Non è invasiva, «non ha conseguenze sulla mamma o sul bambino ed è una procedura diversa e separata dalla donazione del sangue del cordone ombelicale». È la donazione della placenta, che si può effettuare al momento del parto. Per la prima volta un intervento del genere è stato eseguito in questi giorni in Friuli Venezia Giulia, a Udine, in collaborazione tra Clinica di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale della città, il Centro Regionale Trapianti e Banca dei Tessuti del Veneto. «Mi ha fatto molto piacere sapere che in Friuli Venezia Giulia sia stata effettuata la prima donazione di placenta, perché in questo modo aumentano il numero di centri che possono diventare punto di raccolta di placenta umana, visto il grande potenziale terapeutico che hanno alcuni tessuti e prodotti derivati da questa», ha commentato Ornella Parolini, pioniera in questo campo, Professore ordinario dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore del Centro di Ricerca Eugenia Menni (CREM) di Fondazione Poliambulanza di Brescia, che da oltre vent’anni utilizza placente umane a termine come fonte di cellule staminali adulte.
Ma in cosa consiste e perché può essere utile?
Cos’è la donazione della placenta
«La placenta è l’organo di scambio tra la madre e il feto che svolge fondamentali funzioni nutritive, respiratorie, escretrici, ormonali e protettive nel grembo materno e viene espulsa successivamente al parto. Dopo il parto, infatti, non ha più alcuna funzione e viene solitamente eliminata come rifiuto biologico», chiarisce la professoressa Parolini del CREM di Fondazione Poliambulanza,
La placenta, intatti, contiene proprio cellule staminali e ha potenzialità enormi per lo sviluppo di nuove terapie, in particolare nel settore della medicina rigenerativa.
Come funziona la donazione: quando e come
«Se il parto avviene in una struttura che lo prevede, le madri possono decidere di donare la placenta procedendo alla compilazione di moduli per il rilascio del consenso. La donazione non prevede nessun tipo di intervento invasivo ed è per questo completamente sicura, sia per il bambino che per la madre», spiega Parolini.
Per la donna non c’è alcun costo, l’importante è che rientri in alcuni quadri clinici che permettono di effettuare la donazione e che le vengono illustrati nel caso sia interessata.
«La donazione non ha conseguenze sulla mamma o sul bambino – ricorda anche l’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale – ed è una procedura diversa e separata dalla donazione del sangue del cordone ombelicale; dopo il trattamento della placenta per la separazione della membrana amniotica, quest’ultima viene conservata presso la Banca dei Tessuti e messa a disposizione dei reparti che ne facciano richiesta».
Le differenze rispetto alle altre donazioni
La donazione di placenta avvenuta in Friuli rappresenta una novità perché finora si era parlato soprattutto di donazione di sangue placentare e cordone ombelicale. «Il prelievo e la conservazione del cordone non è così facile e ha un costo più alto, intorno ai 2mila euro. Il sangue, invece, può essere raccolto dalla placenta o dal cordone. È comunque lo stesso tipo di sangue, cioè ricco di cellule staminali capaci di generare globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Viene poi raccolto in una sacca sterile, etichettato e conservato tramite congelamento in azoto liquido a 196° sotto zero», spiega Daniela Galliano, medico chirurgo, specializzata in Ginecologia, Ostetricia e Medicina della Riproduzione, Responsabile del Centro PMA di IVI Roma.
Si può conservare la placenta o il cordone per il proprio bimbo?
Se in linea teorica e al netto dei requisiti medici qualunque donna può donare la placenta o il cordone ombelicale, occorre ricordare che questo può avvenire «sempre e solo in forma di donazione: cioè a tutte le donne a fine gravidanza può essere offerto di farlo, ma mai a scopi personali», chiarisce Galliano. Insomma, non si può chiedere di conservare placenta o ombelico per sé o il figlio, in caso di eventuali “necessità” future: «Quello che non si può fare in Italia, infatti, è donare il sangue cordonale per uso riservato esclusivamente al proprio neonato. La legge italiana però permette di esportarlo in una struttura estera, a proprie spese, e conservarlo per uso personale», chiarisce ancora la ginecologa.
A cosa e a chi serve la placenta
«La membrana amniotica, che viene normalmente scartata dopo il parto «è dotata di notevoli capacità rigenerative e pertanto può essere utilizzata con successo in situazioni cliniche complesse come le ustioni estese, le ulcere di difficile guarigione o, se polverizzata e usata all’interno di un collirio, facilitare la guarigione di ferite dell’occhio», spiega l’Azienda sanitaria universitaria Friuli centrale.
Ma non solo: «Dal sangue placentare è possibile il recupero delle cellule staminali ematopoietiche, che trapiantate possono curare svariate malattie del sangue. Dai tessuti placentari, invece, è possibile ottenere vari derivati uno di questi è la membrana amniotica, ma ci sono anche diverse tipologie di cellule. Il potenziale terapeutico di tutti questi derivati è basato sulla capacità di alcune cellule (chiamate mesenchimali stromali) di modulare la risposta infiammatoria e promuovere la rigenerazione dei tessuti in diverse patologie degenerative», spiega Parolini che è anche presidente dell’International Placenta Stem Cell Society e nel 2016 ha ricevuto il prestigioso premio internazionale STANDOUT WOMAN.
Come donare la placenta
«La placenta – spiega Lorenza Driul, direttrice della Clinica di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale di Trento – può essere donata quando il parto avviene mediante taglio cesareo programmato dopo la 35/a settimana e non vi sono malattie importanti nella mamma o nel bambino. Il personale sanitario della Clinica di Ostetricia propone la possibilità di donare la placenta alle mamme nel corso della gravidanza, prima del cesareo».
Lo stesso tipo di procedura è seguita in tutte le strutture dove è possibile donare placenta o cordone.