È stato chiamato divorzio veloce o breve: solo pochi mesi per mettere fine a un rapporto ormai arrivato al capolinea, che si trattasse di matrimonio o convivenza stabile. Così almeno era nelle intenzioni della legge approvata 5 anni fa allo scopo di ridurre i tempi per dirsi addio. Ma stando ai dati del ministero della Giustizia, porre fine a una relazione non è così semplice. Niente divorzio veloce, dunque? «Si tratta di una definizione ingannevole, perché divorzio breve fa pensare a una riduzione dell’intera procedura, mentre in realtà si è abbreviato solo il termine entro cui si può inoltrare la richiesta di divorzio o separazione. In caso di controversia, dunque di conflittualità tra le parti che non trovano accordo e che rappresenta la maggior parte della casistica, i tempi sono rimasti gli stessi e quelli della giustizia, come è noto, sono lunghi. È per questo che si può arrivare anche a 7 anni per la prima sentenza» spiega l’avvocata divorzista Claudia Rabellino Becce, autrice del libro Felici a 50 (Morellini Editore), in cui scrive anche della difficoltà di affrontare un passaggio della vita così delicato, spesso a cavallo dei 50 anni.
Quanto tempo ci vuole per dirsi addio?
Con la legge 55/2015 sono stati ridotti da 3 anni a 6 mesi i tempi per chiedere il divorzio per separazione consensuale, da 6 a 12 mesi per via giudiziale. Eppure nella realtà sembra non andare così, tanto che secondo le statistiche del Ministero di Giustizia (dati 2017) si arriva anche a 7 anni per una sentenza di primo grado. Il calcolo è semplice: un normale processo di primo grado, infatti, dura in media 1.200 giorni, oltre tre anni, mentre una sentenza d’Appello occorrono circa due anni e tre mesi, e in Cassazione altri tre anni e quattro mesi. Nei casi di separazione e divorzio la durata dei processi può essere anche maggiore. «È sempre difficile prevedere la durata di una causa perché dipende dalla sua complessità: potrebbe essere necessario sentire testimoni o richiedere consulenze tecniche, come quelle psicologiche o contabili sul patrimonio di uno dei due coniugi. Tutto ciò può portare via anni» spiega Rabellino Becce.
Nessuna corsia preferenziale con i figli minori
«La legge del 2015 ha introdotto anche procedure differenti di separazione o divorzio per ridurre la durata: ad esempio, con la negoziazione assistita gli avvocati di entrambe le parti tentano un’intesa senza arrivare in Tribunale, ma ci deve essere appunto un accordo. Se non c’è conflittualità si può procedere anche senza legali di parte, semplicemente recandosi in Comune da un pubblico ufficiale, a condizione però che non ci siano figli minori, portatori di handicap o maggiorenni ma non autosufficienti» spiega l’esperta. Nessuna corsia preferenziale o più veloce, dunque, in caso di bambini piccoli, anzi: «Quando ci sono i figli spesso è tutto più complicato, perché occorre decidere sull’affido. Sono frequenti le consulenze psicologiche sui genitori per definire quale sia la migliore collocazione del figlio. Si può anche dover ascoltare il bambino in ambiente protetto, perché sono all’ordine del giorno le recriminazioni tra i genitori che hanno a che fare coi figli e questo allunga enormemente i tempi» spiega Rabellino Becce.
Nel frattempo si vive in una sorta di “limbo” durante il quale ci si affida a decisioni provvisorie del giudice.
Casa, figli e assegni: come si fa in attesa di sentenza?
Come stabilire chi deve vivere nella ex casa comune dopo l’avvio dell’iter di separazione o divorzio? Chi ha diritto a un assegno di mantenimento e di quanto? Con chi devono o possono stare i figli? «In attesa della sentenza definitiva, si fa riferimento alle disposizioni provvisorie decise dopo la prima udienza davanti al presidente del tribunale. È evidente che sono adottate in una fase della causa nella quale non c’è ancora un’istruzione sufficiente, che porti a un provvedimento ottimale, quindi resta l’urgenza di arrivare il prima possibile a sentenza: un’esigenza che l’attuale sistema giudiziario non sta rispettando per diversi motivi» spiega l’avvocata.
Perché è così difficile?
«Sono due le criticità fondamentali, una di carattere procedurale, l’altra strutturale al sistema giudiziario. Nel primo caso parliamo dell’esigenza di norme che snelliscano il processo, saltando per esempio parti non strettamente necessarie. Ma tutti i tentativi condotti finora non hanno portato al risultato sperato. Nel secondo caso, invece, si fa riferimento alle carenze di organico, sia nelle cancellerie che tra gli stessi giudici che spesso devono affrontare una mole di lavoro che supera il buon senso. L’evasione di quel carico comporta inevitabilmente tempi lunghi» spiega l’esperta.
Quando sono gli “ex” a non volersi realmente separare
A volte a rallentare l’iter burocratico sono anche ripicche e atteggiamenti poco concilianti da parte degli stessi coniugi, che non sono realmente pronti a dirsi addio in modo definitivo: «Capita spesso che una delle parti sia pronta a voltare pagina, mentre l’altra non ha ancora elaborato il distacco. In questi casi la litigiosità è un modo per mantenere un legame, seppure conflittuale, con l’altro. Con la vecchia legge io notavo che i tre anni che dovevano passare tra la separazione e il divorzio – che non sono pochi nella vita di una persona perché possono portare molti cambiamenti – portavano a un atteggiamento diverso negli ex partner, che erano più pronti a divorziare definitivamente» spiega l’avvocata divorzista. «Io consiglio sempre di orientare le proprie scelte in tema di separazione e divorzio, non in base a ciò che fa più male all’altro, ma secondo ciò che è realmente meglio per noi stessi».