Il 20 settembre è la Giornata mondiale dei tumori ginecologici
Le donne con tumori ginecologici nel mondo sono 3 milioni e mezzo. Un tema di cui ancora si fatica a parlare: si tratta di lesioni a utero e ovaio. Per questo il 20 settembre si celebra la Giornata mondiale dedicata ai tumori ginecologici (World Gynecological Cancer Day).
Il Pronto soccorso ginecologico dell’ospedale Gemelli
In Italia, in particolare, è nato un percorso “rosa” per le urgenze ginecologiche, attivo al Policlinico Gemelli di Roma. Dopo il triage in Pronto Soccorso la donna segue una corsia prioritaria che la porta in un’area ad hoc dove è sempre presente un ginecologo. Qui può essere quindi subito visitata e, se necessario, ricoverata oppure trattenuta in osservazione. «Il nostro percorso è stato inaugurato a fine maggio del 2021» spiega Domenica Lorusso, professore associato di Ostetricia e ginecologia all’Università Cattolica di Roma, responsabile della Ricerca Clinica del Policlinico Gemelli e del team del percorso rosa. «E già in questi primi mesi abbiamo constatato il grande sollievo che prova chi arriva da noi quando avverte di essere fin da subito nelle “mani giuste”, di non avere bisogno di troppe parole per spiegare la propria sofferenza. Abbiamo progettato il servizio per ogni tipo di urgenza ginecologica, oncologica e non, e lo abbiamo ritagliato su misura per la donna, che deve sentirsi rassicurata. Se prima, ad esempio, dopo un mese di dolori molte andavano dal ginecologo, in un anno e mezzo di Covid queste stesse donne si sono tenute i disturbi. E sono finite per correre in emergenza con dolori insopportabili o addirittura emorragie».
Problemi ginecologici: le urgenze in pronto soccorso
Esiste un profilo della donna che arriva in urgenza in pronto soccorso?
«Molte arrivano da noi con dolori forti e spesso forti emorragie. Di fronte a sintomi del genere, quasi tutte, specie le giovani, hanno paura che si debba ricorrere a un intervento magari con conseguenze anche importanti. Ma ogni donna e ogni caso richiede una valutazione individuale, anche in emergenza, se è possibile. E in genere riusciamo a decidere insieme il percorso migliore persino nelle situazioni più difficili. Come è capitato con una mia paziente, Sara, che soffriva di un’endometriosi avanzata, una forma che riguarda circa il 10-15% delle pazienti affette da questa patologia. Certo, qui è stato necessario l’intervento chirurgico ma lo abbiamo impostato in base alle sue esigenze. Se la paziente è giovane e desidera dei figli, e questo era il caso di Sara, si può valutare un intervento radicale, ma allo stesso tempo conservativo sull’apparato riproduttivo. Sono operazioni impegnative perché il chirurgo deve asportare le aree colpite dalla malattia con minuzia e delicatezza, con l’obiettivo di preservare l’utero e almeno una delle due ovaie. Così, è possibile la programmazione di una gravidanza».
I fibromi
Parliamo dei fibromi, un problema ginecologico molto diffuso e che fino a oggi è stato trattato soprattutto com l’intervento chirurgico. Sta cambiando qualcosa?
«Già a 30-35 anni, una donna su tre ha almeno un fibroma. E la scelta su come e se intervenire è legata innanzitutto alla localizzazione e alle dimensioni di questo tumore benigno. Se infatti è esterno all’utero e non causa sintomi, può essere sufficiente tenerlo sotto controllo ecografico una volta all’anno. Ben diverso invece è il fibroma di grandi dimensioni che provoca disturbi come perdite, dolori, senso di pesantezza al basso ventre, oppure che è localizzato all’interno dell’utero, impedendo la gravidanza. In questi casi, soprattutto se la donna è giovane, l’intervento deve essere il più possibile conservativo, in modo da darle la possibilità di avere un figlio, se lo desidera».
Over 45 e interventi chirurgici
E per le over 45? L’unica possibilità è l’intervento chirurgico?
