«È triste rimuovere le statue che celebrano la storia americana», ha dichiarato, via Tweet, il presidente americano Donald Trump a proposito della demolizione a Baltimora delle statue dei due generali sudisti Robert Lee e Thomas Jackson (avvenuta nottetempo, a seguito delle violente proteste avvenute a Charlottesville, in Virginia, circa la distruzione di un’altra statua di Lee). Perché, mentre sull’abbattere il razzismo tutti di dichiarano d’accordo, sull’abbattere i monumenti agli eroi razzisti, invece, da mesi negli Usa infuria la polemica.
Le statue simbolo della schiavitù
Il dibattito riguarda in particolare le immagini dei leader sudisti, schieratisi in favore della schiavitù, che oggi sono diventati un simbolo per i movimenti di estrema destra. In Italia forse la stessa logica si applicherebbe ai monumenti realizzati sotto il fascismo, sotto il quale furono emanate le leggi razziali, che tuttora attirano i nostalgici di quell’ideologia. In effetti, qualcuno a favore del provvedimento ci sarebbe: Laura Boldrini, la presidente della Camera, che a proposito dell’obelisco del Foro Italico a Roma (ex Foro Mussolini) avrebbe ricordato che ”Ci sono persone, come i partigiani, che si sentono a disagio quando passano sotto i monumenti del Ventennio”.
Una rimozione del passato
Ma ha senso rimuovere quella che è comunque una testimonianza storica? Non si rischia così di trascurare gli insegnamenti del passato? Secondo il critico Francesco Bonami è opportuno distinguere tra caso e caso: «La storia americana è cosi giovane che molte delle sue ferite, prima fra tutte la schiavitù, sono ancora aperte. La storia italiana al contrario è così antica che il problema sarebbe irrisolvibile. Sarebbe difficile giustificare la distruzione del Marco Aurelio in Campidoglio, anche se un pronipote di qualche sua vittima si facesse vivo. Lo stesso, tuttavia, non si può dire della storia recente, le cui ferite sono ancora aperte. E dato che tuttora l’apologia del fascismo è un crimine, una statua di Mussolini in una piazza pubblica non deve essere tollerata. Credo che sia importante eliminare i simboli pubblici che hanno incitato e che incitano a un odio spesso costruito sul culto della personalità. Certo, non si può negare la storia, ma neppure conservare l’immagine di chi della storia si è servito per commettere crimini contro l’umanità. Lo spazio pubblico deve celebrare la civiltà dell’essere umano mentre al museo semmai, spetta conservare questi manufatti per raccontare il percorso ad ostacoli che l’umanità ha dovuto percorrere, anche attraverso le atrocità del passato».
Un presente irrisolto
Non la pensa così Sergio Momesso, docente di storia dell’arte a Venezia e fondatore del sito Storiedell’arte.com: «La distruzione dei monumenti del passato è vecchia quanto il mondo. La statua di Papa Giulio II di Michelangelo fu distrutta nel 1511 dai Bentivoglio, la cui famiglia fu mandata in esilio dal Papa, al loro rientro a Bologna. Il monumento equestre di Leonardo dedicato agli Sforza fu distrutto dai francesi, nel momento della conquista di Milano. Ma questa demolizione è sempre stata generata dal desiderio di vendetta e quindi ha più a che fare con le emozioni e il vissuto del “distruttore” che con il valore intrinseco di quelle creazioni. Io ritengo che un oggetto dotato di pregio artistico vada preservato a priori, come testimonianza della creatività umana e come memoria storica. Il problema, insomma, non sono gli oggetti artistici, ma quello che su di essi proiettano alcuni soggetti, a volte anche manipolando la verità storica a proprio uso e consumo. Per questo, più che preoccuparsi dell’abbattimento delle statue, il presidente Trump dovrebbe considerare le tensioni razziali e la rabbia che nel suo Paese hanno portato alla loro distruzione. Perché chi vuole distruggere il passato, molto spesso in realtà fatica ad accettare il presente».