Già sapevamo che le donne vivono più a lungo degli uomini: nel mondo, l’aspettativa media di vita femminile è di 70 anni, quella maschile di 66; in Italia, 85 e 80,6. Ora è dimostrato che resistiamo meglio persino in condizioni durissime, come carestie ed epidemie, e che i geni ci favoriscono. La scoperta scientifica è firmata dalla giovane demografa fiorentina Virginia Zarulli, professoressa all’Università della Danimarca meridionale. La sua ricerca, appena pubblicata sulla rivista Pnas, analizza 7 casi storici per concludere che, appunto, il vero sesso forte siamo noi.
Le neonate hanno un vantaggio
«Mentre indagavo sulla carestia in Ucraina del 1933 per un altro lavoro, mi colpì che l’aspettativa di vita era scesa rapidamente a livelli bassissimi: da 42 anni per gli uomini e 46 per le donne a, rispettivamente, 7,3 e 11 anni» racconta Zarulli. «Se la fame fosse durata a lungo, i nuovi nati non sarebbero arrivati all’età adulta e la popolazione si sarebbe estinta. Ma il dato mostrava anche che le donne riuscivano a sopravvivere con più successo persino in una situazione tanto drammatica. Così ho cercato altri episodi documentati, per rispondere alla domanda: cosa fa vivere le donne di più?». La soluzione è arrivata dai neonati: in tutti i casi analizzati a contribuire alla differenza di genere nell’aspettativa di vita era soprattutto la maggiore sopravvivenza delle bambine. «Da 0 a 1 anno, il maschio cerca il latte dalla mamma e si sveglia ogni 2 ore proprio come la femmina» dice l’esperta. «In quella fascia di età i comportamenti sono identici, allora il fatto che le neonate morissero meno dei neonati mostra che il vantaggio femminile ha una radice biologica».
I geni e gli ormoni favoriscono le femmine
Secondo la studiosa, le donne hanno 3 marce in più: «La prima: i nostri cromosomi sono XX, mentre quelli maschili sono XY. In caso di malattia per una mutazione sfavorevole su un cromosoma X, la donna ha un altro X che può compensare, l’uomo invece no» dice Zarulli. «Secondo elemento favorevole, gli ormoni: gli estrogeni femminili proteggono da varie patologie. Il testosterone maschile, al contrario, tende ad aumentare il rischio cardiovascolare, e i suoi picchi in giovane età spingono a comportamenti pericolosi, possibili cause di morte violenta. Terzo fattore positivo: la nostra riserva di grasso corporeo, di norma maggiore rispetto a quella dei maschi, può salvarci quando manca il cibo, per esempio durante le carestie».
Ma la biologia non evita le discriminazioni
Il caso che l’ha colpita maggiormente? «Quello degli schiavi neri che, dagli Stati Uniti, furono affrancati e mandati in Liberia a inizio ’800» risponde l’esperta. «Nati e cresciuti in America, in Africa trovarono malattie tropicali e virus ignoti. Il loro sistema immunitario non si adattò: il 43% morì nel primo anno, il più alto tasso di mortalità mai registrato nella storia. Ma anche allora le donne sopravvissero di più». È allora lecito parlare di superiorità femminile? «Da un punto di vista biologico, non c’è dubbio. Ma il concetto è talmente influenzato dalla cultura e dalla società, che le donne restano il sesso debole in vari contesti, poiché tuttora vittime di discriminazioni».
I 7 casi storici analizzati
→ La carestia in Svezia tra il 1772 e il 1773
→ La mortalità tra gli schiavi nelle piantagioni della colonia britannica di Trinidad all’inizio dell’800
→ La mortalità tra gli schiavi liberati dagli Stati Uniti e mandati in Liberia nel 1820-1843
→ L’epidemia di morbillo in Islanda nel 1846
→ La seconda epidemia di morbillo in Islanda nel 1882
→ La carestia in Irlanda nel 1845–1849
→ La carestia in Ucraina nel 1933.