Una sfilza di “ordini esecutivi”: così il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha voluto inaugurare il nuovo corso del suo governo. Decisioni prese subito e “di rottura” rispetto al passato. E anche il “cipiglio” molto decisionista che ci arriva dai suoi social non è un caso. Ecco le prime mosse dei Trump: the Donald e first lady. Le prime uscite, le prime decisioni.
Aborto
Uno dei primi ordini esecutivi firmati da Donald Trump ha bloccato i finanziamenti federali degli Usa, alle organizzazioni internazionali non governative impegnate nel fornire servizi alle donne che decidono di abortire. Il provvedimento era stato introdotto nel 1984 dall’allora presidente repubblicano Ronald Reagan. «Questa decisione è un punto di rottura rispetto all’amministrazione Obama (presidente democratico), ma in realtà non è una rivoluzione rispetto alla politica del partito repubblicano. Dopo Reagan, infatti, è stato applicato da Bush padre al suo insediamento, rigettato da Clinton (Dem) e reintrodotto da Bush figlio (Repubblicano) ed ancora rigettato da Obama al suo insediamento, 8 anni fa» ci spiega Gianluca Pastori, docente all’Università Cattolica e ricercatore presso l’Ispi, Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano.
Immigrazione
Le decisioni prese dal presidente Trump sull’immigrazione hanno fatto molto clamore: abbiamo visto scene di proteste agli aeroporti e passeggeri respinti perché non accettati nel territorio statunitense. In particolare, il 27 gennaio, il presidente ha firmato l’ordine esecutivo “Proteggere la nazionale dall’ingresso dei terroristi musulmani negli Stati Uniti”. L’ordine sospende per 120 giorni l’intero sistema di ammissione dei rifugiati nel paese, lo U.S. Refugee Admissions Program (Usrap), e limita per almeno 90 giorni l’ingresso di rifugiati e migranti provenienti da sette paesi a maggioranza musulmana: Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. La decisione è passata sotto il nome di “Muslim ban”. «Politiche di contenimento dell’immigrazione erano state poste in essere anche dalla precedente amministrazione: Obama ha un solido record di espulsioni di clandestini. Con Trump, c’è stato un cambiamento di stile: il nuovo presidente ha fatto le cose in modo più eclatante, più aggressivo. Ha cercato volutamente l’incidente, per mandare due messaggi chiari: Al suo elettorato (“faccio quello che ho promesso”) e al suo partito (“Attenzione: io ho intenzione di essere quello che ho detto di voler essere e non ho intenzione di adeguarmi alle vostre logiche di partito”)» commenta Gianluca Pastori.
Industria e lavoro
Con Trump si inaugura un nuovo corso economico, di tipo protezionistico. L’idea alla base del motto “America first” è: meno aziende che se ne vanno all’estero per le produzioni, più posti di lavoro per gli americani. Quindi bisogna fare in modo che i sisti di produzione restino sul territorio americano. «Di qui – dice l’esperto – il rigetto del trattato commerciale transpacifico (Ttp), accordo per facilitare il commercio e gli scambi, stimolare la crescita economica, riducendo le tariffe fra i paesi. E anche la costruzione del “Muro” con il Messico è in questa direzione, perché da quello Stato arriva la manodopera per le aziende Usa. Il punto è: quanto è sostenibile? Gli Usa hanno esternalizzato molto, ma la loro economia dipende dal grado di integrazione con altre nazioni. Facciamo un esempio: dal Messico entrano prodotti finiti, ma anche tanti semilavorati, che poi vengono completati negli Usa, facendo marciare l’economia. L’introduzione di nuovi dazi alle frontiere sui beni che vengono importati dall’estero potrebbero favorire un colpo grave al funzionamento dell’economia Usa. Trump ha anche annunciato un piano di opere pubbliche, che nelle sue intenzioni daranno lavoro a centinaia di americani. Piano che però ancora non si conosce».
