“La felicità è appesa a un figlio”. È il sottotitolo di Lolo, commedia francese al cinema in questi giorni per la regia di Julie Delpy. Lolo è un ragazzo che deve legare con il nuovo compagno della madre, un po’ come accade ai giovani protagonisti di Un medico in famiglia, la mitica sitcom che a settembre torna su RaiUno per la decima stagione. «Quelli con matrigne e patrigni sono rapporti difficili da costruire» conferma la psicologa Anna Oliverio Ferraris, che ha appena riportato in libreria una versione aggiornata de Il terzo genitore, vivere con i figli dell’altro (Raffaello Cortina editore), un saggio uscito 20 anni fa. «A distanza di 2 decenni ho verificato che, nonostante le famiglie allargate siano ormai un dato di fatto nella nostra società, i legami imposti, non di sangue, sono ancora un problema». Secondo l’Istat, nel nostro Paese i nuclei ricostruiti sono circa 1 milione. E anche i “terzi genitori” iniziano a essere una realtà sempre più comune.
Cosa succede in casa quando la famiglia è composta da lui, lei e i figli di una precedente relazione? «Spesso, mentre la nuova coppia di adulti vive un momento magico e fa di tutto per innescare una routine piacevole, i figli faticano ad adeguarsi alla nuova realtà» spiega Anna Oliviero Ferraris. «Hanno bisogno di tempo per accettare il genitore acquisito. A volte capita che la seconda mamma sfoggi un affetto eccessivo o che il secondo papà stabilisca regole diverse da quelle della famiglia precedente. I bambini, soprattutto quelli più grandi, sono disorientati e si difendono chiudendosi o attuando comportamenti ostili». Per questo gli psicologi consigliano “all’altro” di entrare in punta di piedi nella vita dei figli del partner. «Sono i bambini che decidono il ruolo che il nuovo arrivato deve assumere: spesso viene percepito come zio o amico di famiglia» continua l’esperta. «Una figura di supporto, insomma, che si pone come modello di riferimento quando non tenta di sostituirsi a mamma e papà veri».
Il terzo genitore può essere un punto di riferimento importante come Mario, il secondo papà di Erri, personaggio principale di La tristezza ha il sonno leggero, (Longanesi), il nuovo romanzo di Lorenzo Marone. «Nel libro Io chiamo affettuosamente “il tappabuchi” perché colma le lacune del genitore che se ne è andato via» dice lo scrittore. «Anche io ho avuto un Mario nella mia vita, una persona accogliente e serena che per un po’ mi ha fatto da padre. Grazie a lui ho capito che spesso i patrigni o le matrigne sono più obiettivi, osservano il figlio del partner con quella giusta distanza che porta a consigliare meglio, con più serenità».
Le testimonianze
Martino Radiconi, 30 anni, di Pitigliano (Gr)
«Quando ho conosciuto Camilla, la figlia che mia moglie Alessandra ha avuto da un precedente rapporto, lei aveva solo 2 anni e mezzo e per me, che adoro i bambini, è stato facile avvicinarci attraverso il gioco. È stato subito amore e, “collaudato” questo rapporto, siamo andati a vivere insieme. Dopo 6 anni è arrivata Olimpia, figlia mia e di Alessandra, e tutto ha continuato a filare liscio. Anche perché il papà di Camilla è una figura affettuosa e molto presente, si è rifatto a sua volta una vita e non ci sono rancori con la sua ex moglie. Così abbiamo trovato il giusto equilibrio. Capita che la bambina chieda a mamma “Perché vi siete lasciati?” ma questo non è mai stato motivo di crisi o tensioni. A volte ci vediamo anche tutti insieme e Camilla tratta me come il vero padre e viceversa, non mostra preferenze. Lo chiama quando ha voglia di sentirlo e a volte io stesso la spingo a farlo. Per lei è normale avere 2 papà, è cresciuta così».
Veronica Crippa, 37 anni, di Milano
«Io avevo 25 anni, lui 52, 2 matrimoni alle spalle e 4 figlie femmine, una già adulta e autonoma, le altre, che spesso venivano a stare da noi, dai 17 agli 11 anni. A fare la seconda mamma non ci ho neanche provato: giovane come ero non sarei stata credibile. Così nel tempo ho cercato di pormi come una figura di supporto esterno, a volte anche come una mediatrice nei loro rapporti di adolescenti con il padre. Ma ho dovuto usare molto tatto e distacco perché la convivenza non è mai stata facile. Loro avevano abitudini consolidate, caratteri diversi e modi differenti di relazionarsi con me. Il mio tentativo di mettere qualche regola veniva percepito come un’intrusione: ero il capro espiatorio di una situazione che non avevano voluto. Capire tutto questo ha permesso a me di non impazzire e a loro, pian piano, di accettarmi. Soprattutto quando hanno visto che anche nei momenti più difficili sono sempre stata vicina al loro papàı.