meno. «La prima cosa che chiedono quando arrivano è “quando finirà”» spiega Lia Cama, psicologa e psicoterapeuta che collabora con Volo Oltre, associazione che sostiene le famiglie di ragazzi con disturbi alimentari. «La seconda è “perché”, ma non c’è una risposta».

Le cure durano almeno due, quattro anni

«Dal tunnel si può uscire, ed è importante saperlo, ma nel migliore dei casi parliamo di due, quattro anni di terapie, che bisogna avere la forza di affrontare. E la grande sfida è cercare di concentrarsi sul presente. Vincere i sensi di colpa è il primo passo». Per anni si è ritenuto che il rapporto con i genitori fosse tra le principali cause dei disturbi alimentari, opprimendo sotto una cappa di giudizio padri e madri dei ragazzi colpiti dalla malattia. «Un errore gravissimo» dice subito Leonardo Mendolicchio, psichiatra, psicoterapeuta e responsabile della U.O. Riabilitazione dei disturbi alimentari e della nutrizione all’Auxologico di Piancavallo, Verbania. «Certo, in alcuni casi, bisogna fare i conti con il fatto che anche la famiglia può avere avuto un ruolo nella genesi del disturbo. Il contesto familiare, così come quello scolastico e sociale, contano, e quando serve si possono prevedere terapie familiari o dei genitori. Ma è solo uno dei tanti fattori coinvolti. Quel che è certo, invece, è che queste malattie colpiscono la famiglia al cuore, nella sua parte più intima».

Ogni pasto diventa un elemento di conflitto

«Il convivio, il momento in cui ci si riunisce tutti attorno a una tavola, lo spazio di incontro in cui stare al sicuro con le persone più care, diventa elemento di conflitto, disperazione. L’immagine di questa tavola apparecchiata che si trasforma in incubo lo spiega più di ogni altra cosa» commenta Leonardo Mendolicchio, conosciuto dal grande pubblico come il dottore della docuserie Fame d’amore. Anche la cucina di Elena è stata teatro di scene simili per anni. «Mia figlia aveva un piano alimentare, e io dovevo sorvegliare i pasti, una cosa terribile.

Tu genitore hai il compito di controllare che segua la dieta, ma di cibo non devi parlare

Allora ti siedi, fingi di non guardare perché lei non si senta osservata, pesi il pane, misuri l’olio con rigore perché un grammo in più può scatenare un dramma, se non mangia taci, perché il patto è tra lei e il nutrizionista. Il resto della famiglia è lì, che segue muta la scena o cerca di parlare d’altro, mentre tu rimani ossessionata da quel pensiero, che non ti abbandona mai».

Lo Stato non sostiene le spese e il dolore delle famiglie

Ma c’è anche il resto da tenere insieme. «Per me c’erano il lavoro, l’altra figlia che soffriva – come avrebbe potuto capire? – il peso disumano dei 700 euro al mese per la psicoterapia, perché alla Asl mi hanno chiesto subito se avevo la possibilità di farlo privatamente, i fondi non sono sufficienti per sedute frequenti». Le risorse non bastano per i pazienti, figuriamoci per sostenere le famiglie. E allora interviene la società civile, le associazioni. Volo Oltre opera a Forlì e a Cesena ed è una di queste, tra le altre attività organizza gruppi di sostegno e di mutuo auto aiuto moderati da psicologi, in cui i genitori parlano della loro esperienza o ascoltano, e chi lo desidera può chiedere la consulenza di professionisti che collaborano con l’associazione. Aiuta queste madri e questi padri a perdonarsi fragilità e comprendere cosa accade, come spiega la presidentessa di Volo Oltre, Daniela Legnani. «Il cibo, il cui pensiero occupa le giornate di tutti, è solo la punta di un iceberg, di un male che divora la persona dall’interno, una malattia psichiatrica. Ai genitori viene chiesto l’immane sforzo di accettarlo, anche se quella ragazzina è la stessa che prendeva 9 a scuola.

E poi devono imparare a delegare le cure, seguire le indicazioni senza invadere lo spazio dei loro ragazzi, anche quando si accorgono che si pesano 12 volte al giorno

E sforzarsi di coltivare la parte “sana” di quel figlio o figlia, quello con cui si andava insieme al cinema o si ascoltava la musica».

I disturbi alimentari possono separare la famiglia

Non sempre la famiglia regge a tutto questo, c’è chi si sfascia, chi si trasforma. Anni di psicoterapia hanno insegnato a Elena che era inutile continuare a sbattere la testa chiedendosi perché la figlia con cui aveva un rapporto perfetto si era ammalata, ma con suo marito è finita. «È che sono cambiata io» dice. «Succede» chiosa il prof Mendolicchio. «I vecchi equilibri si rompono per crearne di nuovi, e non è detto che sia un male, se il processo viene affrontato con consapevolezza. Questi bambini e ragazzi non hanno bisogno della famiglia perfetta, devono invece trovare dentro di sé la forza per affrancarsi dagli eventi che prima li travolgevano». Così si impara a tenere a bada il mostro, proprio come ha fatto Ada.

Le associazioni dei familiari sono l’unico supporto prezioso

I genitori di chi soffre di disturbi alimentari possono avere bisogno di un sostegno. Serve per reggere lo shock della scoperta, malattie come la bulimia possono restare nascoste per anni, e sostenere il figlio nelle lunghe cure. A volte sono gli ambulatori a indirizzare le famiglie alle associazioni di familiari, come succede in Romagna con Volo Oltre (volooltre.org). Una mappa di quelle censite dal ministero della Salute è su piattaformadisturbialimentari.iss.it.