«A 17 anni avevo un’idea vaga del femminismo. Vivevo a Vicenza e la mia prof di filosofia ne parlava, ma con molta cautela. Un’altra storia rispetto a oggi dove una ragazza curiosa di saperne di più ha un mondo di risorse per documentarsi, persone a cui rivolgersi». Marta Corato, 26 anni, è cofondatrice, insieme a Margherita Ferrari e Valeria Righele, di Soft Revolution: il magazine online per ragazze che considerano il femminismo la lente attraverso cui guardare il mondo. «Ci occupiamo un po’ di tutto: dal telefilm al libro che ci sono piaciuti, dalla manifestazione a cui partecipare alle mestruazioni, fino al sesso e all’ecologia… Perché per noi il femminismo è in tutto e tutti i giorni, non solo l’8 marzo» spiega. Dire cos’è il femminismo per questa 20enne è entrare in una foresta di voci e significati che si intrecciano. «È non lasciarsi prendere in giro. È dare gli strumenti a chi vuole per poter cominciare a osservare il mondo in maniera diversa».
Marta, come le sue coetanee, è radicata nel contesto sociale in cui vive e si muove: poca teoria, tante riflessioni concrete sulle battaglie quotidiane da portare avanti per cambiare le cose. Che sia far sentire la propria voce contro le molestie, sulla scia della campagna internazionale #MeToo e dell’hashtag italiano lanciato dalla scrittrice Giulia Blasi #Quellavoltache, o lavorare sul territorio con le donne immigrate (e gli uomini) contro ogni discriminazione, o ancora scendere in piazza per dire no alla violenza e alla cultura patriarcale. Le 20enni, ma anche le teenager, organizzano iniziative, incontri, raccolte fondi e discutono delle difficoltà di accesso al lavoro, di cura della maternità, di sicurezza, di diritti Lgbt. «Le trovi su Tumblr, Twitter, Instagram. Spesso sono ragazze avanti anni luce, anche rispetto a me» sottolinea Marta, «perché, sebbene a volte siano appena liceali, sono nate e cresciute con le conquiste ottenute dalle donne prima di loro».
Vittorie che, dall’inizio del ’900 e attraverso gli anni, «si sono concretizzate con il diritto di voto prima, la liberazione sessuale poi, il divorzio e la legge sull’aborto» spiega Ingrid Salvatore, docente di Gender Studies alla Luiss di Roma.
Al di là delle pari opportunità
Se le madri avevano sul comodino Il secondo sesso di Simone De Beauvoir, i punti di riferimento di figlie e nipoti sono perlopiù anglofoni: riviste dai nomi provocatori come Bitch (“puttana”), scrittrici come Rebecca Solnit, autrice di Gli uomini mi spiegano le cose, e Roxane Gay, di Bad Feminist (in arrivo per Einaudi anche con Fame, un libro che affronta tematiche come l’obesità e lo stupro). Seguono i consigli del club del libro femminista fondato dall’attrice Emma Watson e considerano la popstar Beyoncé una paladina dei diritti delle donne. Chiamiamola “Quarta ondata del femminismo”, anche se raccogliere questo insieme di differenti punti di vista e progettualità sotto un unico cappello è impossibile. E non per differenze generazionali, dato che spesso a combattere per gli stessi ideali si trovano fianco a fianco mamme e figlie.
«È un femminismo “radicale”, che non si ferma alla battaglia sulle pari opportunità, perché pensa che la vita delle donne non sia uguale per tutte e che non basti essere donna per essere diversa» spiega Barbara Bonomi Romagnoli, giornalista, attivista e autrice di Irriverenti e libere. Femminismi nel nuovo millennio (Eri). «Ed è inclusivo, come dimostra la rete internazionale NonUnaDimeno, nata nel 2015 in Argentina per dire basta ai femminicidi e alla violenza maschile. Tiene dentro tante donne con le loro differenze di etnia, classe sociale, colore della pelle. Donne che a volte hanno opinioni diverse, contrastanti. Qui, più della differenza di sesso, conta la materialità delle vite. E l’ascolto è una caratteristica fondamentale». Qualcuno lo chiama femminismo intersezionale, l’hashtag con cui si presenta è #WeTooGether e i suoi valori fondanti sono l’autodeterminazione e la libertà di scelta.
Per coinvolgere anche gli uomini
In una società dove i confini sfumano, le esigenze si intrecciano e le identità sessuali diventano sempre più labili, non si può più parlare di un femminismo univoco. «Alcune donne oggi fanno fatica a definirsi femministe, ma non per questo hanno disconosciuto i valori del femminismo» spiega Ingrid Salvatore. Questo riguarda forse più le 40-50enni, che pure erano tra il milione in piazza nel 2011 al fianco del movimento “Se non ora quando?” per difendere la dignità delle donne. Il motivo? «Dopo l’ondata degli anni ’70, a un certo punto c’è stata un’impasse, determinata anche dal contesto storico e politico. Si è creata una distanza fra le donne “comuni” e le attiviste» aggiunge Barbara Bonomi Romagnoli.
«È stato il periodo anche dei luoghi comuni: quello delle femministe che ce l’hanno con i maschi, sempre arrabbiate. Niente a che fare con ciò che vediamo ora nelle più giovani per le quali «essere femminista significa farlo con gioia e passione». Sono ragazze consapevoli che «il femminismo è stato un movimento molto importante, che ha inciso nella maniera più radicale sulla società, mettendo in luce il perché e il come le donne sono state penalizzate nella storia» spiega Ingrid Salvatore. Tutto bene quindi? «Abbiamo raggiunto molti traguardi» conclude la docente. «Ma altrettante battaglie politiche rimangono da fare. Come la parità di salario e un welfare attento alle donne». Intanto, però, le cose hanno ripreso a cambiare.