Ambiente
Con una serie di ordini esecutivi, l’ambiente è il vero dossier di rottura rispetto alla precedente amministrazione. Obama si era mostrato molto attento alle tematiche ambientali. «Trump è l’esatto opposto. Ma le politiche green sono molto divisive negli Usa: non tutti erano d’accordo con Obama, non tutti gli americani sono consapevoli delle queste politiche verdi. E il presidente incarna una parte dell’opinione pubblica, quella che considera le preoccupazioni in tema di materia ambientale infondate: è sintonizzato con quello che dice una parte del suo elettorato» chiarisce il ricercatore dell’Ispi. Martedì 24 gennaio, c’è stata la firma che autorizza la costruzione di due oleodotti: Keystone (che si collega con il Canada) e Dakota Access. Quest’ultimo in particolare passerebbe nei territori dei Sioux, nello Stato del Dakota. Decisioni che hanno scatenato le proteste di ambientalisti, oltre che dei nativi americani. Obama aveva bloccato questi progetti.
Trump ha incontrato poi i “Big dell’auto” (gli amministratori delle case produttrici). Il presidente ha promesso di rendere più morbide le linee a tutela dell’ambiente (cui le case automobilistiche devono attenersi), chiedendo in cambio che si produca negli Stati Uniti. «Siamo di fronte a un ambientalismo fuori controllo», ha dichiarato il presidente, confermando la sua avversione verso queste tematiche. E ha annunciato un taglio del 75% di leggi e regolamenti ambientali.
Lotta all’Isis
Un altro “executive order” approvato nei primi giorni di governo riguarda la lotta all’Isis. In realtà è solo un impegno: «Il presidente ha fatto intendere la possibilità di un intervento armato, congiunto con Russia. Bisogna vedere a questo punto quanto di questo intendimento sarà realizzabile e come. Anche perché al Pentagono (la Difesa Usa) sanno bene quanto sia problematico intervenire in Iraq e Siria, con militari sul campo, per battere nemici così sfuggenti come i tagliagole del sedicente Stato Islamico. Sono state queste riserve a trattenere l’amministrazione Obama da un intervento diretto in quei teatri di guerra» precisa Gianluca Pastori.
Alleanze internazionali
L’impegno Usa in Medio Oriente è legato alle alleanze internazionali. «Trump non ha mai nascosto la tentazione di ristabilire relazioni efficaci e positive con Russia, dopo il gelo fra Obama e il presidente russo. Da come si evolverà questo rapporto bilaterale, molte cose potrebbero cambiare in funzione anti-Isis» dice l’esperto dell’Ispi.
Il primo leader straniero incontrato è invece la premier inglese Theresa May: e anche questo è un dettaglio non di poco conto. Trump ha infatti ricordato la necessità di una relazione speciale con il Regno Unito. «Gli inglesi erano l’ingranaggio che teneva collegati Usa e Unione Europea. Ora con la Brexit, il Regno Unito ha perso questo compito. Ed è in questa prospettiva che Theresa May è il primo leader mondiale incontrato: per riaffermare il legame che esiste fra questi due governi che hanno ridato potere al popolo (l’uno scegliendo Trump, l’altro votando pro Brexit). Il loro colloquio, comunque, non è stato così sereno come si pensava o si voleva far vedere. La divergenza principale è stata sulla Nato, l’organizzazione del Patto Atlantico, alleanza militare che vede la collaborazione di molti paesi europei e degli Usa. Trump ha chiesto il disimpegno americano da questa organizzazione principalmente impegnata nella difesa e sicurezza dei territori dell’Unione europea: la Nato per gli Usa è un costo economico importante. Ma May sa che la sicurezza europea, fuori dall’Unione, deve per forza appoggiarsi e dipendere dagli Stati Uniti».
I primi scandali alla Casa Bianca
Nel pieno della crisi diplomatica tra Donald Trump e Enrique Peña Nieto, il presidente del Messivco, per la decisione del tycoon di costruire il muro con il Messico, Vanity Fair ha dedicato la principale intervista alla nuova first lady Usa. Ma lo scatto ha scatenato accuse e veleni sul web: esempio di una distanza tra il Palazzo e la realtà. Secondo molti utenti, è stata una provocazione di fronte alle crisi umanitarie e al dramma dei rifugiati, in particolare dopo l’ordine esecutivo di Trump sul “Muslim ban”. Melania Trump è stata paragonata a Maria Antonietta, regina di Francia, quando agli albori della Rivoluzione francese, pronunciò la frase: «Se hanno fame, mangino brioche», rivolgendosi al popolo affamato.
Stessa accusa mossa alla figlia prediletta di The Donald, Ivanka, che invece sui social ha postato una foto di sé, tutta agghindata in un elegantissimo e costosissimo abito da sera mentre infuria la tempesta sul bando all’ingresso di rifugiati in Americ