Sono malati di fragilità i matrimoni del nostro tempo. E si sgretolano sempre di più. Ogni giorno, dicono i dati più recenti, in Italia circa 280 coppie decidono di separarsi (erano 197 nel 2000) e 140 (erano 105 nel 2000) compiono il passo definitivo del divorzio. Cifre che nascondono oceani di lacrime e vuoti a volte incolmabili. Soprattutto quando, a osservare i due litiganti che si rovesciano addosso rancori e delusioni, c’è lo sguardo incolpevole di un bambino. Perché dalle guerre tra mamme e papà i figli ne escono spesso con le ossa rotte. Ma limitare al minimo i danni di un’unione che crolla è possibile.
È il tema di Dai figli non si divorzia (Rizzoli), della psicologa e psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris, nelle librerie dal 12 gennaio. Un libro che, come dice il sottotitolo, è una guida per “separarsi e rimanere buoni genitori”. Nasce da uno studio realizzato su sessanta persone, dagli 8 ai 56 anni, che hanno vissuto divorzi e separazioni nello scomodo ruolo di figli. In questa intervista, l’autrice ci spiega come far continuare a vivere una famiglia. Anche se la coppia non c’è più.
Dottoressa Oliverio Ferraris, che cosa intende quando sostiene che dai figli non si divorzia?
«Il divorzio dovrebbe mettere fine solo alla coppia, non a quella che noi psicologi chiamiamo la genitorialità. Invece succede che alcuni genitori, dopo la separazione, rinunciano al ruolo di madre o padre e cominciano a vedere sempre meno i figli e a disinteressarsi di tutto ciò che li riguarda».
Perché succede?
«A volte è una scelta. Irresponsabile, ovviamente. Altre volte uno dei due vorrebbe continuare a fare il genitore, ma finisce per abbandonare il campo, deluso e frustrato dai troppi litigi, dalle continue accuse e dai “no” dell’altro. Parte della colpa è anche degli avvocati che seguono il divorzio».
In che senso?
«Siccome sono impegnati a ottenere il massimo per il loro cliente, a “vincere”, invece di facilitare la comunicazione tra marito e moglie, attizzano i conflitti. Vanno a caccia di cavilli che esasperano le tensioni. Ma non esistono vittorie se di mezzo ci vanno i figli».
Immaginiamo, allora, un percorso di separazione ideale. Esiste la formula perfetta per annunciare a un figlio che mamma e papà vogliono lasciarsi?
«Anche quando viene data con tutte le cautele, la notizia di una separazione è scioccante. Posso dire che assomiglia molto a quella della morte di una persona cara. Può essere dolorosa anche quando è stata preceduta da segnali premonitori. Se è improvvisa, poi, al dolore si aggiunge lo sconcerto, la difficoltà di capire. L’importante, allora, è rassicurare i figli sul fatto che ciò che sta succedendo non è colpa loro. Che la cosa riguarda solo mamma e papà e che, se è vero che qualcosa cambierà nella vita di tutti i giorni, il loro affetto per i figli resterà intatto».
Come si può far accettare a un ragazzino l’idea che uno dei genitori sta per andarsene di casa?
«Bisogna subito spiegare che i contatti con chi se ne va non saranno interrotti. Che si farà tutto il possibile per mantenere stretti i rapporti. L’ideale sarebbe che l’annuncio della separazione fosse fatto dai genitori insieme».
Ma se la reazione dei figli è di rifiuto netto, di fuga, di rabbia inconsolabile, che cosa devono fare i genitori?
«Lasciare i figli liberi di esprimere i loro sentimenti anche se sono negativi. Non farli sentire in colpa per la loro reazione. Anzi, spesso i bambini queste emozioni non le esprimono affatto. Un padre e una madre, invece, dovrebbero aiutarli a tirarle fuori. Per poi tornare sopra all’argomento. Bisogna lasciare aperto il dialogo su questo amore finito, rispondere alle richieste di spiegazioni che sicuramente i figli pretenderanno. Naturalmente usando un linguaggio che tenga conto dell’età».
Ogni tipo di domanda deve avere una risposta?
