C’è sempre più voglia di “estero” tra gli italiani, ma se il fenomeno dei cervelli in fuga è noto da tempo, ciò che sta emergendo di recente è una sempre maggiore fetta di popolazione pronta a fare le valigie, famiglie comprese. A dirlo sono i dati emersi dal XV Rapporto italiani nel mondo 2020 realizzato dalla fondazione Migrantes, che da anni monitora gli spostamenti degli italiani. Il quadro che ne esce è quello di un numero crescente di persone pronte a cambiare paese per rimettersi in gioco, evidentemente sfiduciate dalla situazione italiana. E non si tratta solo di giovani, anche se rappresentano la percentuale maggiore.
Chi è pronto a partire per l’estero
Nel 2019, anno a cui fanno riferimento i dati dell’indagine, ben 130.936 italiani hanno lasciato il Paese, ossia 2.355 in più rispetto all’anno prima. Si tratta soprattutto di giovani, dunque si conferma il trend dei cosiddetti “cervelli in fuga”, ossia studenti che scelgono l’estero per completare o arricchire il proprio percorso formativo e spesso vi rimangono. Hanno tra i 18 e i 34 anni e rappresentano il 40,9% di coloro che decidono di trasferirsi oltreconfine. Esiste però una porzione crescente di popolazione che è pronta a fare le valigie anche tra i 35 e i 49 anni, dunque in età “da famiglia”: costituisce ben il 23,9%.
Famiglie con le valigie pronte
A confermare che la “fuga” riguarda anche i nuclei familiari è la quota di minori, pari al 20,3%, dei quali l’11,9% ha meno di 10 anni. «Questi flussi migratori verso l’estero da parte delle famiglie sono dettati da due motivi socio-economici principali: da un lato la possibilità di un inserimento professionale migliore, dall’altro condizioni di welfare maggiori, offerte da altri Paesi. Fino a qualche anno fa i nonni rappresentavano la principale risorsa in termini di welfare e aiuto alle famiglie, ma oggi vanno in pensione sempre più tardi e non riescono più a supportare figli e nipoti. Per questo chi può guarda con interesse ad altri Stati come la Francia o quelli del nord Europa: io stessa ho molti colleghi che si sono trasferiti lì, inserendosi nel mondo accademico e ottenendo sostegni statali non paragonabili a quelli italiani» spiega Roberta Paltrinieri, professoressa di Sociologia culturale all’Università di Bologna.
Dal rapporto emerge anche un altro dato: a partire sono più uomini che donne (55,3%), nonostante negli ultimi 15 anni le differenze di genere siano diminuite. «La forbice si riduce perché i nostri connazionali che emigrano sono differenti rispetto a migranti economici che arrivano in Italia: si tratta soprattutto di persone altamente qualificate, che l’Italia perde. Sono per lo più professionisti che cercano impieghi all’altezza delle loro aspettative e le donne in questo momento storico sono più brave e colte, hanno tassi di alfabetizzazione in continua crescita, sono per lo più laureate e ambiscono a posizioni più elevate di quelle che potrebbero trovare nel nostro Paese» spiega la sociologa.
Dove si va
Un altro aspetto interessante riguarda le mete e i luoghi di partenza. Quanto alle destinazioni, se si prendono in considerazione i trasferimenti di lungo periodo (o definitivi) il dato più significativo riguarda gli italiani iscritti dall’AIRE, l’anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero). Rappresentano il 72,9% di coloro che sono partiti dall’Italia nell’ultimo anno, in tutto 131mila persone. Questo significa che nella maggioranza dei casi chi lascia l’Italia non lo fa per un periodo breve di pochi mesi, ma con l’intenzione di fermarsi a lungo. Dei 5,5 milioni di connazionali “emigrati” complessivi, pari al 9,1% della popolazione, il 72,9% ha scelto un altro Paese europeo, mentre il 20,5% si è stabilito negli Stati Uniti.
Il paese privilegiato in assoluto resta comunque in Regno Unito nonostante o forse proprio anche a causa della Brexit. Oltre a rappresentare la meta preferita, per questioni di lingua e opportunità di lavoro, l’uscita del paese dall’UE ha portato a regolarizzare la posizione di molti connazionali che si erano già trasferiti, per facilitare le procedure per ottenere i permessi di soggiorno e i diritti annessi, una volta che Londra sarà uscita dell’Unione. A seguire si trovano poi Germania e Francia, scelte rispettivamente dal 14,7% e dal 10,8% di chi vuole cambiare Paese. Il motivo, secondo gli esperti, sta nella maggiore offerta di lavoro, sia specialistico (accademico, ingegneristico, sanitario, ecc.) sia generico, come accade ad esempio con la richiesta di manodopera nei cantieri edili tedeschi.
Da dove si parte?
I flussi migratori all’interno dell’Italia si confermano soprattutto da sud a nord, con la maggior parte di abitanti delle regioni meridionali (in particolare Sicilia, Basilicata, Abruzzo e Sardegna) che si trasferisce in quelle del nord. Qualcosa, però, sembra cambiare. Lombardia e Veneto, che da sempre hanno attratto per le loro opportunità di lavoro, hanno ceduto il passo a Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, dove i nuovi “arrivi” sono doppi rispetto alle “partenze”. A seguire si trovano Lombardia ed Emilia Romagna.
È però proprio dalla Lombardia che si registra il maggior numero di trasferimenti di lungo raggio diretti all’estero (17,7% del totale degli italiani in “fuga”).
«Il motivo potrebbe essere duplice: da un lato il livello di formazione e le aspirazioni potrebbero essere mediamente superiori a quelle di altre zone del Paese; dall’altro in Lombardia c’è forse un sistema familiare meno tradizionale. A differenza di altre aree geografiche, dove rimane un’organizzazione a volte quasi arcaica, quella lombarda è in genere una famiglia dovei rapporti familiari sono più allentati e dunque ammettono con più facilità anche l’idea di una partenza e di uno sradicamento» spiega Paltrinieri.
Cosa cambia con il Covid?
Il trend delle partenze viene dunque confermato e persino ampliato, almeno fino al 2020, tanto che negli ultimi 15 anni il numero di coloro che hanno lasciato l’Italia è cresciuto del 76,6%. Ma cosa potrebbe cambiare con l’emergenza sanitaria? «Credo che molte persone adesso sentano il bisogno di ricongiungimento con i propri cari e i propri luogo d’origine, dunque è plausibile immaginare un’inversione di tendenza. Mi riferisco soprattutto a coloro che sono migrati più recentemente, mentre per chi già vive stabilmente all’estero non dovrebbe accadere» conclude l’esperta.