Il piccolo Eitan è stato sottratto dal nonno materno agli zii paterni. A questi familiari, israeliani residenti in Italia il bambino era stato affidato dopo aver perso i genitori (anch’essi israeliani residenti in Italia) nell’incidente della funivia del Mottarone. Il suo caso ha attirato l’attenzione per via della storia drammatica vissuta appena pochi mesi fa. Ma come Eitan, ogni anno, sono decine e decine di bambini “contesi” dai familiari che vengono portati fuori dall’Italia, nella maggior parte dei casi da uno dei due genitori. Il problema esplode di solito dopo la fine di un matrimonio misto, cioè dove madre e padre hanno nazionalità differenti.
Risolvere i casi è estremamente difficile, le leggi ci sono, ma il problema è sempre farle applicare. È ancora più complicato quando il Paese in cui viene portato il minore non ha sottoscritto una convenzione con l’Italia.
Ci vuol un ordine di rimpatrio
«Nel caso di Eitan, le autorità israeliane si sono già pronunciate favorevolmente e ci sono i presupposti per il rimpatrio in Italia del bambino. Ma gli organismi che si occupano di questi casi hanno funzione amministrativa: per un ordine di rimpatrio occorre invece un pronunciamento giudiziario, cioè bisogna passare da un giudice che potrebbe non essere d’accordo, non ravvedendo motivi validi, il che complicherebbe di molto la situazione» spiega l’avvocato Lorenzo Puglisi, fondatore di Family Legal, specializzata nel diritto di famiglia.
Il caso di Eitan e la convenzione dell’Aja
Eitan viveva a Pavia insieme alla zia paterna a cui era stato affidato temporaneamente dopo la morte dei genitori nella tragedia del Mottarone, il 23 maggio scorso. Sabato scorso aveva ricevuto la visita del nonno materno, Shmuel Peleg, che però non lo ha più riportato a casa, ma si è diretto in auto a Lugano, in Svizzera, e da qui si è imbarcato su un volo privato alla volta di Israele, paese d’origine della famiglia. Così facendo ha violando la Convenzione dell’Aja: «Nel caso di Eitan va fatta una distinzione: esiste un aspetto penale e uno civile del caso. Da un punto di vista penale, il nonno ha violato nel norme del nostro codice penale, infatti è stato aperto un fascicolo per sequestro aggravato di minore. Significa che, se dovesse tornare, scatterebbe l’arresto. Ma in questi casi ciò che più conta è l’aspetto civile, cioè la violazione della convenzione dell’Aja del 1980, sottoscritta da diversi Paesi tra i quali Italia e Israele nel 1980» chiarisce Puglisi.
Come interviene lo Stato
La Convenzione dell’Aja prevede che in ciascun Paese firmatario si attivi l’organo di riferimento, chiamato Autorità centrale, che per l’Italia è a Roma. Questa si mette in contatto con il corrispondente del Paese in cui è stato trasferito il minore, per avere informazioni: per esempio, dove si trova esattamente, con chi vive o se sono rispettati quelli che sono considerati gli standard minimi. Poi si attiva la negoziazione per il rientro spontaneo – spiega Puglisi – Quando, invece, manca una convenzione o un accordo bilaterale, tutto è rimesso all’attività diplomatica, che è molto più difficile, soprattutto nel caso di Stati del nord Africa. In pratica si avvia un lavoro di intelligence per localizzare i bambini o i ragazzi, poi un’azione diplomatica per ottenere un provvedimento di rimpatrio da parte dell’autorità giudiziaria. Ma il problema è soprattutto farlo eseguire, specie in realtà dove non c’è piena democrazia» spiega l’avvocato.
