Le chiamano “mampa”, ci chiamano “mampa”. Le donne che, per un motivo o per l’altro, si ritrovano a essere una madre single e a crescere da sole un figlio, due, tre… Io lo faccio da quando la mia, di figlia, è nata. Anzi, da quando, in quell’ultimo indimenticabile giorno di marzo del 2017, due lineette su un test di gravidanza mi hanno annunciato che non sarei più stata una, da lì a 9 mesi sarei diventata due. Sarà femmina e la chiamerò Vita, perché una control freak come me questa sorpresa della vita, appunto, non l’aveva davvero messa in conto. E perché mio padre si chiama Vito: è stato il mio primo pensiero, mentre per la prima volta in tutta, tutta la mia esistenza, il mio corpo era interamente d’accordo con se stesso e diceva solo sì. Sì, sì, sì.

Essere una madre single significa gestire due ministeri

Non è importante, qui, raccontare perché, da subito, il padre di Vita e io abbiamo deciso che lui sarebbe rimasto nella città dove vive e lavora, Milano, venendo a trovarci uno o due weekend al mese, e io sarei rimasta a Roma. E perché, presto, ancora prima che cominciasse lo svezzamento di Vita, da una coppia ci siamo trasformati faticosamente in due amici, comunque e per sempre uniti dall’essere genitori della stessa persona. Quello che è importante raccontare, qui, è come giorno dopo giorno dopo giorno una donna si abitui a occuparsi di entrambi i ministeri.

Come si dice, la madre è il nostro ministro dell’Interno. È lei che generalmente si occupa del fiorire delle nostre emozioni, dei pensieri, della serenità della relazione con il nostro corpo con le sue forme, della sua pulizia, delle sue incertezze, di tutto quello che, insomma, sta dentro di noi. Mentre il padre dovrebbe essere il nostro ministro degli Esteri. Colui che ci indica le strade per andarci a prendere, là fuori, quello che più ci somiglia, che ci insegna ad andare in bicicletta, a tuffarci da uno scoglio senza avere paura. Quello che determina e determinerà il nostro rapporto con l’ambiente, con la scuola, un domani con il lavoro che sceglieremo di fare.

Quando una madre single rischia di indurirsi

Più che mai, oggi, ogni distinzione tagliata con l’accetta fra il maschile e il femminile va a cadere nella necessità di riformulare i ruoli alla luce dei cambiamenti benedetti della nostra società. Certo, ma sta di fatto che, se sei una “mampa”, di tutti i ministeri sei tu la responsabile.

Sta di fatto che se, nell’immaginario collettivo, una madre single è una specie di Demetra, la dea della fertilità, il massimo del femminile che c’è, nella realtà è una donna che rischia di indurirsi. Di trasformarsi nel maschio che difende la caverna con la clava e che però nemmeno può andare a caccia e divertirsi, perché nel frattempo deve preoccuparsi che il fuoco, dentro la caverna, resti acceso. E nella sua vita rischia di non esserci spazio che per questo, ininterrotto, essere lui ed essere lei, tenere la clava stretta in un pugno e vegliare sulla fiamma.

Nella mia vita rischia di non esserci spazio che per questo. Tanto che, alla richiesta della rivista del mio cuore di scrivere un pezzo sulla questione, ho risposto con istintivo entusiasmo: certo che sì. Ma adesso mi rendo conto di non sapere da dove iniziare. Se l’essere madre già, di per sé, è un’avventura tanto pervasiva quanto indicibile, l’essere “mampa” spesso non permette il tempo nemmeno di realizzare chi sei, come ti chiami, quanto pesi, mentre cerchi di mantenerti in equilibrio fra il lavoro che hai scelto e che, nel mio caso, ami, quello che sta dentro e che sta fuori la caverna e l’amore assoluto, rivoluzionario, che sconvolge e rinnova cuore e corpo e testa, per il tuo cucciolo, i tuoi cuccioli.

Un’avventura in Tunisia

Ho deciso dunque che, a testimonianza di che cosa significa crescere una figlia da sola, non porterò le teorie che non ho, ma un fatto: uno a caso. Anzi, l’ultimo che sento emblematico. In cui eravamo lei e io, come sempre. In Tunisia, dove a inizio dicembre siamo andate per qualche giorno, per risarcirla del tour per il mio ultimo romanzo e delle notti dai nonni che ha dovuto passare, senza di me. Finalmente raggiungiamo la nostra meta: il deserto.

Io, Vita e il deserto

Dopo una notte gelata e di indimenticabile bellezza, la mattina siamo pronte per andare a cogliere i datteri con un vecchino di 102 anni. E per farci un giro in quad: che fosse pericoloso, non l’ho pensato. Che il primo ospedale fosse a 8 ore di macchina, nemmeno. Siamo salite, lei davanti, io, con le mani sul manubrio, dietro. Rapite dalla pazza gioia, abbiamo cominciato a seguire la nostra guida fra le dune. E non lo so come è successo: ma il padre allegro e sconsiderato che pure, oltre a tutto il resto, è una “mampa” ha preso il sopravvento e ho smesso di seguire la guida per avventurarmi fuoristrada. «Mamma, sei matta» urlava felice Vita, «Sei l’amore mio grande» urlavo felice io… Fino a quando non siamo finite contro una duna troppo dura, il quad ha fatto un salto, ho frenato, per quanto andavo veloce siamo cadute.

Vita vomitava sangue. Spoiler: si era solo ferita il labbro, sbattendo il musetto sul manubrio. Ma io, lì per lì, non potevo saperlo. Potevo solo provare a rassicurarla, lì per lì, a tamponare il sangue con la mia bandana, mentre non capivo più niente. Tanto che, quando ho realizzato che cosa era e soprattutto che cosa fortunatamente non era successo, sono svenuta. Agitando naturalmente Vita ancora di più. In un modo o nell’altro, grazie all’empatia e all’aiuto della nostra guida, siamo tornate al campo tendato.

Lui e Lei nella testa di una madre single

Mentre sono tornata in me e ho fatto di tutto per permettere a Vita di riconciliarsi con il deserto, dentro ero piena di urla. «Sei un cretino, un pazzo, ma ti rendi conto che se avesse sbattuto la testa non avremmo mai avuto modo di portarla in tempo a un qualche ospedale» urlava la madre. «Ma sono cose che possono capitare, mica l’ho fatto apposta, ci stavamo divertendo» urlava il padre.

Ecco: io ero, io sono tutte e due. Non solo nel deserto della Tunisia. Sempre. Ogni mattina, quando la sveglio e la accompagno a scuola. Quando nel frattempo ho il telefono che scotta dalle chiamate di lavoro che comincio a ricevere. Mentre studio il menu della mensa per decidere che cosa dovrà mangiare per cena. Quando prenoto una visita, un’altra, le controllo i compiti, mentre correggo il primo capitolo del mio nuovo libro, le insegno a togliere le ruote posteriori alla bicicletta, riparo il rubinetto della sua vasca, preparo i vestiti per il giorno dopo, la faccio addormentare. Di nuovo la accompagno a scuola. «Mia mamma è il mio tutto» ha scritto lei un giorno, in un pensierino. Ma per me, nella buona e nella cattiva sorte, nel bene e nel male, è vero soprattutto il contrario: è lei, il mio tutto.