All’indomani delle elezioni regionali in Emilia Romagna, sono fioriti schemi interpretativi sulla vittoria di Stefano Bonaccini. Chi fino a ieri temeva che le Sardine avrebbero favorito la destra, oggi pensa che siano loro, quei quattro ragazzi e le loro piazze piene, ad aver portato l’Emilia Romagna al voto: affluenza record. Chi accusava i giornalisti di aver fatto da reggimicrofono al Salvini sceriffo, oggi ritiene che proprio l’eccesso di visibilità abbia danneggiato il leader della Lega. E chi è stato tenuto lontano dalla campagna elettorale del vincitore – leggi: il Partito democratico – oggi si appropria della vittoria, dichiarandosi unica alternativa alla Lega.
Va bene tutto. Ogni interpretazione ha un fondo di verità, purché non ci impedisca di vedere l’ovvio. In Emilia Romagna ha vinto prima di tutto la buona politica, quella fatta pensando alla gente e non in funzione elettorale. Quella che guarda lontano nel tempo e vicino nello spazio. Bonaccini è uno che parla raramente di temi nazionali ma vive intensamente il territorio. La sua Emilia Romagna è la Regione con il migliore sistema sanitario, con le rette degli asili nido più basse, con l’occupazione femminile maggiore e la disoccupazione minore. Una Regione dove i fondi per la cultura aumentano assieme al turismo. E dove si parla di autonomia ma senza farne una bandiera ideologica, bensì come strumento per governare in maniera ancora più efficace.
Certo, la buona politica non basta. E la conferma di Bonaccini non era affatto scontata. L’enigma è come questo buon governo venga percepito da chi ci vive immerso. Quanto sia dato per scontato e quanto invece sia ritenuto da proteggere. D’altra parte è lecito credere che l’Emilia Romagna sarebbe rimasta un modello anche senza la riconferma di Bonaccini. Perché la leadership generativa ha questo di buono: innesca movimenti positivi che continueranno anche quando noi non ci saremo più.
Se c’è un aspetto positivo dell’enfasi spropositata attribuita a queste elezioni, èche ci hanno costretto per qualche mese a focalizzarci sul locale. E non c’è cura migliore per lo scetticismo che ci allontana dalla politica che guardare le storie di sindaci e governatori, che indipendentemente dalla loro bandiera, riescono a cambiare in meglio la vita della gente.