L’emicrania è la terza malattia più frequente nel mondo: ne soffre 1 miliardo di persone, soprattutto donne. Solo nel nostro Paese ne è colpito il 18% della popolazione femminile e la metà (9%) di quella maschile. Ma solo 1 paziente su 10 riesce a ricevere cure adeguate. Di recente in Italia è stata riconosciuta come malattia sociale. Per i pazienti “refrattari” alle terapie finora disponibili, però, è ora disponibile (e rimborsabile dal Servizio Sanitario Nazionale) un’arma in più: tre farmaci in grado di “prevenire” gli attacchi. Diversamente dagli analgesici tradizionali, infatti, non agiscono sull’effetto riducendo il dolore, ma sulla causa che scatena l’emicrania.
Come funzionano i nuovi farmaci
Sono tre gli anticorpi monoclonali (erenumab, galcanezumab e fremanezumab) ora disponibili in altrettanti farmaci, che si somministrano con un’iniezione: sono i cosiddetti anti-CGRP, in grado di bloccare la proteina che contribuisce all’insorgenza dell’emicrania (peptide correlato al gene della calcitonina). Durante gli attacchi di emicrania i livelli di questa proteina aumentano in modo sensibile. Essendo collegati al segnale di dolore nel sistema nervoso, causano i classici disturbi della cefalea. «I nuovi farmaci quindi agiscono sull’attacco, non sul sintomo. Sono stati autorizzati dall’Aifa, l’Agenzia Italiana per il Farmaco, che ha stimato una spesa di 2.300 euro annui per ciascun paziente» spiega Gioacchino Tedeschi, presidente della Società italiana di Neurologia.
I nuovi farmaci: privi di effetti collaterali
«Un grosso vantaggio è che questi farmaci funzionano in oltre il 70% dei casi, che potrebbe sembrare un numero non enorme, ma si sono dimostrati del tutto privi di effetti collaterali, a differenza dei medicinali che attualmente utilizziamo per le terapie e che sono “presi in prestito” dalla cura di altre patologie. Questi, infatti, hanno effetti collaterali tali che spesso inducono i pazienti a sospendere il trattamento, come per esempio abbassamento della pressione o aumento di peso. Occorre solo una maggiore attenzione nella prescrizione in pazienti anziani e ipertesi» spiega Tedeschi, che aggiunge: «Sono anche molto più pratici rispetto alla terapia botulinica, che finora rappresentava l’unica altra terapia specifica. Ha però dei limiti: per esempio, è necessario che il paziente si rechi ogni tre mesi in un centro specializzato (e non sono molti) per sottoporsi a una serie di iniezioni, da 15 a 31, di tossina botulinica in altrettanti punti specifici del cuoio capelluto. Poter ricorrere a una semplice fiala sottocute, come per i nuovi farmaci, una volta al mese e in ambulatori più numerosi sul territorio è sicuramente una notizia positiva per i pazienti. Ovviamente occorrerà una riorganizzazione generale, perché aumenterà il numero di persone che chiederanno il trattamento con i monoclonali presso i centri che dovranno selezionarli e seguirli».
Requisiti: soffrire di emicrania cronica
I nuovi trattamenti potranno essere rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale a quei pazienti che, secondo i criteri dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), hanno ottenuto una diagnosi di emicrania cronica e sono seguiti dai centri per la terapia delle cefalee individuati dalle Regioni. La somministrazione avviene in via sottocutanea una volta al mese. L’efficacia, sia nelle cefalee episodiche che in quelle croniche (cioè rispettivamente fino a 15 giorni al mese oppure per 15 o più giorni al mese) è stata dimostrata da studi clinici: «La strada dei monoclonali è importante, tanto che in autunno arriverà un quarto farmaco per chi soffre di questa malattia, che non va confusa con un semplice mal di testa: questa è una definizione generica, è come parlare di un’automobile oppure, nel caso della cefalea cronica, di una specifica marca di vettura di una certa cilindrata. Non va neppure confusa con una cefalea da stress o tensiva, che invece ha a che fare con problematiche lavorative o affettive, ed è paragonabile a gastriti o altri disturbi legati agli stili di vita» spiega Paolo Martelletti, direttore del Centro Regionale per le Cefalee dell’Università Sapienza presso l’Ospedale Sant’Andrea di Roma.
Come si certifica l’emicrania cronica
Perché l’emicrania cronica sia diagnosticata occorre una certificazione da parte di un medico specialista come un neurologo, presso un centro accreditato per le cefalee, che attesti che il soggetto ne soffra da almeno un anno e che gli effetti abbiano ripercussioni negative e gravi sulla vita della persona che ne soffre: «La cefalea cronica incide sulla vita sociale, relazionale, soprattutto sull’efficienza lavorativa: gli studi ci mostrano che si può accompagnare a forme di assenteismo (non si va al lavoro per il dolore) o presenteismo (ci si automedica in modo scorretto ed eccessivo per recarsi al lavoro, ma si ha una produttività estremamente bassa)» spiega Martelletti.
Un passo avanti per milioni di italiani (soprattutto donne)
L’emicrania ha una durata che varia in genere dalle 4 alle 72 ore, spesso colpisce una sola “metà” della testa, si presenta con dolore pulsante, intenso e che aumenta con il movimento fisico. Tra gli effetti collaterali ci possono essere nausea, dolore cervicale, vertigini, intolleranza alla luce e ai rumori, difficoltà a concentrarsi e umore altalenante. Nella sua forma cronica riguarda dal 2,5 al 4% della popolazione e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ritiene l’emicrania al secondo posto tra le malattie che causano disabilità. Nelle forme gravi, arriva a riguardare il 61% dei casi. Oltre ad avere un forte impatto sulla vita di chi ne soffre – lavorativa, sociale e privata – ha anche un costo economico elevatissimo, stimato in 111 miliardi all’anno soltanto in Europa, tra inattività e terapie. Da metà luglio in Italia la cefalea cronica ha ottenuto il riconoscimento di malattia sociale da parte del Parlamento. «È un riconoscimento molto importante perché si tratta di una malattia che colpisce un gran numero di pazienti, soprattutto donne e in età ancora giovanile, tra i 40 e i 50 anni. Questa legge compensa decenni di disattenzione da parte della società sanitaria e politica» commenta Pierangelo Geppetti, presidente della SISC, la Società italiana per lo Studio delle Cefalee.
L’emicrania malattia sociale anche in Italia
Con l’approvazione da parte del Senato, che segue quella della Camera, il ddl ha ottenuto il sì definitivo dal Parlamento: «La legge annuncia un principio, cioè che l’emicrania cronica è una malattia sociale, ed è un passo indispensabile, ma ora mancano ancora le norme attuative: ad esempio, potrà dare accesso a un’invalidità? Sarà contemplata nei Lea, i Livelli Essenziali di Assistenza? Darà diritto alla legge 104? Ora noi come SISC, insieme alle associazioni dei pazienti, ci stiamo battendo per accelerare i tempi» conclude Geppetti.