Per molte donne curarsi è un lusso, soprattutto se vivono con una malattia cronica e invalidante come l’endometriosi, malattia inserita nei Lea ma a tutti gli effetti con pochissime agevolazioni quanto a esenzioni e rimborsi. È diventato ancora di più un lusso dopo la pandemia: una donna su due ha visto peggiorare la propria condizione economica, cioè ha perso il lavoro. E questo – quando la malattia non è tutelata – vuol dire non potersi curare.

Tutti medici volontari nell’ambulatorio

Proprio per cercare di aiutare le donne con endometriosi, durante la pandemia è nato a Firenze Endo-Care, un ambulatorio, poi diventato associazione, dove cinque specialisti lavorano gratis in équipe ogni secondo sabato del mese. L’idea è della dottoressa Maria Celeste Esposto, ostetrica e ginecologa presso l’Università di Firenze, che da tanti anni studia e cura l’endometriosi: «Una malattia ancora poco nota tra gli stessi ginecologi, tra cui c’è una grave carenza di formazione: se un fibroma è visibile a tutti, l’endometriosi va saputa vedere».

Le donne vengono prese in carico

E così la dottoressa è andata oltre la divulgazione sul tema ed è passata alle vie di fatto: nel 2020, durante la pandemia, ha creato un centro a Firenze dove le donne, dopo essersi prenotate via mail ([email protected]) vengono visitate gratuitamente da ginecologa, osteopata, agopuntrice, psicologa e nutrizionista. Ma l’aspetto che distingue il centro è che, dopo una prima visita, ogni specialista segue le pazienti via mail o whatsapp, con le indicazioni terapeutiche. «Il nostro obiettivo non è “portare donne” dagli specialisti privati, ma aiutarle durante la terapia con consigli ma anche semplicemente ricette».

Gli specialisti dell'associazione Endo-Care: Michela La Torre- psicologa e psicoterapeuta, Umberto M
Gli specialisti dell’associazione Endo-Care: Michela La Torre- psicologa e psicoterapeuta, Umberto Maria Patalano-osteopata, Maria Celeste Esposto- ginecologa, Maria Cristina Quaranta- agopuntrice, Francesca Moschi-nutrizionista. Sulla pagina Facebook di Endo-Care si trovano i commenti e i feedback delle donne in terapia.

Oggi la malattia si cura con i farmaci e l’intervento va evitato

Il modo di affrontare la malattia negli ultimi anni è cambiato. O, meglio, avrebbe dovuto cambiare. Come spiega la dottoressa «Già nel 2014 l’ESHRE (società scientifica europea che valuta tutti gli studi più recenti sulle diverse malattie) ha presentato precise linee guida per la terapia dell’endometriosi. La diagnosi della malattia è clinica e non più chirurgica, com’era stato fino ad allora. La diagnosi deve tener conto dei sintomi della donna e dei reperti obiettivi che si ottengono da visita ed ecografia. L’ESHRE sostiene come non abbia più senso sottoporre a laparoscopia una donna per confermare il sospetto clinico di endometriosi. Ancora oggi, invece, dopo 7 anni dalla pubblicazione di queste linee guida, c’è chi purtroppo sottopone le pazienti a inutili e dannosi interventi chirurgici. La chirurgia per endometriosi va riservata a quei casi in cui la malattia è così avanzata da rappresentare un serio pericolo per la vita della donna». L’endometriosi si cura con i farmaci, è questa la novità. «Qualsiasi intervento chirurgico – prosegue la ginecologa – crea aderenze e ulteriore infiammazione in una patologia che è infiammatoria e cronica, e va quindi valutato con cautela». Il farmaco più indicato è la pillola anticoncezionale che tenga a riposo l’ovaio. «Il problema delle donne con endometriosi sono le mestruazioni. Oggi ci sono pillole molto leggere a base di progesticinici che danno ottimi risultati, insieme alla vitamina D e ai fermenti lattici» spiega la dottoressa.

I costi sono tutti a carico delle donne

La diagnosi quindi prima di tutto, poi la cura. E qui sta il punto. Sara Beltrami da tempo ha un blog molto seguito su questa malattia e gli scenari sanitari: il predicato verbale. Ci spiega che «Come per molte malattie croniche e infiammatorie (per esempio la fibromialgia e l’artrite reumatoide) anche per l’endometriosi la differenza la fa l’approccio multidisciplinare. Gli studi scientifici suggeriscono che i centri multidisciplinari siano la strada migliore sai per fare diagnosi precoci, sia per curare le donne, evitando costosi e faticosi palleggi da uno specialista all’altro». Ma il problema sono proprio i costi, tutti a carico delle donne: «Non crediate a chi vi racconta che le donne con endometriosi hanno finalmente ottenuto i diritti che meritano. Non crediate al politico di turno che spiega di aver trovato la soluzione alle tutele che mancano. La partita delle donne con endometriosi è ancora aperta, ed è ben nota alle istituzioni italiane da quasi 20 anni. Non fu l’inserimento nei LEA, nè il decantato Disegno di legge endometriosi, a porre fine ai disagi delle pazienti. I problemi delle donne con endometriosi si sono persi da qualche parte nel labirinto istituzionale. I trattamenti, le visite, i farmaci e le terapie, sono ancora spese a carico delle pazienti, che con un po’ di fortuna se ne vedranno restituire una minima percentuale tramite il proprio 730».

Poche tutele anche al lavoro

La questione economica è centrale. Le tabelle di invalidità in vigore risalgono al 1992: «Sono obsolete, tanto che spesso rimandano alla discrezione della commissione esaminante, e non favoriscono la comprensione del dolore e dell’impatto sulla qualità di vita. Una situazione stagnante aggravata dall’assenza di tutele lavorative per le pazienti, e dalla mancanza di congedi mestruali nel nostro paese. Anche l’inserimento della malattia nei LEA non ha cambiato molto le cose: è stata riconosciuta come malattia cronica invalidante, ovvero nelle prestazioni che lo Stato riconosce come indispensabili per i cittadini, e che quindi è tenuto a fornire. Ma queste prestazioni sono per lo più secondarie, omettono cioè quelle di controllo “ordinarie” e mirate. Inoltre il codice di esenzione viene garantito solo per le pazienti con endometriosi severa e grave, e quindi accertabile solo previo intervento chirurgico. Una modalità che sminuisce e scredita chi non è entrata in sala operatoria, per una malattia tanto soggettiva da poter risultare dolorosa e invalidante anche in fase iniziale, e al contempo completamente asintomatica per chi ha invece stadi più gravi».