La sentenza che ha sollevato la questione (o meglio, risollevato) arriva da Foggia, dove un uomo ha chiesto il divorzio dalla moglie accusandola di non cucinare, non lavare e non stirare, insomma di non occuparsi a dovere della casa. Il giudice, però, non gli ha dato ragione e anzi ha chiarito quelli che sono i diritti e doveri all’interno del matrimonio.
Divorzio perché lei non si prende cura del marito: un caso esemplare
A pronunciarsi sul caso pugliese è stato il giudice Paolo Rizzi, che con una sentenza del 5 maggio scorso, non ha accolto la richiesta di un uomo che chiedeva il divorzio sostenendo che la ex moglie «non si prendeva cura di lui». Più precisamente non cucinava, non lavava e non stirava i suoi pantaloni, magliette e camice. Tutto ciò era motivo di continui litigi tra i due. Il giudice, però, non gli ha dato ragione, respingendo in modo categorico l’idea che la moglie possa essere sottomessa al marito: «Non è ammissibile una situazione di sottomissione di uno a svolgere lavori di mera cura dell’ordine domestico». «Purtroppo è ancora molto forte lo stereotipo di genere secondo cui è la donna a doversi occupare esclusivamente o prevalentemente dei lavori domestici. Le ragioni del ricorso del marito, in questo caso, vanno ricercate proprio in una base culturale che affonda le radici in questo convincimento. Fortunatamente il giudice non lo ha accolto, richiamando a quanto previsto dal Codice civile, cioè che il matrimonio attribuisce ai coniugi uguali diritti e doveri, dunque sostiene la parità di genere» spiega l’avvocato divorzista Claudia Rabellino Becce.
La legge definisce la parità nel matrimonio
Rizzi, nel respingere le richieste dell’uomo, si è richiamato a quanto previsto dal Codice civile: «Con il matrimonio marito e moglie acquistano gli stessi diritti e assumo i medesimi doveri». Il che significa che non è previsto che sia necessariamente la moglie a doversi occupare delle faccende domestiche. Non solo: la legge prevede che entrambi i coniugi siano tenuti all’obbligo di fedeltà, alla collaborazione nell’interesse della famiglia, alla coabitazione e all’assistenza morale e materiale reciproca: «Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavori professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia».
Anche i figli devono aiutare
Non solo: Rizzi ha anche richiamato ai propri doveri i figli. Secondo quanto scritto dal giudice, anche in famiglia anche i figli sono tenuti a contribuire «nell’ottica di una educazione responsabile». «In questo caso non si tratta di una questione giuridica, ma di buon senso: tutti all’interno della famiglia hanno l’onere di contribuire, in relazione a quanto sanno e possono fare, alla vita domestica» spiega l’avvocato.
I lavori domestici sono un tema al centro delle separazioni
«Di casi analoghi ce ne sono ancora tanti perché serve ancora tempo per superare un retaggio culturale così radicato – spiega Rabellino Becce – Ci sono persino stati casi nei quali il marito ha denunciato la moglie per maltrattamenti perché a suo dire lei non lo curava a dovere, non stirava o non cucinava, quindi lui si sentiva maltrattato. Purtroppo questo genere di motivazioni si trova nei ricorsi per separazione».
Esiste, però, anche il caso opposto, ossia quello della donna che denuncia il marito per maltrattamenti quando lui la umilia, costringendola a occuparsi esclusivamente di lavori domestici: «Nel 2006 la Cassazione si è pronunciata con una sentenza dando ragione alla donna, quindi occorre prestare attenzione al comportamento del coniuge che appunto potrebbe incappare nel reato di maltrattamenti in famiglia» spiega l’esperta.
Il cambiamento avverrà con la prossima generazione
«Le statistiche e la realtà ci dicono che i lavori domestici, di cura dei figli o dei genitori anziani sono pressoché completamente a carico delle donne. La pandemia ha acuito il fenomeno e ci ha mostrato le difficoltà delle donne alle prese con lo smart working e anche con i compiti di cura. Occorre un cambiamento culturale, ma perché questo accada serve tempo: rispetto alla generazione precedente abbiamo già compiuto passi avanti e penso che quella successiva, dei nostri figli, possa arrivare ad avere una visione paritaria dei ruoli. Ma bisogna partire dall’educazione in famiglia, perché i figli tendono a replicare i modelli che vedono in famiglia» conclude l’avvocato Rabellino Becce.