C’era una volta il matrimonio, quello che durava tutta la vita. Oggi sono sempre meno le coppie che scelgono le nozze e sempre di più quelle che decidono per il divorzio.
In Italia secondo l’Istat il numero di divorzi dal 1995 è aumentato del 101%. Le donne lavorano di più, sono più indipendenti economicamente, trascorrono più tempo fuori da casa e hanno maggiori possibilità di socializzazione al di fuori della cerchia familiare. Ma le conseguenze dei cambiamenti sociali si fanno sentire anche nelle aule dei tribunali, al momento della separazione e del divorzio.
Donne lavoratrici, cambiano le sentenze di divorzio
Se un tempo le nozze duravano in media 60 anni, oggi si fermano a circa 15. Tra le conseguenze, ci sono le decisioni che vengono prese al momento di dirsi addio, soprattutto davanti ai giudici. Alcune delle tutele previste in passato, come l’assegno di mantenimento, sono state fortemente ridimensionate (quando non cancellate) proprio in virtù del fatto che le donne lavorano, sono in grado di mantenersi e hanno “sacrificato” meno (in termini di durata del matrimonio e di rinunce professionali) in nome del marito o della famiglia.
Ecco com’è cambiato il divorzio.
1. Assegno di mantenimento addio?
Occorre distinguere tra l’assegno per i figli e quello per l’ex coniuge. “Nel caso dell’assegno per i figli, tra i giudici sta crescendo l’orientamento secondo cui più giorni di frequentazione sono previsti per la figura paterna, più va ad assottigliarsi l’emolumento per il contributo mensile” spiega spiega l’avvocato Lorenzo Puglisi, presidente e fondatore dell’Associazione Familylegal, secondi cui “nel 2019 il matrimonio non puo’ più essere considerato una win for life: anche nei casi di mariti o moglie abbienti, non esiste più la certezza di trarne una concreta utilità, a maggior ragione di durata vitalizia”. Insomma, l’assegno per il mantenimento dei figli sarà più leggero: “Questo perché il padre che tiene i figli 13 o 14 giorni al mese di fatto arriva a mantenerli per metà del mese. Alcuni giudici, come già accade a Genova, prevedono l’azzeramento dell’assegno, perché ciascuno dei genitori provvede direttamente alle spese dei figli, senza chiedere nulla all’altro” aggiunge l’esperto.
Una tendenza analoga, ossia verso la cancellazione, si registra per l’assegno a favore dell’ex coniuge: “Sempre più sentenze, come confermato anche dal recente pronunciamento della Cassazione, tengono conto della durata del matrimonio: più è breve, meno è probabile che si preveda l’assegno, come nel caso di donne che sono state sposate per soli 6 o mesi o un anno. A ciò si aggiunga la considerazione che se la ex moglie (o il marito) ha piena capacità lavorativa ed è in età da lavoro, i giudici ritengono che debba trovare un’occupazione e provvedere al proprio mantenimento in modo autonomo. Di fatto non esiste più l’obbligo del marito di preservare il tenore di vita precedente alla ex” spiega l’avvocato Puglisi.
2. Pensione di reversibilità a rischio
Un effetto pratico è anche che la ex moglie (o marito) potrebbe vedersi non riconosciuta la possibilità di godere del 40% del TFR maturato dal coniuge in caso di matrimonio. Lo stesso vale per la pensione di reversibilità, che fino a qualche tempo fa poteva essere incassata in caso di morte del coniuge, seppure da divorziati.
3. Divorzi più rapidi
Quando ci si separa non è detto che entrambi gli ex coniugi siano d’accordo, dunque che si possa raggiungere un’intesa consensuale. Ma se fino a qualche tempo fa le cause in Tribunale duravano anni, oggi i tempi sono decisamente più rapidi: “Con una riforma di un paio di anni fa, è stato ridotto da tre anni a sei mesi il tempo che deve passare tra separazione e divorzio nel caso di accordo (12 mesi se la separazione è giudiziale). Questo fa sì che nella pratica spesso ci si accordi in vista del divorzio già in fase di separazione, in modo da accorciare ulteriormente i tempi. L’ausilio di sezioni specializzate e di Giudici onorari ha parzialmente ridotto il carico di contenziosi, dunque anche nei casi più gravi difficilmente si superano i tre anni” spiega l’avvocato Puglisi.
4. Attenzione ai tradimenti online
“I tradimenti interessano sempre meno ai giudici: è difficile provare che siano la reale causa della rottura coniugale, quanto piuttosto una conseguenza di un malessere della coppia. Per questo l’adulterio non è sempre considerato un fattore decisivo. Va invece tenuto presente che l’adulterio non è necessariamente “carnale”: anche un flirt telematico può essere ritenuto un comportamento lesivo del rispetto e della coppia, perché viola i doveri coniugali” spiega il fondatore di Legalfamily.
5. La casa non va più sempre alla madre
Quando ci si separa, soprattutto in seguito proprio a un tradimento, ai risentimenti personali si aggiunge il problema dei figli, che spesso si trovano al centro di una vera e propria contesa, con la richiesta di affido esclusivo da parte di uno o entrambi i genitori. Anche in questo caso l’orientamento dei giudici sembra ormai cambiato: “Se il padre ottiene la metà esatta del mese per occuparsi dei figli e provvede al loro mantenimento diretto senza assegno, automaticamente viene meno anche il presupposto per chiedere la casa. Uno degli scenari possibili è quello della rotazione, anche se presenta qualche difficoltà, a partire dal fatto che si presuppone un certo tenore di vita: nel periodo in cui non vive nella ex casa comune, ciascuno dei due genitori deve averne a disposizione un’altra, il che non è sempre sostenibile” dice l’avvocato.
Matrimoni in calo. E per gli altri?
Secondo i dati Istat, i divorzi sono in aumento, specie negli over 50 (tra i 55 e i 64 anni), più che quadruplicati rispetto al 1991, mentre calano i matrimoni, tanto che 8 uomini su 10 tra i 25 e i 34 anni non arrivano all’altare (65% tra le donne). A crescere, invece, sono le unioni di fatto, soprattutto in grandi città come Roma, Milano e Torino, con quasi un’unione civile su quattro. Ma come funziona in caso di separazione tra persone conviventi e non sposate? “Al momento non è previsto alcun assegno di mantenimento per l’ex partner, anche se di recente c’è stata un’apertura in tal senso nel caso di convivenze superiori ai tre anni o rapporti consolidati per decenni, ma si tratta ancora di una corrente minoritaria. Sono invece identiche le leggi che normano il caso dell’affidamento dei figli e della casa. In alcuni casi, comunque, va detto che alcuni tribunali tendono a prevedere assegni più bassi per le coppie di fatto, come ad esempio a Milano. Vale infine sempre il principio, anche per le coppie di fatto e a maggior ragione per chi non è sposato, che l’ex partner deve provvedere al proprio mantenimento alla fine di un rapporto” conclude l’esperto.