Sì, secondo Luisa Piarulli, pedagogista, autrice di “Pedagogicamente parlando” (Logos), docente a contratto all’università di Torino e alla Cattolica di Milano
Avere pochi alunni permette di stabilire un’ottima relazione educativa che è alla base del processo di apprendimento. Vuol dire che più si sta bene con gli insegnanti e con i compagni meglio si impara. Non solamente a scrivere e far di conto, ma anche a gestire le emozioni, risolvere i conflitti, comunicare in maniera efficace. I docenti oggi sono oberati da mille incombenze burocratiche e tecnologiche, di conseguenza non riescono a stare dietro a tutto. Seguire tanti bambini significa non essere in condizione di prestare a tutti la dovuta attenzione, togliere tempo all’ascolto e alla riflessione. Questo penalizza soprattutto i più timidi e introversi e chi ha difficoltà di inserimento. L’aumento dei disturbi dell’apprendimento tra i i più piccoli e la dispersione scolastica tra gli adolescenti sono tutti sintomi di una mancanza di attenzione da parte delle figure educative.
Oltre alla didattica, migliorerebbe anche la sicurezza Spesso nelle classi manca lo spazio per muoversi liberamente e gli insegnanti, che devono prima di tutto assicurarsi che gli alunni non si facciamo male, sono costretti a tenerli seduti per ore. Con buona pace della didattica innovativa che richiede in aula isole di lavoro e zone laboratorio, come angolo pittura e biblioteca.
No, secondo Paolo Fasce, docente di matematica nelle scuole superiori e supervisore di tirocinio nei corsi di formazione per insegnanti all’università di Genova
Il numero di alunni per classe non è una variabile fondamentale nella formazione di bambini e ragazzi. Non ci sono infatti studi che dimostrino che in pochi si impara di più, né i dati Ocse rilevano risultati eccellenti in quei Paesi dove le classi non sono affollate come da noi. Sicuramente si insegna meglio, per i docenti è più facile seguire meno alunni alla volta. Ma è anacronistico ragionare in termini numerici.
Oggi, più del numero degli allievi, conta il modo in cui si insegna L’obiettivo della scuola è superare la lezione frontale, quella standard e poco interattiva in cui il docente trasmette le sue conoscenze alla platea di studenti. Si tende all’apprendimento cooperativo, pratico e laboratoriale, alla personalizzazione delle competenze, a scardinare gli standard della classica lezione di un’ora con spiegazione, interrogazione e compito in classe. I fondi e i nuovi docenti necessari alla riduzione degli alunni per classe potrebbero invece essere usati proficuamente per potenziare la didattica innovativa. Qualche esempio? Per realizzare progetti in team e il peer tutoring (con gli stessi allievi che posssono, in taluni casi, insegnare ai loro compagni), per fare cioè della scuola un “alveare” in cui si impara in maniera varia, libera e responsabilizzata.