Pochi minuti per raccontare una storia lunga 30 anni. È la storia di Saray (sì, è questo il nome che ha scelto per aprirsi con noi).
Il ciclo mestruale non deve condizionare la vita
«È la prima volta che lo faccio. E lo faccio perché adesso, a 42 anni, mi dicono che posso provare ad avere un bambino. Ma io ci provo da quando di anni ne avevo 27 e rimasi incinta durante i preparativi del matrimonio. Persi il bambino e da allora, tra tentativi di fecondazione assistita e interventi chirurgici, ebbi un’altra interruzione di gravidanza 7 anni fa. In tutto questo tempo la mia vita (e quella di mio marito) è stata una convivenza forzata con qualcosa di sconosciuto, che mi faceva stare male a ogni ciclo mestruale e non sapevo cos’era. Mi sono sentita definire ipocondriaca, depressa, inaffidabile. Mi hanno dato della pazza. Ma io e tante donne come me non possiamo organizzarci la vita. Ho perso il lavoro, saltato colloqui e corsi di aggiornamento. Ho trascurato amicizie e divertimenti. A scuola svenivo nei giorni del ciclo e per tutti avevo “solo le mestruazioni”.
La malattia spesso emerge al primo ciclo di inseminazione
«Invece non erano le mestruazioni ma l’endometriosi, che ho scoperto nella sua aggressività solo 10 anni fa. Nonostante un primo intervento per una cisti, nonostante le tante ecografie, nessuno se n’è accorto fino al momento di tentare la prima inseminazione. Così sono stata operata per un’altra cisti e in seguito sono venuti i cicli di procreazione assistita, e tra l’uno e l’altro prendevo la pillola per tenere a bada la malattia. Finché un medico mi ha detto che la mia endometriosi era molto grave. Fino ad allora per tutti ero sana, solo esagerata. Ma com’era possibile? Sono stata operata ancora, un nodulo stava perforando l’intestino. La malattia aveva invaso gli organi vicino all’utero. Oggi mi dicono che posso riprovare a diventare mamma, ma intanto mio marito e io siamo in frantumi». Già. Perché l’endometriosi impatta come un meteorite non solo sulla vita della donna, ma anche su quella della coppia.
Alimentazione e fumo alla base della malattia
La storia di Saray non è un caso isolato. Anzi, è molto simile a quella di tante altre donne alle prese con un ciclo molto doloroso che può essere la spia di una malattia in grado, allo stadio più avanzato, di compromettere la salute degli organi addominali e anche la maternità. La professoressa Rossella Nappi, ginecologa e responsabile dell’Unità di Ostetricia e Ginecologia – PMA al Policlinico S. Matteo, Università degli Studi di Pavia, ne incontra molte con questo problema, anche perché l’endometrosi è in aumento. «Oltre alla predisposizione individuale, gli studi concordano sul fatto che l’alimentazione e lo stile di vita, come il fumo e l’inquinamento, siano determinanti sulla comparsa di questo disturbo».
L’endometriosi spesso confusa con altre malattie
Ma, oltre alla diffusione, il problema di questa patologia è che viene diagnosticata dopo anni, proprio come è successo a Saray. «L’endometriosi viene scoperta tardi perché confusa con altre malattie. La colpa è di alcune cellule dell’endometrio che si impiantano in zone anomale, come le ovaie, le tube o gli organi vicini, cioè vescica e intestino, compromettendone la salute. E facendo perdere tempo prezioso per la diagnosi» spiega la professoressa Nappi. Ma il ritardo della diagnosi dipende anche dal fatto che il dolore nel ciclo mestruale è culturalmente considerato normale. E in genere le ragazze che lamentano disturbi preferiscono rimanere in silenzio».
Non è normale avere un ciclo doloroso
Un processo di svalutazione che mina l’autostima delle donne e la loro vita in quei giorni così difficili. Invece il ciclo mestruale dev’essere un termometro-spia della nostra salute. «Ci sono segnali precisi che non vanno mai sottovalutati: dolore intenso che si presenta a ogni ciclo e poi coinvolge anche l’intestino, dolore durante l’ovulazione, cistiti ricorrenti, dolore ai rapporti sessuali, cicli molto abbondanti e magari cefalea, tutti sintomi che costringono a prendere analgesici per andare a scuola e al lavoro. Questi disturbi non sono normali, perciò occorre rivolgersi anche in giovanissima età al ginecologo che, oltre a effettuare la diagnosi, con una terapia ormonale o contraccettiva personalizzata può ridurre il dolore e il flusso, riducendo anche il progredire della malattia» dice la professoressa Nappi. E questo è importante non solo per tornare a svolgere una vita normale, ma anche per preservare la fertilità. «Nuovi studi dimostrano che fare bene l’amore fa bene anche alla fertilità perché si rilasciano sostanze che stimolano la fecondazione. Se invece si prova dolore nel rapporto, man mano il desiderio si riduce. E questo impatta sulla serenità della coppia, ma anche sulla possibilità di una gravidanza».
