Oggi l’epatite C in Europa uccide sette volte in più rispetto all’Aids. È un dato forte, che ci dà l’idea della gravità di una malattia ancora poco considerata. Troppi infatti ancora oggi non sanno come si trasmette il virus, ad esempio.

Una task force internazionale per sconfiggere l’epatite C

Hepatitis C Elimination Manifesto è un vero e proprio accordo siglato nel 2016 da numerose associazioni e società scientifiche e con la firma dei massimi esperti internazionali. Questo piano di azione ha tutt’ora come primo punto quello di curare l’epatite C, ma non è l’unico impegno. L’obiettivo è di migliorarne le conoscenze a 360 gradi, dalla prevenzione alle nuove terapie disponibili, alla ricerca. Solo così, dicono gli esperti, nel 2030 la malattia si potrà dichiarare sconfitta, o perlomeno rara. «Ritengo più opportuno, per quanto riguarda l’Italia, darci un obiettivo più ravvicinato, lo stesso che ha annunciato il Direttore generale di Aifa, ovver, riuscire a curare 80 mila pazienti all’anno per tre anni» sottolinea Ivan Gardini, Presidente dell’Associazione pazienti EpaC Onlus. «A conti fatti, significherebbe curare entro il 2021 tutti i pazienti che hanno l’infezione e sono già stati diagnosticati. Rimane il cosiddetto sommerso, cioè i pazienti non diagnosticati e questo ora rappresenta la nostra priorità».  

Come si scopre l’epatite C


Il grande problema dell’epatite C è che difficilmente dà sintomi. Pochi però ne sono a conoscenza, come non sanno che esistono fattori di rischio. E questo fa perdere tempo prezioso e aumentare il pericolo di trasmettere l’infezione ad altre persone. Anche perché, ricordiamocelo, non esiste una vaccinazione contro la C.

I sintomi dell’epatite C: solo in 3 casi su 10


I disturbi sono presenti soprattutto dopo un periodo di incubazione che varia da uno a tre mesi dal contagio, quando l’epatite è nella fase acuta. Sono rari, però: riguardano tre casi su dieci con alcuni sintomi come stanchezza esagerata, febbre, dolori ai muscoli e alle articolazioni, nausea e vomito, ittero, cioè colore giallo della pelle, e urine scure.

Gli altri segnali caratteristici di questo periodo sono i valori delle transaminasi, specchio dello stato di infiammazione del fegato, e dell’HCV-RNA, che misura la presenza del virus. Entrambi diventano “ballerini”, con alti e bassi. Significa che il sistema immunitario sta lottando per cercare di debellare il virus. Ci riesce in meno di due casi su dieci. Per gli altri, l’epatite diventa cronica.

Chi è più a rischio


Lo dicono gli esperti: almeno una volta nella vita è meglio fare un’analisi del sangue per verificare se è presente il virus dell’epatite C. Questo soprattutto per chi ha dei fattori di rischio. Chi sono le persone più a rischio? Innanzitutto chi ha avuto bisogno di trasfusioni di sangue oppure ha subito interventi chirurgici prima del 1992. È a partire da quell’anno infatti che sono stati imposti controlli rigorosi sul sangue e sui donatori. La prova è che oggi il rischio è sotto il 2%. Poi, chi ha fatto un tatuaggio, un piercing, oppure manicure o pedicure, o un ciclo di agopuntura in centri non sicuri dal punto di vista igienico. Attualmente, in oltre nove casi su dieci, i “veicoli” di passaggio della malattia sono gli aghi quando non sono monouso e gli strumenti quali forbicine e rasoi se non vengono sterilizzati.  

Come ci si cura


La cura innovativa è con la categoria di principi attivi antivirali DAAs, soprannominati superfarmaci. E non è un caso. Garantiscono infatti l’eradicazione del virus e quindi la guarigione in oltre nove casi su dieci. E praticamente senza alcun effetto collaterale tranne, ma raramente, astenia, nausea oppure un leggero rash cuaneo, cioè macchie rosse sulla pelle. «L’elevata efficacia di questi farmaci ha consentito di ridurre la durata del ciclo di cura», interviene Barbara Coco, Consigliere Fire, Fondazione italiana per la ricerca in epatologia. «Ora sono sufficienti 8-16 settimane di cura, in relazione al tipo di virus e di farmaco antivirale utilizzato per eliminare l’infezione». Sono cambiate anche le indicazioni. In una prima fase, infatti, gli antivirali erano stati riservati solo ad alcune categorie di pazienti più gravi, vale a dire in caso di malattia in stadio pre-cirrotico, oppure già di cirrosi, a chi aveva subìto o era in attesa di trapianto di fegato e infine, in situazioni di malattia grave provocata dal virus C, come un tumore del sistema linfatico. «Oggi tutti i pazienti hanno indicazione alla terapia e possono essere trattati anche coloro che prima non erano candidabili per gravità della malattia, per comorbidità come l’insufficienza renale, la cardiopatie e le malattie neurologiche che non rappresentano più una limitazione», sottolinea la dottoressa Coco. «Insomma, anche nella cura dell’epatite C possiamo finalmente parlare di trattamento personalizzato, perché a seconda del paziente riusciamo a ritagliare una cura ad hoc scegliendo tra antivirali diversi, tutti altamente efficaci».

Le campagne d’informazione

C’è però ancora molto da fare dal punto di vista delle conoscenze sull’epatite C. Per questo, accanto alle Campagne informative tradizionali, sta sempre più prendendo forma la psicologia fisiologica della percezione cinematografica. Vale a dire, l’impatto sul pubblico di cortometraggi che hanno come oggetto una malattia. Come il documentario americano Hep C Free, in lingua originale e sottotitolato che in Italia ha ricevuto il “Premio delle Nazioni”: narra la storia di tossicodipendenti che sono guariti dall’Epatite C e hanno ripreso in mano i fili della loro vita. Oppure la recente web serie italiana Epatite C Zero, che racconta in cinque episodi l’epatite C dal punto di vista di pazienti con percorsi di cura diversi.

Come convivere con un malato di epatite C


Quando in casa c’è un malato di epatite, per evitare di infettarsi si devono rispettare strettamente alcune avvertenze.

1) Evitare l’uso promiscuo di oggetti domestici come: pinzette, forbicine, pettini, spazzolini da denti, rasoi.  


2) Eliminare in modo accurato in sacchetti di plastica sigillati tutti i materiali sporchi di sangue del portatore del virus come cotone, cerotti, lamette di rasoio. 


3) Disinfettare con ipoclorito di sodio al 10% le superfici che si sono sporcate di sangue. Non utilizzare alcol etilico perché non è efficace contro il virus.

4) Usare il profilattico durante il flusso mestruale e in caso di abrasioni o taglietti a livello dei genitali. È una precauzione per una maggiore serenità, anche se il rischio di trasmissione per quanto riguarda la C è molto basso.