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Puoi ascoltare questo articolo anche in podcast su Giornale Radio nella puntata di venerdì 5 maggio 2023.
Cos’è la mitezza?
Appena qualche anno fa avremmo considerato la mitezza una qualità “optional”, non certo una skill da mettere sul tavolo durante un colloquio di lavoro, un modo per presentarsi sui social o con un nuovo partner. Mitezza era sinonimo di stare un passo indietro. Indicava quella persona che-non-ti-ricordi, un po’ a disagio, tanto carina ma a cui non affideresti un incarico importante perché “qualcuno potrebbe metterle i piedi in testa”. Chi insomma si lasciava trasportare dagli eventi e non aveva la grinta per prendere in mano il proprio destino.
La mitezza come punto di forza
Oggi non è più così. Complice la pandemia, la guerra in Ucraina, la crisi climatica e quella economica, ci siamo tutti scoperti più vulnerabili e fragili. Abbiamo conosciuto il dolore e la sofferenza, abbiamo fatto i conti con quelle che consideravamo le nostre debolezze e non abbiamo più voglia di nasconderle. O forse non ce n’è nemmeno bisogno. Sembra un paradosso, ma la mitezza è un punto di forza per affrontare le tempeste della vita, un atteggiamento che ci consente di analizzare con più calma quello che ci succede, una qualità che ci aiuta a non bruciare come un fiammifero. Un cambio di paradigma che andrebbe coltivato.
Fare un passo indietro è un’esigenza
«Fare un passo indietro è oggi un’esigenza di radicale importanza. E la mitezza ci consente di sfuggire alla fretta, alle decisioni improvvisate, alla smania di potere e di volere essere sempre i primi. Ci invita alla meditazione, alla ricerca di quello che avviene nella vita interiore nostra e degli altri, ad accogliere le nostre fragilità come espressione di sensibilità e di delicatezza, di febbrile partecipazione al dolore e alle richieste di aiuto delle persone che la vita ci fa incontrare» mi spiega il celebre psichiatra Eugenio Borgna, che ha appena pubblicato Mitezza (Einaudi), un piccolo, intenso libro in cui ci invita a cambiare passo per ascoltare quello che siamo.
La positività tossica
«Non devi mai arrenderti». «Devi eliminare la negatività dalla tua vita», «Il solo limite che esiste è quello che scegli tu». Quante volte ci siamo sentiti ripetere queste frasi? Per gli esperti sono espressione di una positività tossica, una filosofia di vita che ha preso piede nella nostra società a partire dagli anni ’50 e che è cresciuta col movimento self-help fino a riempire le campagne pubblicitarie, le frasi motivazionali su Pinterest, i gruppi di WhatsApp. «“Volere è potere” è una delle più grosse bugie che l’uomo abbia mai creato, e che ci ripetiamo per gestire le nostre personali quote di angoscia» scrive lo psicologo Giulio Costa in La disciplina dell’imperfezione. Navigare tra le nuove fragilità contemporanee (Sperling & Kupfer).
“Volere è potere” è una bugia
«È la negazione del reale, del limite. Abbiamo trasformato la narrazione della fragilità in un cancro da rimuovere chirurgicamente (…) Negli slogan mondani dominanti è l’immagine dell’insuccesso e del fallimento; in essa invece si nascondono valori di sensibilità, delicatezza e coraggio». Che fatica essere sempre in prima linea, sempre al massimo, pronti a mordere la vita, “perché io valgo”. A dimostrare di essere bravi, in forma, «schiavi del numero dei follower, dei “mi piace” a una foto o delle visualizzazioni di un contenuto su YouTube o TikTok». La dittatura della performance, la chiama Giulio Costa.
La pressione verso la felicità
La pressione sociale verso la felicità (ma anche l’apparenza della felicità) non è mai stata tanto intensa, dice Whitney Goodman nel bestseller Positività tossica (Tea).
Ma allora perché così tanti tra noi sono ancora infelici? Si chiede. Perché il miracolo del «Sei incredibile! Ce la puoi fare» quando non si avvera viene considerato un fallimento personale, non un caso dettato dagli eventi. E se non sei un lottatore che vive nel presente, ma invece guardi al passato, sei un “perdente”. «Si tende oggi a vivere come se il passato non esistesse, e come se solo il presente fosse importante» dice ancora Eugenio Borgna. «Corriamo senza fermarci mai e senza ascoltare la voce del cuore, che ci consente di recuperare il valore della memoria e della nostalgia, di quello che avviene oggi e di quello che potrebbe avvenire domani». Perciò il professore rivendica la mitezza: «È una virtù che ci fa uscire dal nostro egoismo e ci mette in relazione con gli altri, facendoci riconoscere il senso delle nostre fragilità. Non correre, insomma, ma fermarsi, guardare al passato e al futuro, e non solo al presente che divora la nostra vita senza lasciare tracce nella nostra memoria.
Le emozioni sorelle della mitezza
Non si può vivere senza speranza, diceva Giacomo Leopardi, ma, direi, nemmeno senza mitezza. Le emozioni sorelle della mitezza, come la gentilezza e la tenerezza, la timidezza e la delicatezza, si intrecciano le une alle altre, consentendoci di vivere una vita più serena, non divorata dalla conflittualità e dall’aggressività. Ecco il senso del fare un passo indietro». Il passo indietro è un vantaggio anche per la giornalista Valentina Ciannamea, che in Secondo a chi? (Do it human editori) porta l’esempio dei Måneskin, arrivati secondi a X Factor e poi diventati quelli che tutti conosciamo.
«Essere primi o secondi non ha importanza se fai quello che ti piace» scrive. Ma cita anche Keanu Reeves, eroe di Matrix sullo schermo e nella vita uomo mite e rispettoso, decisamente lontano da ciò che intendiamo per divo di Hollywood. Lui, sì, sempre fieramente un passo indietro.