Arriva un manifesto-appello per incentivare l’uso dei medicinali monoclonali contro il mal di testa cronico, che colpisce soprattutto le donne. Eppure in troppo poche ricevono cure adeguate: non stiamo parlando del dolore che compare saltuariamente, infatti, ma di un disturbo persistente, che rischia di impattare sul benessere, sui normali ritmi e stili di vita.
Per non parlare del costo economico che può avere proprio in termini di assenze dal posto di lavoro e di terapie. Secondo gli esperti, un paziente può arrivare a costare fino a 4.352 euro all’anno. Da qui l’appello-manifesto in 10 punti, realizzato dalla Fondazione Onda, Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna, chiamato “Uniti contro l’emicrania”. «Il Manifesto è una call to action per offrire una migliore qualità della vita alle persone con emicrania» ha spiegato Francesca Merzagora, presidente Fondazione Onda.
L’appello per la salute delle donne
L’emicrania è un problema che colpisce soprattutto le donne, anche per questo il manifesto-appello è stato proposto dalla Fondazione Onda. Secondo i dati dell’Osservatorio, in Italia almeno 15 milioni di persone hanno avuto un episodio di emicrania nella propria vita e di queste 11 milioni sono donne. Dei circa 6 milioni di pazienti che ne soffrono abitualmente 4 sono sempre donne: «Rappresentano i due terzi di chi ne è colpito e i motivi non sono solo legati agli ormoni, come spesso si pensa» chiarisce Paolo Martelletti, neurologo responsabile del Centro di Riferimento Regionale Cefalee – Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare dell’Università La Sapienza di Roma e presidente Fondazione Italiana per lo Studio delle Cefalee Onlus.
Perché è un problema femminile
«L’emicrania è una malattia ereditaria che preferisce la linea femminile. Questo significa che, a prescindere dai fattori ambientali esterni che possono scatenare le cefalee, esiste una differenza genetica tra i sessi. A ciò vanno aggiunti, però, i fattori scatenanti, tra i quali sicuramente la fluttuazione ormonale femminile» spiega Martelletti. «Per esempio le fasi premestruali e peri-ovulatorie sono spesso accompagnate da emicrania mentre, se non è cronico, il mal di testa si alleggerisce dopo la menopausa. Un altro esempio è dato dalle crisi emicraniche che compaiono in modo lieve nelle bambine e che poi con il menarca diventano stabili in fase adulta. O ancora, non è un caso che nella maggior parte delle donne che soffrono di emicrania questa ha un’attenuazione in gravidanza, dopo il terzo mese, mentre al contrario le donne che si sottopongono a stimolazione ormonale o assumono anticoncezionali possono andare incontro a un peggioramento dell’emicrania».
L’esperto precisa, però: «Chiaramente si tratta di fattori scatenanti aggiuntivi a una predisposizione genetica, che non è uguale in tutte le donne». L’appello, però, è unico per tutte: non sottovalutare il problema.
Perché l’emicrania non va sottovalutata
È opinione unanime degli esperti che i mal di testa frequenti non vadano sottovalutati: «Il campanello d’allarme deve scattare quando si verificano più di 4 crisi al mese, considerando che una crisi di emicrania può durare anche due o tre giorni. In questo caso non è un semplice mal di testa passeggero, ma sintomo di un problema da indagare e sul quale intervenire» spiega il neurologo. Il rischio, se si trascura, è quello di andare incontro a una cronicizzazione: «Ormai lo sappiamo tutti: l’emicrania è cronicizzante di per sé: significa che se inizia da bambini, con episodi più blandi, col tempo tenderà ad aumentare in frequenza e durata, fino a diventare anche più grave in termini di risposta dei farmaci. Insomma, questi tenderanno a diventare meno efficaci. Il problema è che spesso si aspetta troppo a intervenire».
L’emicrania si cura sempre troppo tardi
Dai dati emersi da un progetto chiamato IRon e condotto su 866 pazienti con emicrania cronica visitati presso 24 centri cefalee italiani, è emerso che in media passano circa 20 anni tra la comparsa della prima emicrania e il primo ricorso, da parte del paziente, a un centro cefalee. In questo intervallo i pazienti sono sottoposti nell’80% dei casi a esami diagnostici inutili e si trovano a consultare da 8 a 18 specialisti nell’arco della vita. «Di recente – conferma l’esperto della Società italiana per lo studio delle cefalee – c’è stato il caso di una donna sottoposta a ben 13 risonanze magnetiche per emicrania: un record che neppure io in 46 anni di attività avevo mai visto. Eppure le terapie, anche più moderne, ci sono. Tra queste i farmaci monoclonali».
Le cure con i monoclonali
Come spiega Martelletti, si tratta di cure che andrebbero avviate molto prima di quanto non si faccia oggi, mentre nella maggior parte dei casi, essendo considerati farmaci di prima scelta, vi si ricorre sempre alla fine, dopo che gli altri trattamenti sono falliti. «I motivi sono vari: da un lato c’è un fattore culturale, per cui appunto si tende ad aspettare; dall’altro anche i medici spesso vi ricorrono solo quando tutte le altre terapie sono fallite. Questo è sbagliato: i pazienti con emicrania sono malati come altri, l’emicrania è una malattia come altre, quindi non si capisce perché non si debba fare ricorso a farmaci innovativi, efficaci e persino più sicuri rispetto ad altri tradizionali, come gli antiepilettici che potenzialmente possono indurre comportamenti suicidi» spiega l’esperto. «Se si interviene per tempo, invece, si può arrivare più facilmente a una fase di remissione clinica della patologia».
Quanto pesa il costo dei farmaci monoclonali?
«I monoclonali hanno sicuramente un costo sicuramente non esiguo, ma va considerato che gli emicranici cronici sono il 2/3% della popolazione e per loro i monoclonali possono fare la differenza. Inoltre è vero che non costano poco, ma si tratterebbe di una fiala al mese per ogni paziente. Quanto costa, in confronto, il continuo accesso al pronto soccorso, le numerose visite specialistiche o gli altri farmaci per l’emicrania, usati magari per anni senza risultati efficaci? Senza considerare gli effetti in termini di ricadute sociali e lavorative, perché si parla di persone che si assentano dal lavoro e vivono in una condizione di emarginazione sociale ed emotiva» conclude Martelletti.