Il 5g che favorisce la diffusione del coronavirus, la vitamina C che lo combatte o il tè come rimedio anti infezione: in questi mesi ti sarà capitato di leggere moltissime fake news e magari di chiederti come mai fossero finite nel tuo flusso social. Ti sarà anche capitato di ricondividerle in buona fede, perché spesso riconoscerle su internet è più insidioso di quanto sembri. Per questi motivi, tutte le grandi piattaforme social si stanno attrezzando sempre di più per aiutare gli utenti a “scremare” i contenuti che appaiono in timeline e a riconoscere quelli falsi e potenzialmente pericolosi.

Le “etichette” anti teorie del complotto di Twitter

Twitter ha annunciato un aggiornamento delle sue politiche riguardanti le teorie del complotto e le notizie false. Ora, i tweet relativi al Covid-19 che sono considerati fuorvianti avranno delle speciali etichette progettate per offrire più contesto sulle informazioni riportate. I tweet che contengono affermazioni potenzialmente dannose, e che magari sono già state contestate dagli esperti, saranno infatti accompagnati da un messaggio di avviso più diretto per aiutare l’utente a riconoscerli come privi di fondamento.

In un post sul loro blog, i tecnici di Twitter hanno spiegato che la strategia su muove su tre fronti: a seconda del tipo di informazione condivisa – classificata come “non verificata”, “contestata” o “fuorviante” – il social applicherà gli avvisi. Per le informazioni che sono già state apertamente contestate dalla comunità scientifica appariranno verrano oscurate con un avviso che invita alla cautela, mentre quelle fuorvianti verranno rimosse con una nota che avvisa come il contenuto condiviso «è in conflitto con la guida di esperti di salute pubblica». Da Twitter fanno inoltre sapere che queste modifiche verranno applicate anche ai tweet inviati prima di questa decisione.

Un esempio di tweet "oscurato" da una speciale etichetta che invita a prendere con le pinze le infor

Un esempio di tweet “oscurato” da una speciale etichetta che invita a prendere con le pinze le informazioni riportate

Gli strumenti anti fake news di Facebook

Alla fine di aprile, Facebook aveva già annunciato che avrebbe iniziato a mostrare la posizione esatta delle pagine Facebook e degli account Instagram definiti “high reach” – ovvero capaci di raggiungere moltissimi utenti – su ogni post che pubblicano, così da fornire a chi li legge «maggiori informazioni per aiutarli a valutare l’affidabilità e l’autenticità dei contenuti che vedono nei loro feed». In sostanza, la piattaforma fornisce ora la possibilità di vedere se un post che parla di coronavirus in Italia è stato postato dall’Italia o da un Paese straniero.

Poco tempo prima, il social di Mark Zuckerberg si era attivato per rimuovere centinaia di migliaia di contenuti considerati falsi e dannosi a tema coronavirus. Se le autorità sanitarie segnalano la presenza di notizie pericolose, Facebook le rimuove per impedirne l’ulteriore diffusione. Tutti gli utenti che hanno interagito con questo tipo di contenuti, ricondividendoli, mettendo like o commentandoli, ricevono inoltre un avviso in bacheca con un link che rimanda proprio al sito dell’Oms, in particolare alla sezione chiamata “Myth busters” (falsi miti) nella quale vengono smontate le bufale sul coronavirus. Questo progetto, che si avvale di partner esterni, in Italia è stato realizzato con la collaborazione con l’organizzazione non governativa Avaaz.

C’è ancora tanto lavoro da fare, però

Come riporta La Repubblica, i ricercatori di Avaaz mettono però in guardia dalle falle ancora non risolte: «Possono trascorrere fino a 22 giorni prima che l’azienda pubblichi le rettifiche per le notizie false sul coronavirus. Il 41 per cento delle storie analizzate è rimasto sulla piattaforma senza nessun avvertimento. Facebook non ha ancora applicato le etichette di segnalazione sul 68 per cento dei contenuti in lingua italiana, contro il 29 per cento dei contenuti in lingua inglese», si legge nella nota ufficiale. I social, insomma, sono ancora troppo lenti nelle loro operazioni di verifica e finiscono per “scaricare” la responsabilità su chi legge: un motivo in più per essere molto cauti nella lettura e nella ricondivisione.