Sono rientrati in Italia i cinque militari feriti nell’attentato di Kirkuk, in Iraq. Sono componenti delle forze speciali (incursori di Marina e paracadutisti dell’Esercito), tutti uomini. Le donne possono essere impegnate al fronte? Lo chiediamo al Tenente Colonnello Laura Vinciguerra, Capo sezione delle Pari opportunità e Prospettive di genere dello Stato Maggiore della Difesa. Lei stessa è stata in missione in Libano: «In operazioni e missioni militari all’estero sì, certamente. Mentre non esistono ancora donne negli incursori, dove si può entrare dopo aver superato prove che richiedono capacità fisiche che non tutte le donne hanno (ma neppure gli uomini!). E questo per via delle caratteristiche del nostro apparato scheletrico e muscolare. La selezione è durissima, solo pochi entrano a far parte di questi corpi speciali: perché ci siano donne occorrerebbe un numero molto maggiore di candidate. L’ingresso non è comunque precluso. D’altra parte si tratta anche di una scelta molto difficile da conciliare con la vita privata”.

Cosa fanno le donne in prima linea

Tra le 16.000 donne che indossano la divisa, 250 sono al fronte, impegnate in operazioni e missioni militari all’estero. Fanno di tutto, esattamente come i colleghi uomini: pilotano aerei ed elicotteri da combattimento, sono comandanti di navi della Marina o plotoni dell’Esercito, guidano carri armati, maneggiano fucili, bonificano da ordigni esplosivi e molto altro: “Hanno le stesse competenze del personale maschile e sono al fianco dei colleghi uomini anche nei teatri esteri” conferma il Tenento Colonnello Laura Vinciguerra, Capo sezione delle Pari opportunità e Prospettive di genere dello Stato Maggiore della Difesa. Lei stessa è stata in missione in Libano e spiega: “Va sfatato il mito che le donne militari stiano solo negli uffici. Al contrario, tante colleghe hanno ricoperto ruoli anche molto importanti in territori ad alta presenza criminale”. Il tutto senza precludere la possibilità di una vita privata che, seppure carica di sacrifici, non esclude una famiglia e dei figli.

Come si va in missione

Partecipare a un’operazione internazionale fa parte dei compiti a cui può essere chiamata una donna che sceglie la carriera militare: “Non si fa domanda: le missioni hanno obiettivi specifici e il personale è scelto in base alle competenze richieste per raggiungerli, indipendentemente che si sia uomo o donna. Durano in media sei mesi, ma possono arrivare anche a un anno e oltre, come nel caso di UNIFIL in Libano, dove l’Italia è presente come osservatore con uno staff numeroso. Lo stesso vale per la KFOR in Kosovo a guida NATO, con un comandante italiano. Poi ci sono missioni scientifiche, ma con personale anche delle Forze Armate, come per l’Antartide, dove ad esempio c’era anche un medico donna della Folgore, che è una forza speciale” spiega il Tenente Colonnello donna.

Si può rifiutare una missione?

Non si sceglie, dunque, di andare in missione né si può rifiutare, a meno di motivi particolarissimi: “Può essere valutata l’opportunità di mandare in missione un militare – uomo o donna – che manifesti serie problematiche personali, perché potrebbero influire sulla sua serenità e quella dei colleghi. Diverso è il caso di marito e moglie che lavorino nella stessa unità: si tende a non mandarli entrambi in missione, specie se hanno bambini piccoli. Non c’è una legge specifica, ma si tratta di linee guida” spiega Laura Vinciguerra. Ma come può una donna coniugare la vita militare con quella privata?

