C’è un’altra storia da raccontare oltre a quella del Covid-19, che doverosamente reclama spazi, tempi, risorse, ansie. È la vicenda dei malati cronici. E anche questa reclama attenzione.
I malati cronici messi in stand-by
Si tratta di 24 milioni di italiani (il 40 per cento della popolazione) colpiti da una patologia cronica, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane dell’Università Cattolica di Roma. Molti di questi durante il lockdown sono stati costretti a mettere in stand by la loro condizione di co-morbilità (perché di questo spesso si tratta) per rimandare visite ed esami, cancellare i controlli prenotati, non trovare posti disponibili prima di 12 mesi. È una storia di cui non ci sono ancora dati a livello nazionale ma i cui contorni tenta per la prima volta di disegnare il XVIII Rapporto Nazionale di Cittadinanza attiva. Un rapporto comunque corposo e significativo perché raccoglie le voci di 34 associazioni di pazienti riunite nel CnAMC, Coordinamento nazionale Associazioni Malati Cronici. Ne emerge un quadro “oltre il Covid” che ritrae persone con fragilità, pazienti cronici, oncologici e affetti da malattie rare, che hanno rinunciato ai loro controlli, faticato a trovare ascolto o comunque incontrato gravi difficoltà. Il 44,1 per cento racconta di cancellazioni e ritardi in visite, esami e interventi, il 41,2 delle difficoltà a reperire informazioni, il 38,2 degli ostacoli a contattare specialisti e centri di riferimento. Alla ricerca ha partecipato anche il CFU, la principale associazione che raccoglie chi soffre di fibromialgia: da Nord a Sud, una serie di testimonianze di ritardi, cancellazioni, disagi, che i pazienti affrontano con grande dignità e rispetto nei confronti della situazione, ma che comunque è doveroso segnalare.
Anche l’endometriosi è stata dimenticata
Tra questi malati cronici, ci sono i 3 milioni di donne colpite da endometriosi, malattia invalidante molto diffusa ma poco conosciuta, poco diagnosticata, non trattata. È una patologia femminile che può colpire fin dall’adolescenza ma che viene spesso scambiata per un dolore mestruale più forte del normale, da sopportare con qualche farmaco, tutt’al più con un po’ di riposo. Invece l’endometriosi galoppa negli anni e, se non individuata, può provocare danni irreparabili ai tessuti e agli organi intorno: intestino, vescica, uretere, reni, utero, ovaie. Spesso è perfino asintomatica e, quando si scopre, in molti casi occorre ricorrere a interventi piuttosto invasivi e dolorosi, con conseguenze che minano la possibilità di condurre una vita normale.
L’impatto del Covid sull’endometriosi
Anche le donne con endometriosi subiscono l’impatto del coronavirus sui nostri ospedali. Moltissime non possono sottoporsi alle visite prenotate e nell’agenda dettata dall’emergenza, la prevenzione non trova più il suo posto (e questo vale per tante altre patologie, compreso il tumore): le liste sono bloccate o “contingentate” e così i controlli si posticipano, a volte anche di un anno. «L’accesso alle varie prestazioni è rallentato in tutta Italia. Diventa estremamente difficile ottenere una semplice ecografia o una risonanza magnetica in tempi rapidi e soprattutto nei tempi giusti, quelli cioè in cui si dovrebbero eseguire questi esami per far sì che siano efficaci, ovvero che rivelino la malattia». A denunciare la lentezza del sistema e la condizione delle donne è Sonia Manente, presidente dell’Associazione Endometriosi FVG, una delle più attive a livello nazionale, che nel 2019 ha depositato un disegno di legge in Commissione Sanità al Senato, anche questo fermo a causa delle priorità dei lavori parlamentari. «Era già pronto un finanziamento che doveva servire alla formazione dei medici, il primo tassello per poter contrastare questa malattia: l’endometriosi infatti non è ancora conosciuta. I dati dimostrano che possono occorrere fino a 8 anni per la diagnosi. Infatti i ginecologi per primi faticano a diagnosticarla e trattarla e, a cascata, gli altri specialisti, tra cui i medici del lavoro, sordi alle indicazioni delle donne che ne soffrono». Per esempio, solo i medici formati sanno che gli esami vanno eseguiti entro il decimo giorno dall’inizio del ciclo, e in presenza di dolore, altrimenti sono poco efficaci. E pochi sanno che l’ecografia e la risonanza devono essere eseguite con macchinari di ultima generazione perché la malattia risulti evidente. Ma questi macchinari, e gli occhi allenati per interpretare i referti, sono pochi, come pochi sono i centri specializzati in Italia.
La pandemia detta l’agenda sanitaria
Tutto ciò quasi svanisce di fronte alla pandemia. In piena emergenza sanitaria, ciò che non rientra nel cappello “coronavirus” finisce per forza di cose in fondo alla lista delle priorità. Il coronavirus, insomma, non ha fatto altro che esasperare le criticità legate a questa patologia: da una parte i medici faticano a prenotare ecografie e risonanze, dall’altra le donne, con l’emergenza in corso, subiscono quel tabu che ancora resiste, legato al ciclo mestruale. E così quasi si vergognano di lamentare dolori al ventre e alla schiena, che in molti casi si estendono alle gambe e ai tendini di tutto il corpo. Un riserbo che forse supererebbero se solo conoscessero la malattia e la sua portata. Infatti sono le donne per prime a sapere poco o nulla dell’endometriosi. Da un sondaggio pre-coronavirus realizzato dall’Associazione Endometriosi Friuli Venezia Giulia Onlus su 700 ragazze, emerge che nel 72 per cento dei casi le studentesse non hanno mai sentito parlare di questa patologia. Eppure, raccontano di un ciclo mestruale irregolare nel 77 per cento dei casi, doloroso nel 32, e di assenze da scuola nel 45 per cento dei casi. Nonostante ciò, il 67 per cento delle adolescenti non ha mai effettuato una visita ginecologica e naturalmente pensare oggi alla prevenzione, con gli ospedali in affanno, appare fuori tempo e, per alcuni, anche fuori luogo.
Le donne si raccontano
Eppure la priorità delle donne che ne soffrono sarebbe proprio quella di ricevere attenzione e cure. Per tutte, la testimonianza di Chiara (tratta dalla pagina Facebook dell’Associazione Endometriosi FVG) che, oltre ai tristissimi titoli di questa emergenza, vorrebbe scorgere la notizia di un piano di rientro sulle interminabili liste di attesa. «L’endometriosi mi ha portato via non solo la salute ma anche il lavoro. Attendo da tempo di fare i controlli che la pandemia ha rallentato. Ho dovuto sospendere anche le terapie che mi aiutavano a sopportare il dolore. Oggi non mi trovo nelle condizioni di ricorrere al privato: non posso curarmi. Pare proprio che il diritto alla salute non possa essere assicurato a tutte le persone che vivono in condizioni di fragilità».