Un Mba executive per 500 donne che aspirano a diventare manager. È una delle proposte che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha portato a casa dagli Stati Generali dell’Economia che si sono appena conclusi. Cos’è un Mba executive? Un master in campo economico che può costare più di 30.000 euro. Pregevole il pensiero rivolto alle donne. Esemplare l’approccio utilizzato: formiamole, affinché possano avere le stesse possibilità degli uomini. Cinquant’anni fa poteva avere un senso. Oggi, però, in Italia si diploma il 63,8% delle donne contro il 59,7% degli uomini, e si laurea il 22,1% contro il 16,5%. Non ho recuperato dati relativi ai corsi post-laurea, ma scommetto che il trend non si discosti molto.
Quello che Conte e i promulgatori della proposta ignorano è che la discriminazione verso le donne, in Italia, è “sistemica”. E, come ha scritto Simon Kuper per il razzismo sistemico negli Usa, è quasi invisibile. Si tesse di «infinite procedure e decisioni quotidiane, il più delle volte inconsce». Io ci credo che la gran parte degli imprenditori, degli amministratori delegati e degli head hunter sia onestamente convinto di non discriminare le donne nei ruoli apicali. E che, rimproverato di aver scelto un uomo, ritenga sinceramente di non aver trovato una donna all’altezza. Assomigliano probabilmente ai nonni sudafricani dello stesso Simon Kuper, progressisti, di sinistra, che criticavamo duramente il regime dell’apartheid mentre se ne stavano a bordo piscina, serviti da camerieri neri, godendo dei privilegi che quello stesso regime concedeva loro.
Combattere un sistema discriminatorio è difficile. Ma un onesto primo passo è formulare in modo corretto il problema. Che, per le aspiranti donne manager, non è di competenze. Io frequento un corso promosso da Valore D destinato alle donne che ambiscono a far parte dei consigli di amministrazione. Gli uomini non ne hanno mai avuto bisogno. Perché noi donne sì? «Perché non c’è nulla di peggio di una donna silente. Nei cda come nella vita», ci ha detto alla prima lezione Alessandra Perrazzelli, vice direttrice generale di Banca d’Italia. Il non-detto in questa frase è che, una volta ottenuta l’opportunità di entrare in un consiglio di amministrazione (grazie a una legge, ricordiamolo!), non possiamo prenderci il lusso di sprecare quell’occasione.
In ogni donna che siede in un cda si gioca l’idoneità di metà del genere umano a quella carica. Non dovrebbe essere così: noi donne dovremmo avere il diritto di essere impreparate come gli uomini. Ma tant’è. Questo corso ci trasmette alcune competenze tecniche, certo. Ma ci offre soprattutto ciò che incontreremmo in modo naturale solo tra altri 50 anni: una rete di decine di donne che ammortizzano le nostre cadute e ci rilanciano verso obiettivi ancora più alti. Una comunità di professioniste in cui vedere specchiate le nostre paure e l’orgoglio per i nostri successi. Di questo hanno bisogno le donne. Non certo di un altro costosissimo titolo di studi.