L’endometriosi può compromettere la fertilità
Come è successo a Saray, molte donne approdano alla fecondazione artificiale dopo anni di tentativi, magari senza neanche sapere di avere l’endometriosi. «Questa malattia è frequente tra le donne che seguo nei trattamenti di fecondazione assistita. L’endometriosi infatti può compromettere la fertilità perché in molti casi danneggia le tube o altera l’ambiente dell’endometrio stesso, dove dovrebbe avvenire la fecondazione. Ma può anche intaccare la riserva ovarica: se infatti le cellule fuoriuscite dall’endometrio si insediano a livello delle ovaie, danno origine a cisti su cui spesso si deve intervenire chirurgicamente, con il rischio di togliere anche una parte del tessuto ovarico, perdendo così uova preziose. C’è poi il problema delle aderenze provocate dalla malattia: anche poche cellule di endometrio migrate dalla loro sede naturale possono creare problemi perché, sanguinando sotto lo stimolo degli ormoni femminili, inducono l’organismo a riparare il danno. E così si formano cicatrici a livello delle tube o del peritoneo che creano aderenze, ulteriori ostacoli al concepimento» spiega la dottoressa Claudia Livi, responsabile del centro Demetra di Firenze, punto di riferimento nazionale per la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita).
Fecondazione in provetta e crioconservazione
Ma in molti casi la fecondazione assistita funziona. «Le donne con questi problemi trovano aiuto nella fecondazione in provetta, se possiedono un numero sufficiente di ovuli. Il problema è che, non potendo sottoporsi a troppe stimolazioni ormonali (che rischiano di accelerare la malattia) spesso devono ricorrere all’ovodonazione» prosegue la dottoressa Livi. Un’altra soluzione è la crioconservazione, in Italia ancora poco praticata se non in presenza di malattie oncologiche. «Di sicuro un passo avanti, ma anche il segnale che tutte noi dovremmo prenderci cura della nostra fertilità fin da giovani» aggiunge Sonia Manente. È presidente dell’Associazione Endometriosi FVG OdV, una delle più importanti a livello nazionale, e da anni lavora anche nelle scuole per diffondere la cultura della salute femminile tra ragazze e ragazzi (qui la pagina Facebook). «Le giovani e i loro compagni non conoscono il ciclo mestruale e la sua complessità, ma soprattutto pensano sia un problema delle donne. E quando la malattia colpisce, il partner si sente impotente, frustrato, messo da parte. L’intimità risulta difficile e dolorosa e molte coppie si lasciano». La gravidanza poi è un boom: deflagrano i sensi di colpa e le incomprensioni, insieme alla fatica fisica e mentale di aggiungere alle tante visite ed esami per la malattia, anche quelli per la ricerca di un figlio. «Quando si arriva a programmare la gravidanza, si hanno già alle spalle anni di peregrinazioni (in media 8) tra un medico e l’altro alla ricerca della diagnosi, dal ginecologo al nefrologo al gastroenterologo all’internista». Per questo, e per risolvere altre criticità come lo stanziamento di fondi per la ricerca e le disposizioni specifiche per le assenze dal lavoro, l’associazione ha presentato un disegno di legge, ora fermo al Senato. «Il ruolo del medico di base e del ginecologo è fondamentale per riconoscere la malattia in tempi rapidi. Troppo spesso oggi le donne eseguono esami inutili, con una spesa sostanziosa a carico del Servizio sanitario nazionale e un dispendio di tempo». Prezioso per la propria vita e per quella del bambino che si vorrebbe amare.
Il 27 marzo è la Giornata mondiale dedicata all’endometriosi. 3 milioni sono le donne italiane colpite da endometriosi. Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse. Fino a 9 anni è il tempo per la diagnosi. 31,3 anni è l’età media per il primo figlio in Italia (la più alta d’Europa). 30 anni è l’età in cui comincia a calare la fertilità. Fonte: ministero della Salute