«È fondamentale la sincerità, la trasparenza, ma ci sono cose che non possono essere confessate. Se una madre decide di lasciare il marito perché non sopporta certe sue perversioni sessuali o perché quell’uomo la picchia, è meglio che non racconti al figlio i veri motivi della separazione. I bambini lavorano con l’immaginazione su queste cose così intime, finiscono per ingigantire i problemi e farsene assorbire completamente».
E allora in casi in cui è meglio evitare i dettagli più scabrosi che cosa si dovrebbe dire?
«Che mamma e papà non vanno più d’accordo. Che erano innamorati quando si sono messi insieme e che il figlio è nato da quel rapporto d’amore. Ma le cose possono cambiare e può succedere che un uomo e una donna a un certo punto non si capiscano più».
Quali sono gli errori più frequenti commessi dai genitori?
«Fanno cadere i figli nel cosiddetto conflitto di lealtà. Cioè una situazione in cui il bambino ha la sensazione che, se vuole bene a uno dei due o gli dà ragione, l’altro si arrabbia, si ingelosisce. Molti genitori, poi, troncano i rapporti con l’ex partner che è uscito di casa, demoliscono la sua immagine. Ne parlano malissimo per punirlo o per conquistare l’affetto totale del figlio. Bisogna tenere conto invece che, anche se l’altro fosse una persona indegna, un bambino potrebbe avere bisogno di un filo che lo tenga legato a quel padre o quella madre perché, comunque sia, gli ha voluto bene. Purtroppo, dietro le separazioni ci sono veri drammi. Ho visto anche alcuni padri cominciare a maltrattare i figli per vendicarsi della madre».
Una separazione che conseguenze psicologiche può avere su un figlio?
«L’età è importante. I bambini più piccoli manifestano il disagio attraverso il corpo: dormono meno, si svegliano più spesso, piangono più del solito, fanno storie al momento dei pasti. Tra i tre e i sei anni possono riprendere a fare pipì a letto o a succhiarsi il pollice. Quando iniziano ad andare a scuola, alcuni diventano aggressivi, altri si isolano. Una strategia diffusa è distrarre i genitori dai loro conflitti cercando di attirare l’attenzione su di sé».
E nell’adolescenza?
«Normalmente gli adolescenti si adattano meglio dei piccoli alla nuova situazione. Alcuni reagiscono tuffandosi nello studio, nella musica, nell’amore. Altri fanno i ribelli, gli spregiudicati».
Nel caso in cui, dopo la separazione, i genitori trovino un altro partner, quali errori si devono evitare?
«Mai dire: “Questo è il tuo nuovo papà o la nuova mamma”. Oppure pretendere da subito che il figlio accetti ordini da questa terza persona. Ci vuole tempo perché un bambino assimili la novità. Più è piccolo, più la cosa succederà in fretta. Del resto, un figlio è contento di vedere che anche la madre o il padre sono felici».
È giusto chiedere il consenso al figlio per iniziare una nuova convivenza?
«No, perché anche i genitori hanno i loro diritti. Però serve gradualità, non si può imporre di punto in bianco la presenza di un estraneo. Deve esserci prima una conoscenza, fatta di inviti, cene, giornate trascorse assieme».
La convivenza forzata di una madre e un padre che non si amano più può essere preferibile alla separazione?
«È un dilemma che vivono in molti. Ma una risposta unica non esiste. Le valutazioni si fanno caso per caso. Certo è che la maggior parte dei figli, soprattutto se sono bambini, vorrebbero che i genitori stessero insieme per sempre. È l’istinto di sopravvivenza. I bambini hanno bisogno di protezione e garanzie. Percepiscono senza ombra di dubbio che la loro forza risiede negli adulti che si prendono cura di loro. Così, quando si rendono conto che questa forza sta diminuendo, cercano di darsi da fare per recuperarla. Ma sappiamo anche che assistere allo spettacolo di un’infelicità che giorno dopo giorno inghiotte un matrimonio può essere un’esperienza logorante».
Con quali conseguenze?
«Ragazzini che per anni hanno vissuto tra discordie e incomprensioni possono diventare ansiosi nei rapporti con gli altri. Temere di fallire anche in cose molto semplici, o sviluppare un bisogno nevrotico di possesso nei confronti degli amici».
Ma 35 anni di divorzi (la legge è del 1970) non sono serviti a nulla?
«Finché non accettiamo l’idea che dai figli non si divorzia, ci sarà ancora tanto dolore inutile».