«Ho avuto solo ora, a 60 anni suonati, la consapevolezza di cosa sia il coraggio. Mio figlio Giuseppe, affetto da epilessia dall’età di 1 anno, ha avuto un percorso formativo difficile: io, la sua mamma, ero una 23enne, figlia di buona famiglia, inesperta su cosa significasse la maternità, e mi sono ritrovata a essere una madre iperprotettiva. Giuseppe dava gioie continue: socievole, imparava subito a leggere e scrivere, era fantasioso, curioso, creativo. Ma la sua forma di epilessia era farmacoresistente e criptogenetica, il che peggiorava tutto. Intellettivamente non vi erano danni, però io lo vedevo bisognoso di assistenza, aiuto, collaborazione. Scuole elementari, medie, liceo scientifico, poi la scelta dell’università.
Comincia la mia crisi: si allontanerà da me e dai miei controlli? Lui esordisce così: «Io voglio crescere, vado a studiare a Siena» (noi siamo di Salerno). Parte, allontanandosi per la prima volta. Così stavo crescendo anch’io, e questo era un bene. Inutile dirvi che si è laureato nei tempi. Finito questo percorso, grazie a un’indicazione su Donna Moderna che leggo da sempre, gli suggerisco di iscriversi a un sito dove scambiare le competenze linguistiche. Parlava già molto bene lo spagnolo, ma voleva migliorarlo. Dall’altro capo del mondo, a Lima, Leslie, una ragazza peruviana, stava cercando di imparare l’italiano. Hanno cominciato a scriversi, a vedersi in videochat, a piacersi fino a innamorarsi perdutamente.
E siamo arrivati alla prova di coraggio: Giuseppe lavora per 6 mesi, per guadagnare i soldi per il viaggio, poi convoca me e suo padre: «Parto per il Perù, ho deciso che la devo conoscere». Era l’ulteriore prova a cui ci sottoponevamo. È andato, ormai da 11 anni, e non è più tornato. Non tornerà, perché ha trovato una ragazza splendida che lo ha fatto ulteriormente sbocciare. Tutto quello che gli auguro è di continuare a sentirsi libero dagli schemi, e di essere felice». Una mamma protettiva
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