C’è stato un tempo in cui ho creduto che il talento non appartenesse a tutti. Beh, mi sbagliavo! Sono quasi 30 anni che lavoro con i bambini e proprio loro mi hanno fatto ricredere. Ognuno di noi possiede grandi risorse, sin da piccolo: dobbiamo solo allenare il nostro sguardo e il nostro modo di porci per scoprirle. Ho scritto “Libera i talenti del tuo bambino” perché credo profondamente nel potenziale di ogni essere umano.
A darmi la conferma definitiva del fatto che dovevo parlarne è stata una bambina, la mia. Un giorno Giorgia mi ha chiesto: «Mamma, ma anche io ho un talento?». In quell’istante, la vita professionale e la vita personale si sono allineate e la strada è stata molto chiara: «Certo, tutti abbiamo almeno un talento!» le ho risposto. «E c’è una sola persona in grado di scoprirlo. Quella persona sei tu, amore mio».
Molti genitori pensano che il loro compito sia stabilire qual è il talento dei figli
e non aiutare i ragazzi a riconoscersi e a diventare loro stessi. Ecco perché quando parlo con le mamme e i papà preferisco partire da quello che non è il talento e cerco di aiutarli a evitare le trappole pericolose in cui rischiano di trascinare anche i loro ragazzi. Il talento non è un riscatto: il testimone di quello che non siamo riusciti a fare noi non deve per forza essere raccolto dai nostri ragazzi. Ma il talento non è neanche qualcosa di superlativo, non significa essere il migliore in assoluto. E qui arriviamo all’ultimo “non”: il talento non è necessariamente successo, fama, competizione.
La parole chiave, invece, è unicità
Ogni bambino è un talento perché fa una certa cosa in quel modo che è solo suo. Nel tempo, se avrà attorno a sé un ambiente che lo stimola correttamente, sentirà tutto questo sbocciare dentro di lui. Se ne accorgerà dal piacere, da quel modo di approcciarsi dettato da una passione autentica, e soprattutto da una percezione tutta speciale del tempo trascorso a fare quella cosa: un’infinità di tempo agli occhi degli altri che per lui sarà volato in un baleno.
Non è detto quindi che il talento di nostro figlio debba trasformarsi nella sua professione o nella sua ragione di vita: penso a una bambina che ho conosciuto, bravissima sin da piccola nel disegno che da adulta ha scelto felicemente di diventare avvocato e non illustratrice; penso a un altro bambino che ha trovato rifugio e conforto nella scrittura quando si è ritrovato vittima di bullismo: non per forza diventerà scrittore o giornalista, ma è importante che abbia lasciato emergere il talento dalle sue emozioni, trasformando un problema in una scoperta.
Il modo migliore per avere rispetto del mondo dell’infanzia è credere di più nei nostri figli
Dobbiamo arrivare a conoscere chi sono veramente questi esseri umani che mettiamo al mondo e che poi crescono e fioriscono anche molto distanti da quello che noi siamo e ci aspettiamo. Ricordo un papà che, prima ancora di veder nascere la figlia, la vedeva già a studiare in un’università americana. Immaginiamo il carico emotivo a ogni pagella! Il nostro compito, invece, è educarli a non aver timore di un pensiero diverso, una competenza diversa, un modo di vivere tutto loro.
Come riuscirci concretamente? Nel mio libro parlo del cosiddetto ascolto attivo, il modo di comunicare che ci permette di restare al fianco dei nostri ragazzi senza soffocarli con le nostre aspettative. Guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli senza parlare, incoraggiamoli a spiegare senza esprimere giudizi, né anticipare le conclusioni. È un cambiamento di prospettiva importante che aiuta anche a rispettare i loro tempi.
Mi capita spesso nel mio lavoro di insegnante di soffermarmi a parlare con gli studenti delle loro passioni e delle loro risorse. È un racconto che ogni volta mi incanta. E che mi porta a riflettere sul fatto che gli stimoli per far affiorare il talento esistono, ma sono lontani dalle tante cose da fare che riempiono le giornate dei ragazzi e che non lasciano spazio alla noia e al silenzio. Per conoscersi i bambini devono imparare a contemplare proprio questo silenzio fuori e dentro di loro. Così come Giulia, che in un pomeriggio di noia assoluta ha scoperto i pomodori maturi e da allora ha cominciato a coltivare con grande cura il piccolo orto sul suo balcone.