«Da una parte c’è l’affetto per i propri figli, dall’altra la gravità dell’azione che hanno commesso. Da una parte c’è lo sguardo di chi è dentro la vicenda, con le sue colpe e sofferenze; dall’altra il punto di vista di chi dall’esterno osserva e spesso giudica». Riflette così l’autorevole psicanalista Massimo Ammaniti partendo dalla conversazione tra Filippo Turetta, a processo per il femminicidio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin l’11 novembre 2023, e i suoi genitori Nicola ed Elisabetta.
Il colloquio dei Turetta intercettato in carcere
Durante il colloquio, tenutosi in carcere a dicembre poco dopo l’arresto e registrato all’insaputa dei diretti interessati, cercavano di rassicurarlo con fra- si come “Non sei l’unico. Ci sono stati parecchi altri” e “Hai fatto qualcosa, però non sei un mafioso, uno che ammazza le persone. Hai avuto un momento di debolezza”. Dopo il polverone mediatico, Nicola Turetta ha spiegato di averle pronunciate perché terrorizzato che il figlio potesse suicidarsi. «Quello che succede in situazioni come queste è un atto privato, e dovrebbe rimanere tale. La spettacolarizzazione dell’intimità è un elemento estremamente no- civo» precisa Ammaniti, ora in libreria con I paradossi degli adolescenti (Raffaello Cortina Editore).
Chiediamoci quanto conosciamo i nostri figli
«I ragazzi di oggi sovente si rivelano come una chimera per le mamme e i papà, tenuti all’oscuro della loro vita, sociale ma anche intima. Quando il proprio figlio viene coinvolto in un fatto sconvolgente, come un omicidio o uno stupro, il genitore non sa bene come orientarsi. Da una parte, si ritrova atterrito per ciò che il proprio ragazzo ha compiuto, per il dolore che ha creato agli altri e per la condanna sociale; dall’altra, è tramortito per l’affetto e l’amore che lo permea. Di fronte a situazioni del genere mi torna in mente il libro pubblicato dalla madre di Dylan Klebold, uno dei due ragazzi responsabili della strage alla Columbine High School nel 1999». In Mio figlio (Sperling & Kupfer, 2016), la donna riflette sull’incapacità di comprendere i pensieri e le intenzioni violente del figlio, sviscerando il senso di colpa per non aver colto i segnali d’allarme e analizzando la capacità del ragazzo di dissimulare le sue pulsioni.
I genitori di Turetta tra consolazione e speranza
«Sempre più spesso penso agli adolescenti come a una biglia che corre su un crinale: può scivolare da una parte o dall’altra, indipendentemente dalla famiglia» continua Ammaniti. «E a volte per i genitori è difficile rendersene conto, come accaduto ai Turetta che si sono ritrovati divisi fra l’istinto di consolare tipico del genitore e l’orrore di quanto commesso dal figlio. Tragedie del genere ci obbligano a ragionare anche sul ruolo del genitore di oggi, che deve insegnare l’empatia. Occorre parlare all’anima dei ragazzi e cercare un po’ di speranza: oltre le critiche e le colpe, serve anche questa. Per evitare cortocircuiti dalle conseguenze estreme e stimolare un primo passo definitivo: un percorso di auto-consapevolezza».