La pandemia e la crisi energetica dovuta alla guerra in Ucraina non aiutano l’economia, eppure dal mondo del lavoro arrivano dati incoraggianti, soprattutto per le donne. Se è vero che esiste ancora il gender gap e che per le lavoratrici non è facile sfondare il cosiddetto “tetto di cristallo” (quello che impedisce o limita l’accesso alle posizioni manageriali e dirigenziali alle donne), è altrettanto vero che molti passi avanti sono stati compiuti.
Il sondaggio: le donne avranno sempre più ruoli di primo piano
Secondo un sondaggio condotto da Adecco, oltre l’85% dei lavoratori e il 95% delle aziende ritengono che le donne nei prossimi anni avranno ruoli sempre più di primo piano e una presenza più corposa in settori che oggi vedono una prevalenza nettamente maschile. Solo 1 italiano su 10 ritiene che la situazione non migliorerà. «Sono dati incoraggianti che forse neppure noi ci aspettavamo quando abbiamo deciso di avviare questa indagine e alla luce del risultato oggi possiamo parlare di una certa positività» spiega Monica Magri, Group HR & Organization Director di The Adecco Group Italia, in occasione dell’incontro “Donne & Lavoro – Il lato positivo”, organizzato proprio da Adecco Group Italia. Ma dove cresceranno le donne?
Il gender pay gap resiste, però…
Il gender pay gap è uno degli esempi di disparità tra donne e uomini nel mondo del lavoro. Secondo alcuni dati recenti, in Italia solo il 28% dei manager è donna e per colmare il divario tra uomini e donne nel mondo potrebbero volerci 132 anni.
Gli esempi virtuosi nelle aziende
Eppure esistono esempi virtuosi e la situazione è percepita in modo molto più positivo da diversi protagonisti: «Posso parlare per esperienza, dopo 23 anni di lavoro nel mondo delle risorse umane: se ci guardiamo indietro sono già stati compiuti diversi passi avanti. Ma bisogna tenere presente che i cambiamenti sociali hanno un’evoluzione lenta. Le aziende, specie le multinazionali, hanno programmi che mirano a superare la diversity e trainano anche le medie e piccole imprese con esempi positivi. È proprio per questo che parliamo di positività: ci piace lanciare questo messaggio soprattutto alle giovani che, altrimenti, rischiano di essere scoraggiate e di lasciare il paese per andare all’estero. Vogliamo sottolineare che ci sono realtà virtuose. Il nostro sondaggio mostra un leggero ottimismo, senza nasconderci naturalmente i problemi» spiega Magri.
Sempre più donne manager e in politica
Per oltre il 20% di coloro che hanno partecipato al sondaggio, ossia un campione di oltre 20 mila lavoratori tra donne e uomini, e più di 500 aziende, emerge una positività che a volte viene sottovalutata e smentita dai fatti. «I ruoli di top management saranno quelli in cui la presenza femminile crescerà maggiormente, insieme al settore delle professioni STEM e della politica» spiegano da Adecco, a pochi giorni dalle elezioni vinte da una donna, Giorgia Meloni, che diventerà così la prima presidente del Consiglio donna nella storia repubblicana. «La presenza femminile nei ruoli apicali e decisionali è proprio uno dei gap più profondi da colmare, ma dobbiamo considerare che 7 anni fa si limitava al 13%, mentre oggi è poco sotto il 50%. Certo, non è facile acquisire le competenze in un mondo competitivo ed è importante procedere con gradualità: credo che tra pochi anni ci sarà netta inversione di tendenza anche per quanto riguarda il salario, dove si registrano già miglioramenti, specie per le professioni più qualificate. Non dobbiamo nasconderci, però, che le donne scontano ancora il fatto che il momento di maggiore crescita nella carriera si ha intorno ai 30 anni, che coincide spesso con quello della maternità e dei primi anni di vita dei figli» osserva Magri.
Sempre più donne nelle STEM
Sul fronte delle STEM, le materie scientifico-ingegneristiche e matematiche, ci sono già segnali forti: «Anche grazie al particolare periodo storico ed economico che stiamo vivendo, con scarsità di talenti rispetto alle professioni STEM, molti stereotipi stanno cadendo da soli o per necessità. Ad esempio, un nostro cliente in Calabria ha attivato un corso di saldatura per laureate in Lettere e Filosofia, perché non trovava uomini che facessero questo mestiere. Al Politecnico di Milano, dove fino a pochi anni fa non si trovavano donne, sono partiti corsi di cosiddetta Fin-Tech, la finanza tecnologica, frequentati da donne con lauree umanistiche che stanno ottenendo grandi risultati» racconta ancora Magri.
Cosa serve alle donne lavoratrici
I veri nodi da sciogliere, al momento, restano però chiari: la parità salariale è percepita come prioritaria dal 35% dei lavoratori e delle lavoratrici, mentre le aziende la mettono al secondo posto (29%), puntando maggiormente sui sistemi di welfare (37%) che, invece, per i lavoratori occupano il secondo gradino del podio delle priorità (27%). Nel frattempo è percepito come sempre più urgente un intervento sul fronte dei congedi parentali, in particolare di paternità e tra le generazioni più giovani (13% per la Gen Z e 12% per i Millenials, contro il 5/6% degli over 40). «Noi siamo indietrissimo, specie rispetto ai paesi del nord Europa (ma anche alla Spagna): il congedo dei papà in Italia è molto più limitato» commenta la Group HR & Organization Director di The Adecco Group Italia.
Più leggi e un cambio di cultura, a partire dalle aziende
Ma cosa serve, allora? Per circa il 33% dei lavoratori dovrebbe essere lo Stato italiano, con leggi specifiche, seguito da azioni concrete da parte delle aziende (23%). Queste ultime, invece, ritengono che la trasformazione passi per il 40% necessariamente e proprio dai luoghi di lavoro. Non va dimenticato, però, il ruolo del terzo settore e dell’educazione che, soprattutto per i giovani, è fondamentale per cambiare il contesto sociale e culturale abbattendo alcuni stereotipi: «Le leggi servono, certo, come confermano i risultati della nostra survey, ma occorre anche un cambiamento culturale. Crediamo che si debba iniziare con il non sottolineare l’eccezionalità di storie come quelle di donne che non sono licenziate quando comunicano di essere incinte o come quelle di uomini che decidono di fare i papà a tempo pieno: dovrebbero essere ‘narrate’ come normali, anche per non far sentire alieni coloro che compiono queste scelte» spiega Magri.
Pare ormai tramontata, invece, l’idea delle quote rosa, che non convince (3%).