In Italia si stima che siano 500mila le persone affette da epilessia, un disturbo che, diversamente da quanto si possa pensare, può comparire nell’arco della vita e non solo in età pediatrica. Anche se in genere la maggior parte dei casi è diagnosticata in bambini o ragazzi entro i 18 anni, le cause possono essere molteplici: non solo genetiche o legate a malformazioni, ma causate anche da traumi o malattie oncologiche, che quindi colpiscono anche in età adulta.
I cannabinoidi possono peggiorare le crisi
Anche le terapie, quindi, sono diverse ma, tra quelle che si stanno diffondendo, c’è anche il ricorso (spesso col fai-da-te o con il passaparola) a prodotti a base di cannabinoidi. Dagli esperti, però, arriva un monito: «Attenzione a cosa si assume, perché gli effetti potrebbero essere contrari alle aspettative e potrebbero causare persino un aumento delle crisi» avverte Laura Tassi, presidente della Lice (Lega Italiana contro l’Epilessia) e dirigente medico del Centro di Chirurgia Epilessia C. Munari dell’Ospedale Niguarda di Milano, che rappresenta un’eccellenza in questo settore.
Epilessia, aumenta il ricorso ai cannabinoidi
L’epilessia è un disturbo di tipo neurologico che riguarda il sistema nervoso centrale: è caratterizzata dal fatto che l’attività delle cellule nervose nel cervello si interrompe, causando convulsioni oppure comportamenti insoliti, come movimenti involontari di gambe e braccia, o talvolta anche perdita di coscienza. Se i sintomi sono molteplici, anche le forme di epilessia possono variare moltissimo, a seconda delle cause: «Possono essere genetiche, legate a malformazioni o a problemi durante il parto, o ancora a traumi o tumori. Generalmente ci sono due età di esordio: quella infantile fino ai 10 anni, ma anche nella terza età, con un picco dopo gli 80 anni, quando la causa diventa la degenerazione del cervello. Conoscerne i fattori scatenanti ci permette di mettere a punto una terapia specifica e migliore» spiega la dottoressa Tassi.
In caso di forme più severe l’epilessia può incidere pesantemente sulla qualità della vita, per esempio diventando un problema per la guida dei veicoli o per le attività sportive come il nuoto, perché le crisi potrebbero verificarsi in qualunque momento mettendo a rischio la vita. Ma anche le crisi lievi vanno trattate: solitamente si ricorre a farmaci e, in alcuni casi, a interventi chirurgici, che consentono di migliorare la situazione nell’80% dei casi. «Il problema è che di recente si sta assistendo a un maggior ricorso a preparati a base di cannabinoidi, che possono avere effetti potenzialmente pericolosi e controproducenti» chiarisce l’esperta.
Le terapie con cannabinoidi: cosa c’è da sapere
Dagli esperti della Lega Italiana Contro l’Epilessia (LICE) è arrivato, infatti, un invito alla cautela quando si tratta di ricorso ai derivati della cannabis. «Va chiarito che esiste un solo farmaco, l’Epidiolex, che contiene il Cannabidiolo (CBD), una molecola che può servire in alcune terapie per il trattamento di particolari epilessie farmaco-resistenti. È l’unico preparato di cui esistono studi farmacologici seri, il cui beneficio è stato provato scientificamente e il solo approvato dall’Aifa (l’Agenzia italiana per il Farmaco, NdR) per la commercializzazione e somministrazione in caso di epilessia. Tra l’altro, è indicato solo per due forme di malattia, farmacoresistenti e particolarmente gravi. Tutti gli altri prodotti non sono farmaci, ma sono derivati dalla cannabis e possono contenere altri ingredienti. In genere sono preparati galenici, cioè realizzati dai laboratori di alcune farmacie su indicazione di medici – che però solitamente non sono esperti di epilessia – oppure sono venduti via internet. Nella maggior parte dei casi non se ne conosce né il contenuto esatto, né la concentrazione» spiega la dottoressa Tassi.
Le controindicazioni
«Trattandosi pur sempre di composti con effetto psicotropo, che quindi agiscono sul sistema centrale, potrebbero provocare disturbi che vanno dall’alterazione del sonno all’appetito, quindi insonnia o anche anoressia, disturbi del comportamento, ma anche vomito o nausea. Non va neppure sottovalutata l’interazione con altri farmaci, di cui potrebbero diminuire l’efficacia. Se si tratta di farmaci anti-epilettici, potrebbero dare luogo a un aumento delle crisi stesse. Il consiglio, quindi, è di non seguire il passaparola su consiglio di conoscenti che hanno acquistato questi prodotti, quanto piuttosto di scegliere con attenzione l’esperto a cui affidarsi: deve trattarsi di uno specialista “epilettologo”, quindi un neurologo, neuropsichiatra infantile o pediatra che sa come gestire l’epilessia, quale terapia scegliere e con che dosaggio» consiglia l’esperta del Niguarda.
Quali cure e quando serve davvero il CBD
«Ad oggi le terapie tradizionali sono a base di farmaci sintetici, quindi realizzati in laboratorio, alcuni dei quali ormai in uso dalla metà del ‘900. Ne abbiamo circa 30 tra i quali scegliere a seconda del tipo di epilessia. Ricordiamo che il 60/70% dei pazienti conduce una vita normale grazie a questi farmaci; circa il 30% risulta farmacoresistente o per una diagnosi errata (e quindi una scelta non corretta della terapia) o perché non assume regolarmente i medicinali» dice ancora Tassi. C’è poi una quota residua, minima, per la quale si ricorre ad altre cure palliative che riducono le crisi, pur senza arrivare a una guarigione: per esempio, la neuro-stimolazione con un pacemaker sottocutaneo o una dieta chetogenica. «In quest’ultimo caso il motivo è dato dal fatto che si è scoperto che un cambio di metabolismo indotto da questo regime alimentare può modificare il funzionamento del cervello, aiutando il controllo della malattia. Ma va chiarito che si tratta di casi particolari, come soggetti nei quali l’epilessia causa encefalopatia o disturbi psichiatrici, quindi sotto stretto controllo medico» precisa l’esperta neurologa e chirurga.
Quando ricorrere all’intervento chirurgico
A seconda della forma di epilessia è possibile anche ricorrere all’intervento chirurgico: «Si prende in considerazione solo per quei pazienti affetti da un’epilessia cosiddetta focale e farmacoresistente. Significa che le crisi hanno esordito in una zona unica e delimitata della corteccia celebrale (“focale”) e i farmaci antiepilettici non risultano efficaci. L’ospedale Niguarda è uno dei pochi specializzati in queste operazioni, che hanno permesso di liberare dalla malattia circa il 70% dei pazienti, che arriva all’80/90% in casi di epilessia del lobo-temporale. «Funziona praticando l’asportazione dell’area del cervello interessata dal disturbo, pur mantenendone le funzioni neurologiche. È indicata nei bambini perché c’è maggiore possibilità di guarigione, i tempi di recupero sono inferiori e gli effetti sulla vita quotidiana (scuola, attività, ecc.) sono maggiori. Ricordiamo che minore è la durata della malattia e migliore è la prognosi: un intervento precoce in un bambino o in un giovane riduce le probabilità che il cervello sviluppi le crisi, quindi permette di agevolarne lo sviluppo cognitivo, che risulterebbe compromesso dall’interruzione di attività causata dalle crisi stesse» conclude Tassi.