Il ruolo fondamentale delle donne nelle missioni

Da tempo ONU e NATO chiedono di aumentare il numero della componente militare femminile e le quote rosa non c’entrano: “Le donne hanno la peculiarità di sapere e poter ascoltare la popolazione femminile del posto creando dei canali di comunicazione che, specie in alcuni paesi islamici, sarebbero impossibili per il divieto alle donne di avere contatti con gli uomini (soprattutto se in divisa). Questo è fondamentale nella fase di stabilizzazione di territori dopo un conflitto. Le nostre militari instaurano rapporti che facilitano la ricostruzione, perché sono soprattutto le donne locali a manifestare più desiderio di rinascita delle proprie comunità dopo le guerre. E sono sempre loro che spesso informano nel caso in cui alcuni gruppi di insorgenti si stiano riorganizzando. Tutto ciò contribuisce a preparare il terreno per le ong o gli enti internazionali che si impegnano nelle ricostruzioni” spiega il Ten. Col. Vinciguerra che, tra le primissime donne a entrare nelle Forze Armate nel 2000, tornerà presto in Libano con il compito di monitorare proprio questo aspetto.   

Sarah, dal Libano alla Sicilia

Sarah Deacon ha 33 anni. Papà inglese, madre italiana, è cresciuta a Roma ed è entrata nell’Esercito nel 2005. Oggi è Caporal Maggiore Capo, ha l’abilitazione all’impiego di aeromobili a pilotaggio remoto: si occupa, insomma, di droni e radar. Da dicembre 2018 a giugno 2019 ha lavorato all’operazione Strade Sicure in Sicilia, mentre nel 2009 è stata in missione in Libano. Ma è anche madre di una bambina di 8 anni. Come è riuscita a conciliare questa scelta di vita con la famiglia? “È impegnativo, ma con un po’ di organizzazione si riesce. Quando sono stata in Sicilia per sei mesi mio marito, che è anche lui militare, ha fatto da mamma e da papà a nostra figlia: l’ha seguita a scuola e nell’attività sportiva, portandola agli allenamenti e alle gare di nuoto. E lei si è adattata: ha imparato a fare molte cose da sola. È una piccola militare anche lei! La tecnologia, poi, aiuta: WhatsApp e i messaggi permettono di accorciare le distanze” ci racconta.

Durante la missione in Libano, invece, Sarah non era ancora madre: “La giornata-tipo prevedeva uscite in pattuglie di sorveglianza e controllo del territorio. Dovevamo essere sempre pronti, 24 ore su 24. I ritmi erano intensi, ma questo ha aiutato a sentire meno la nostalgia di casa. Andando in missione metti in contro anche di avere giornate no in cui devi cavartela da sola e impari a superare i tuoi limiti. Quando sei indisposta ti abitui a non lamentarti, anche per non pesare sui colleghi, cercando di dare il meglio di te” spiega Sarah, che quest’anno è anche stata scelta come una delle testimonial del calendario delle donne dello Stato Maggiore della Difesa per celebrare i 20 anni dall’ingresso del personale femminile nelle Forze Armate: “È stata una bella gratificazione, sono orgogliosa di rappresentare l’Esercito e se tornassi indietro rifarei la stessa scelta di diventare una donna militare”.

Donatella, pilota in Kosovo

“La mia decisione di voler entrare in Aeronautica ha sorpreso tutti in famiglia. Le Forze Armate avevano appena aperto alle donne. Io stessa ho iniziato quasi per gioco le selezioni per l’Accademia, con la voglia di mettermi in discussione, ma ricordo ancora adesso l’emozione del primo volo, a Latina: ho capito che ero nel posto giusto al momento giusto” racconta il maggiore Donatella Caforio, 42 anni originaria della provincia di Taranto. Oggi è la prima donna Comandante di un corso d’Accademia, ma è anche pilota di elicotteri e aerei. Nel 2009 era in missione in Kosovo. “Gestivo le operazioni aeree: avevo ritmi intensi, dormivo in base, a poche decine di metri dall’ufficio quindi era come non staccare mai. Ero reperibile e in caso di chiamate di emergenza sul cellulare, in pochi minuti ero alla scrivania” racconta Donatella, per la quale la scelta della vita militare non ha lasciato per ora spazio alla famiglia: “Non ho figli, la realizzazione lavorativa coincide con quella privata”. Anche la missione per lei ha rappresentato un arricchimento professionale: “Come donna è stato interessante confrontarsi sia con le altre colleghe militari italiane, sia soprattutto con quelle di paesi nei quali la presenza femminile era maggiore e ormai consolidata”.