Un cucchiaino incrostato, una siringa a terra e l’inconfondibile ematoma nell’incavo del gomito: i volontari del 118 di Milano quell’immagine l’avevano vista decine di volte. Ma quando lo scorso 6 ottobre hanno risposto a una richiesta di soccorso nel quartiere Lorenteggio sono rimasti a bocca aperta: la vittima di overdose che avevano di fronte non era accovacciata per strada o nel bagno di una stazione, ma al centro di un elegante trilocale zeppo di libri e arredi di design. Alla parete del soggiorno, incorniciate, c’erano una laurea in Economia e un master in Finanza. La donna, morta sotto i loro occhi prima che il farmaco anti-overdose facesse effetto, aveva 36 anni ed era la responsabile del credito alle imprese di una delle più importanti banche italiane
Una tossicodipendente atipica: una delle tante, troppe vite invase dall’eroina delle quali non ci accorgiamo anche se vivono accanto a noi. Come il manager ucciso da un mix di oppiodi e analgesici alla fine di novembre a Mestre. Come Maria Chiara, studentessa brillante e promessa del judo, morta a Terni dopo aver chiesto il primo buco come regalo per i suoi 18 anni.
Nel 2020 crescono le morti per overdose
«Il ritorno dell’eroina non è più una novità, visto che parliamo di un trend europeo» osserva Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento dipendenze delle Asl di Milano. «Quello che preoccupa, però, è il fatto che domanda e offerta stiano cambiando in maniera così rapida, rendendo più difficile contrastarle». I numeri, in effetti, dicono che all’inizio di novembre l’Italia aveva già raggiunto il totale di overdosi mortali del 2019 – 102 – e dunque il 2020 chiuderà in crescita da questo punto di vista.
Se domandi quale sia il fattore accelerante, tutti gli addetti ai lavori, dalle forze dell’ordine ai volontari impegnati sul territorio, rispondono allo stesso modo: la pandemia. «Il Covid-19 ha allargato la fascia del disagio a quello che con un po’ di approssimazione potremmo chiamare il ceto medio urbano: lavoratori anche con un buon tenore di vita ma che di colpo si sono trovati isolati, sotto pressione e privi di socialità o altri sfoghi» spiega Simone Feder, psicoterapeuta della comunità Casa del giovane di Pavia e autore di Alice e le regole del bosco (Mondadori), libro che racconta il percorso di disintossicazione di un’adolescente. Proprio i giovanissimi rappresentano l’altro nervo scoperto del fenomeno: «Sono sempre più problematici e sempre più trasversali: ho in cura molti figli di professionisti, senza traumi evidenti alle spalle che però vivono con normalità il consumo combinato di sostanze anche pesanti».
La dipendenza da eroina arriva insieme all’abuso di analgesici e sonniferi
Se l’abuso e il policonsumo da parte dei giovanissimi hanno un background già noto, la situazione dei nuovi consumatori adulti è molto diversa. «L’utilizzo che fanno delle droghe pesanti non è ricreativo ma quasi terapeutico» continua Gatti. «Ci si inietta, o più spesso si inala, l’eroina per “staccare” dopo una giornata spesa a dialogare solo con lo schermo di un pc, per combattere l’ansia da immobilità che in questi mesi ha fatto breccia un po’ in tutti noi, per addormentarsi più facilmente».
Non è un caso se il ricorso agli stupefacenti, di solito, arriva dopo o insieme a un percorso di assuefazione che comprende ansiolitici, antidepressivi e sonniferi. Lo stesso trend a cui si assiste negli Usa, dove da anni i medici lanciano l’allarme su quello che chiamano “effetto ponte”. «Del resto non potevamo pensare che un mercato di dimensioni mondiali come quello degli stupefacenti continuasse a reggersi solo su limitati gruppi di persone» aggiunge Feder. «Anzi, la forza del narcotraffico è quella di saper cambiare rapidamente pelle, adeguandosi ai bisogni dei consumatori».
Per averne conferma basta scorrere l’elenco dei sequestri operati negli ultimi mesi dalle forze dell’ordine: da maggio a settembre l’Istituto Superiore di Sanità ha censito 33 nuovi mix di sostanze. L’eroina che circola nelle grandi città ha un principio attivo molto basso, tra lo 0,2 e lo 0,4%, e viene tagliata per lo più con analgesici, morfina e calmanti di ogni tipo. Anche la figura dello spacciatore è cambiata: «Nessuno di questi clienti scende in strada» nota il professor Gatti. «Le sostanze arrivano comodamente a casa, consegnate dall’amico dell’amico che prima magari chiamavi al cellulare per fare scorta di psicofarmaci senza ricetta. Sembrerebbe, quindi, una scelta di mercato per agganciare nuovi consumatori con un prodotto in apparenza maneggevole di cui, però, il cliente avrà sempre più bisogno e che non in tutti i casi sarà in grado di gestire, come dimostrano i casi di cronaca».
Molti nuovi consumatori di eroina non sanno di avere un problema
Domanda d’obbligo: esiste una via d’uscita? «Non immediata» secondo lo psicoterapeuta Simone Feder. «La dipendenza coinvolge fasce sempre più ampie di popolazione ma il servizio sanitario ha come unica politica di contrasto i Sert e le comunità di recupero che ormai non bastano più. Occorre formare nuovi operatori che conoscano le dinamiche del workaholism e si occupino di gestione dello stress e della rabbia».
Ma cosa dovrebbe fare ciascuno di noi di fronte a un collega di lavoro o a un amico che “ci è cascato”? «Occorre scordarsi l’idea di impaurirlo dal punto di vista medico, perché il soggetto spesso è inconsapevole di avere un problema e vede la sua vita scorrere apparentemente simile a prima» risponde Gatti. «Meglio fare ciò che si farebbe in altre analoghe occasioni in cui la droga non è coinvolta. Ragionare, ricreare reti di solidarietà familiari e lavorative, e con i più giovani non rinunciare a educare».