Tornare a esplorare
«Per molti dei bambini più grandicelli, preadolescenti inclusi, questa sarà un’estate esplosiva: un po’ come quando – lo abbiamo provato tutti da piccoli – si torna alla normalità dopo una malattia o magari un ricovero in ospedale» esordisce Alberto Pellai. «Se non hanno perso la dimensione del desiderio e dell’attesa, infatti, i bambini di questa età saranno felici di tornare alla vita di relazione, al movimento. Chi, invece, ha interiorizzato l’idea che uscire e incontrare gli altri possano essere fattori di rischio sarà più guardingo: se i genitori hanno mostrato ansia, i figli avranno paura non solo per se stessi ma anche per i nonni, i parenti meno giovani e tenderanno ad affrontare l’estate con il freno a mano. E sarebbe un peccato. Occorre dunque aiutarli a rientrare in un copione di relazioni sociali e incontri, incoraggiando la dimensione libera ed esplorativa che dovrebbe essere propria di ogni bambino».
Se non vuole uscire, fai un passo alla volta
«Durante il lockdown, alcuni bambini si sono costruiti una propria comfort-zone dove non manca niente, dal nutrimento alle coccole, dagli spazi di svago al divertimento. Tanto che ora non sentono più il bisogno di uscire» commenta Alberto Pellai. «Per riabituarli, si deve procedere a piccoli passi, partendo per esempio dalla “coppia”, trascorrendo il pomeriggio con un amico o amica a cui sono legati e con il quale si sentono al sicuro. Una volta ristabilita questa relazione, si comincia a proporre alla coppia di amici delle situazioni di gruppo come i pomeriggi a un campo estivo: forte della vicinanza dell’altro, anche per chi si era chiuso un po’ sarà più facile buttarsi nelle nuove amicizie».
Aiutalo a riconoscere le emozioni
Rabbia, tristezza, allegria, curiosità, dispiacere, amore e vergogna, secondo gli esperti, sono le emozioni principali che i bambini possono provare. E, perché non vengano sopraffatti dalla vergogna che fa venire voglia di nascondersi o dalla troppa allegria che non riescono a contenere, devono saperle riconoscere. «Distinguerle – in noi stessi e negli altri – è il primo passo» spiega Pellai. «Se decifriamo i gesti, gli sguardi e i comportamenti generati dalle emozioni primarie, sapremo riconoscerle in fretta. Per aiutare i ragazzini a essere coscienti del loro stato emotivo basta una frase, come “sei così felice che non riesci a stare fermo un attimo” o “hai voglia di picchiare tuo fratello perché sei arrabbiato”. Dicendo loro che “capita di sentirsi così”, “capisco che può essere dura”, “succede a tutti di essere frustrati quando non si ottiene ciò che si vuole”, si dimostrano empatia e comprensione. E li si aiuta a distinguere tra emozione, cioè quello che proviamo, e comportamento, cioè quello che facciamo».
Se non rispetta le regole, sta chiedendo aiuto
Questa è l’età in cui il gioco, come l’attività fisica, diventano azioni più complesse, non più libere e “destrutturate” come per i piccoli. E questa complessità è anche ciò che permette loro di godere di sfide più stimolanti e di provare tante emozioni. «In questo periodo particolare, se si ha la sensazione che qualcosa non va, si può fare attenzione a come il bambino affronta il gioco, da una partita a dama a una piccola gara di tuffi in piscina» commenta Francesca Valla. «Se notiamo che non riesce a rispettare le regole, tiene il muso se perde o ha comportamenti prepotenti con i compagni, ci sta segnalando una fatica che sta vivendo. Certo, un episodio non basta. Ma se a questo si aggiungono difficoltà nel dormire, irritabilità o inappetenza, è il caso di affrontare la difficoltà. Magari con l’aiuto di uno specialista che dia il giusto sostegno per affrontare e superare un ostacolo passeggero».
Il mini test: la prova dell’amico
Può succedere che i ragazzini si chiudano in se stessi e che diventi difficile comunicare con loro. Ma prima di preoccuparsi, fai un piccolo esperimento. «A casa, crea un’occasione di incontro con un amico o un’amica della stessa età: se con te è taciturno e un po’ musone ma senti che, in camera con l’amico, ride e chiacchiera, allora va tutto bene, vuol dire che la comunicazione funziona. Se invece non succede, meglio parlarne con il pediatra e cercare insieme a lui l’aiuto di uno specialista, specialmente se, quando tenti di parlargli del suo disagio, tuo figlio reagisce in modo aggressivo» suggerisce Pellai.