Perché la scorsa settimana, nel corso di un’intervista, il Ministro dell’Istruzione Bussetti è tornato su un tema molto dibattuto come i rapporti social tra studenti e insegnanti?
Una presa di posizione severa (ha detto di essere ‘personalmente contrario ai contatti social tra studenti e professori’) da parte di un dirigente nient’affatto tecnofobo: il ministro ha infatti più volte ribadito la sua apertura all’uso dello smartphone e del tablet in classe (a fini didattici ovviamente) e in più di un’occasione ha invitato i ragazzi italiani a dialogare con lui sulla pagina FB del MIUR.
Ma è evidente che la materia è scivolosa, perché se i canali istituzionali della comunicazione a scuola esistono e sono tanti (diari, libretti, registri on line, circolari, sito d’istituto), la possibilità di veicolare informazioni in modo rapido e diretto è per tutti una pratica assolutamente quotidiana.
Quali sono le piattaforme e le app più usate?
Nessun docente è naturalmente tenuto a fornire il proprio indirizzo mail privato né il numero di telefono ai propri studenti, ma quando ci si trova a gestire ragazzi di classi diverse nell’ambito di un progetto extracurricolare, quando si organizza un’uscita didattica, un viaggio d’istruzione o uno scambio culturale magari all’estero, avere un gruppo Whatsapp su cui inviare le comunicazioni, anche quelle dell’ultimo momento, o su cui cercare gli eventuali ‘dispersi’ a un appuntamento è pratico e utile. Lo stesso vale per gli sms. Alcuni prof usano una sim card dedicata ai soli giorni della gita: è un po’ macchinoso, ma in questo modo esprimono una posizione chiara e legittima sulla loro reperibilità al di fuori dell’orario scolastico e delle mansioni connesse alla funzione di docenti. Finita la gita, nessuno ragazzo è autorizzato a contattarli sul cellulare.
Facebook e Instagram sono un terreno più minato (e solo perché Snapchat è poco frequentato dagli adulti e Twitter lo è poco dai ragazzi): da un recente sondaggio di Studenti.it uno studente su due tra quelli che hanno un profilo FB dichiara di essere amico di un suo insegnante. Non tutti i giovanissimi cercano questi contatti: molti si sentirebbero controllati e limitati nella loro libertà di esprimersi, specie con le immagini; e del resto anche in Gran Bretagna il 47 % degli studenti dei college non vuole saperne di dialogo digital con i docenti fuori da scuola.
Su queste piattaforme è inevitabile che il rapporto travalichi quello scolastico ordinario e diventi più personale. Senza contare che si tratta di pagine su cui il linguaggio cambia di registro diventando più confidenziale e che sulla tastiera la cultura dei like e il malcostume dell’insulto facile sono sempre in agguato. Molti prof 2.0 che non vogliono confondere i ruoli rimandano perciò l’amicizia con i loro alunni a dopo il diploma.
Eppure chi ne difende la virtuosità sostiene che i ‘docenti social’ possano dare l’esempio di una comunicazione rispettosa e intelligente e fornire in prima persona modelli contro il cyberbullismo. I social sono inoltre una modalità dei nostri tempi per dialogare con i ragazzi. E visto che del dialogo con loro c’è un gran bisogno, proibizioni e messe al bando sono anacronistici e inutili: chiamarsene fuori sarebbe come non voler vedere il mondo nel quale i ragazzi vivono gran parte del loro tempo e costruiscono le loro relazioni.
Il problema non riguarda solo le scuole superiori (il 2% dei maestri elementari e il 20% dei professori di scuola media sostiene di essere aperto all’interazione sui social con i propri alunni) e ovviamente non riguarda solo l’Italia: in alcuni Lander tedeschi l’amicizia su Fb tra prof e ragazzi è vietata e alcuni stati americani come il Missouri già da qualche anno proibiscono il social networking fuori dagli edifici scolastici.
La normativa in materia
La materia, in evoluzione perché la stessa comunicazione digitale evolve costantemente, è (almeno a grandi linee) regolata.
Il Contratto Nazionale dei Docenti rinnovato proprio quest’anno, in accordo con le principali sigle sindacali stabilisce che il rapporto di comunicazione con mezzi digitali e informatici tra studenti e insegnanti debba esistere solo con finalità didattiche e orientative e prevede sanzioni che vanno dal rimprovero verbale o scritto, alla sospensione temporanea della retribuzione e nei casi più gravi arrivano al licenziamento. È chiaro che misure di questo tipo intendono circoscrivere e scoraggiare comportamenti impropri e molestie sessuali.
Molti dirigenti hanno emanato circolari ad hoc che richiamano al codice di comportamento cui sono tenuti tutti i pubblici dipendenti o che esplicitamente vietano la partecipazione dei prof alle chat di classe con alunni e genitori (pericolosissime, ma che dovrebbero rimanere improntate a rapporti di amicizia).
Eppure è chiaro che i codici deontologici, da soli, non bastano: il confine tra confidenza e autorevolezza è dettato dal buonsenso, dal rispetto della sfera privata di ciascuno, dalla consapevolezza che l’educazione alla cittadinanza è sempre dell’adulto e non del minore.