Si trova in vari prodotti: dagli alimenti come caramelle, gomme da masticare e confetti, ma anche alcune salse, a quelli per l’igiene e la bellezza come dentifrici, creme o protezioni solari. Si tratta del biossido di titanio, che sulle etichette è riportato con la sigla E171. L’Efsa, l’agenzia per la sicurezza alimentare, lo ha appena “bocciato”, ritenendolo non sicuro per la salute. Ecco di cosa si tratta e quali possono essere i suoi effetti.
Il biossido di titanio colora di bianco
Il biossido di titanio (BT) è un composto chimico che viene utilizzato in campo industriale soprattutto nelle vernici, ma si può trovare anche in alcuni cosmetici o farmaci, nei dentifrici sbiancanti e anche come additivo alimentare. La sua funzione principale è proprio quella di colorante bianco: «Vi è un ampio numero di alimenti in cui trova impiego come additivo (speriamo ancora per poco tempo), fra i quali i dolciumi, come i confetti, i chewing gum, alcune salse e alcuni formaggi. Il suo impiego è riportato nelle etichette con la sigla E171» spiega Agostino Macrì, già direttore del Dipartimento di Sicurezza alimentare dell’Istituto Superiore di Sanità, attualmente professore di Ispezione di Alimenti presso l’università Campus biomedico Roma.
Perché è ritenuto pericoloso
Nel 2016 la stessa Efsa aveva autorizzato l’uso del BT, ma aveva raccomandato studi ulteriori per colmare importanti lacune sulla conoscenza di questo additivo. Le ricerche tossicologiche hanno poi spinto la Commissione europea a chiedere all’Agenzia una nuova valutazione del rischio, che ora è arrivata sotto forma di “stop” all’impiego dell’E171: «La vera caratteristica di questo additivo sta nel fatto che nella maggior parte dei casi è impiegato sotto forma di nanoparticelle, cioè al di sotto dei 100 micron: per intenderci pari a circa un millesimo del diametro di un capello – spiega l’esperto – A differenza di altri composti chimici che pure si trovano in numerosi prodotti alimentari e non, il BT in nanoparticelle non si scioglie nell’organismo, per poi essere espulso normalmente. Un po’ come accade per le microplastiche, entra nelle cellule e si stabilizza all’interno dei tessuti. Il problema è che gli studi hanno mostrato come il biossido di titanio, una volta nelle cellule, può dar luogo a reazioni mutagene: in pratica può innescare un fenomeno – detto di genotossicità – che in grado di modificare il Dna. Come è noto i processi di questo genere possono attivare a loro volta una reazione cancerogena» spiega Macrì, che è anche responsabile della sicurezza alimentare dell’Unione nazionale consumatori.
Che rischi si corrono?
La decisione dell’Efsa ha generato un certo allarme: «Le informazioni scientifiche disponibili, provenienti da studi su animali da laboratorio, hanno dimostrato che il BT può provocare effetti negativi di natura infiammatoria sul sistema immunitario, su quello nervoso ed anche cambiamenti nel rivestimento del colon e del retto che possono evolvere, nel tempo, in cancro».
A differenza di altre sostanze chimiche che si possono trovare negli alimenti (e non solo) è stato deciso di non individuare una quantità che si possa assumere senza rischi (DGA, Dose Giornaliera Accettabile) per il rischio potenziale di danneggiare il patrimonio genetico cellulare. «Le sostanze genotossiche sono potenzialmente cancerogene e quindi la loro utilizzazione come additivi alimentari non è consentita. Di conseguenza il BT è stato quindi ritenuto non più sicuro per il suo uso quale additivo alimentare».
La quantità di E171 negli alimenti è minima
Tuttavia lo stesso Macrì aggiunge: «Fortunatamente le quantità di questo additivo presente nei diversi prodotti finora sono state molto basse». Non esisterebbe, quindi, un pericolo di accumulo, a meno che non si tratti di casi estremi di persone che mangiano quantità davvero molto importanti di alimenti che contengano E171 e usino molti prodotti che ne prevedono l’aggiunta. Per precauzione, comunque, in Francia da tempo ne avevano vietato l’uso.
I danni potenziali per l’ambiente
«L’aspetto più interessante della posizione dell’Efsa riguarda il fatto che per la prima volta ci si è occupati delle nanoparticelle, quindi questa pronuncia potrebbe essere importante per il futuro, per evitarne l’impiego anche per altri prodotti. Il loro vantaggio sta nel fatto che possono ampliare la superficie che raggiungono: per esempio, l’argento colloidale, che è impiegato per la cura delle ferite risulta più efficace sotto forma di nanoparticelle» spiega il professor Macrì, che aggiunge: «Il pericolo, però, non riguarda solo potenzialmente l’uomo: le creme solari che contengono BT, per esempio, se disperse in mare entrano nell’ecosistema e dunque possono dar luogo a una contaminazione ambientale più ampia, che riguarda anche i pesci e la vegetazione marina».
I coloranti che non fanno male
«La buona notizia è che di questo tipo di additivo alimentare c’è solo il biossido di titanio. Altre sostanze chimiche utilizzate nei cibi, come ad esempio quelle per rendere più intenso il colore delle uova o del salmone, sono metabolizzate e, in alcuni casi, sono anche precursori della vitamina A. Altre, come l’acido ascorbico per la conservazione, sono di origine naturale e si trasformano, una volta nell’organismo, in anidride carbonica e acqua» conclude l’esperto.