Quali sono i problemi più frequenti
Nel caso specifico di Eitan occorrerà vedere se, come annunciato dai media israeliani, al parere favorevole al rimpatrio di Eitan da parte degli esperti del ministero degli Esteri e della Giustizia di Tel Aviv seguirà un provvedimento in tempi brevi. Ma per tanti altri casi – e sono molti – le cose non sono così semplici: «Tra Paesi europei di solito è più semplice risolvere le controversie a livello internazionale, anche se con alcuni non mancano le problematiche, per esempio con la Germania: lì spesso si ritiene che la scolarizzazione tedesca sia al disopra degli standard di altri Paesi, dunque c’è la tendenza a negare il rimpatrio e non mancano casi si genitori che non riescono più a vedere i figli, di madri o padri ai quali è persino negato vederli – spiega l’esperto – Il problema è che si tratta di una materia molto scivolosa, dove non ci sono automatismi e ogni caso è a sé»
Troppi casi di “rapimenti” in Italia e in Europa
La storia di Eitan è unica, anche per il fatto che si tratta di un bambino di appena 6 anni che ha perso entrambi i genitori (oltre al fratello e ai bisnonni) nell’incidente a Stresa. Ma nella maggior parte dei casi, i minori sottratti all’estero sono figli di genitori separati e sono molti: «Sono circa 100 all’anno e la maggior parte sono figli di unioni miste, tra madri e padri di nazionalità differenti. Il fenomeno è diffuso anche in Europa, dove sono circa 1.000 i casi ogni anno» racconta Puglisi. «Ci sono padri che rischiano di non rivedere i figli, ma anche moltissime madri. Io stesso mi sono occupato del caso di Sandra Fardella» racconta il legale. Il padre della piccola Sara Ammar era partito dalla volta del suo Paese d’origine, l’Egitto, con la figlia, rifiutandosi di riportarla in Italia. La bambina all’epoca, nel 2010, aveva 4 anni e risultava irreperibile. La madre si era recata in Egitto per cercarla. Dopo una battaglia legale e diplomatica durata cinque anni Sara e la madre erano tornate in Italia. «Di casi analoghi ce ne sono moltissimi, soprattutto quando i padri, di origine siriana, egiziana o tunisina, decidono di tornare in Patria portando con sé i figli» spiega Puglisi.
Il passaporto per l’espatrio
Uno dei nodi, che è emerso col caso di Eitan ma che riguarda potenzialmente tutti i genitori, è quello del passaporto. Perché un minore possa lasciare il Paese d’origine occorre questo documento, firmato da entrambi i genitori. «È chiaro che per Eitan le cose sono diverse perché i genitori sono mancati e il passaporto era in mano al nonno materno, anche se esisteva un provvedimento di affido temporaneo alla zia paterna. Quando la donna ha sporto denuncia, però, era troppo tardi, perché il bambino era già oltre confine e le autorità non hanno potuto far nulla per fermarlo. Tra l’altro, il giudice aveva chiesto la riconsegna del passaporto da parte del nonno, che era stata disattesa – spiega Puglisi – Nella normalità dei casi, invece, non solo serve il passaporto firmato da entrambi i genitori, ma anche un’autorizzazione all’espatrio, di volta in volta, senza la quale né madre né padre possono condurre il figlio all’estero».
Se però uno dei due ha motivo di temere che l’altro genitore possa allontanarsi senza autorizzazione, può rivolgersi all’autorità giudiziaria: «Si può chiedere che l’altro genitore sia espunto dal passaporto: in pratica, il nome dell’altro viene tolto dal passaporto e, in sostituzione viene rilasciato un altro documento non valido per l’espatrio» avverte Puglisi.
Tempi troppo lunghi
Infine c’è il problema delle tempistiche, sempre troppo lunghe: «Quando va tutto bene, quindi ci sono accordi internazionali e pareri favorevoli al rimpatrio, possono bastare poche settimane, ma nella realtà i tempi sono molto più lunghi e variano a seconda dei casi. Dipende molto dall’esito delle discussioni tramite l’autorità centrale, nel caso in cui sia stata sottoscritta la convenzione dell’Aja, ma di rado ci vogliono meno di 6 mesi. Spesso, poi, i giudici vogliono entrare nel merito e capire se il minore possa andare incontro a pregiudizi psicofisici in caso di rimpatrio e per questo occorre un’istruttoria. Insomma i mesi volano» conclude l’esperto di Family Legal.