«No, non lo è e se la donna non è convinta è sempre meglio chiedere un secondo parere, soprattutto se deve affrontare un’operazione. Quando mancano pochi anni alla menopausa, il nostro asso nella manica è spesso la terapia farmacologica. In sostanza, prescriviamo cure ormonali che mettono in pausa utero e ovaie e di conseguenza tolgono al fibroma il nutrimento per crescere. Questo fino a quando cessa in modo fisiologico l’attività ovarica, perché spesso quando si arriva a questa fase, il fibroma si atrofizza del tutto, rendendo inutile l’intervento».
Come prevenire le situazioni acute
Abbiamo parlato di situazioni acute, ma cosa si può fare per giocare d’anticipo?
«Intanto, chiedere che insieme alla visita ginecologica venga fatta anche l’ecografia, perché l’esplorazione manuale non è mai altrettanto dettagliata. È un esame importante, ma ancora sottovalutato: spesso le mie pazienti mi dicono che l’ultima ecografia risale alla gravidanza. L’altro esame fondamentale è il pap-test perché è l’unico modo per diagnosticare precocemente cellule precancerose della cervice uterina. Il fattore tempo è fondamentale: l’impossibilità a proseguire con i controlli, a causa del periodo complesso che abbiamo vissuto e il timore più che naturale di entrare in un ambiente ospedaliero, hanno creato un ritardo diagnostico per le lesioni della cervice uterina. Dobbiamo recuperare in fretta il tempo perduto, anche perché stiamo vedendo sempre più forme aggressive nelle donne under 50».
Come si curano oggi le lesioni precancerose
«La terapia in sé non è cambiata negli ultimi anni ed è chirurgica, con un intervento in anestesia locale. Ma oggi grazie alla vaccinazione anti-papilloma virus siamo in grado di abbattere di oltre il 90% il rischio di insorgenza delle alterazioni che con il tempo possono trasformarsi in tumore. E gli studi sono ormai così importanti che in un numero crescente di Regioni il vaccino viene offerto gratuitamente alle pazienti dopo l’asportazione della lesione precancerosa. Le ricerche hanno visto che a determinare il danno è quasi sempre uno solo dei virus incriminati: questo significa che se vacciniamo allontaniamo il rischio di nuove lesioni, dovute ad altri tipi di papilloma pericolosi dal punto di vista oncologico».
La vaccinazione anti-papilloma virus
La vaccinazione anti-papilloma virus funziona anche nelle donne adulte sane?
«La massima copertura si ha sicuramente quando la vaccinazione anti-papilloma viene effettuata alle dodicenni e comunque prima di ogni tipo di rapporto sessuale, preliminari compresi. Perché in questa fase sono vicine allo zero le probabilità di entrare in contatto con uno degli oltre 100 tipi di papilloma, inclusi quelli a rischio oncologico. È possibile però sottoporsi alla vaccinazione fino ai 45 anni. Può essere il caso della donna sana che lo desidera perché ad esempio ha una vita sessuale molto attiva. In questa situazione il vaccino non è gratuito: costa circa 500 euro».
Quali sono gli esami ginecologici considerati salvavita
● La visita ginecologica con ecografia transvaginale. Si eseguono una volta all’anno a partire dal primo rapporto sessuale. Insieme, permettono di avere una visione completa di utero e ovaie e di eventuali alterazioni. Al momento, rappresentano l’unica arma per la diagnosi precoce del tumore ovarico.
● Il PAP test e HPV-DNA Test Entrambi identificano precocemente problematiche alla cervice uterina, ma con una differenza sostanziale; il Pap test scopre se ci sono già cellule alterate, mentre l’HPV-DNA test, in caso di presenza del virus, ne legge il DNA. Sono a carico del Servizio sanitario.
Il Pap test si esegue ogni tre anni a partire dal primo rapporto sessuale.
A 30 anni, è possibile passare all’HPV test che si esegue ogni cinque anni.
Quando è il caso di rivolgersi subito al ginecologo
Il dolore non va mai sottovalutato se è sempre presente oppure se è una costante durante il flusso mestruale ed è così intenso da impedire una vita normale. Occhio anche ai dolori che si presentano durante oppure dopo i rapporti sessuali. Le perdite sono un campanello d’allarme da non trascurare quando hanno un odore intenso, oppure sono simili a un flusso leggero, miste a sangue. Questo sempre e ancora di più se sono accompagnate a dolore, oppure fanno la loro comparsa dopo i rapporti sessuali.