Le strade sono di nuovo trafficate. Uffici, negozi e bar hanno riaperto, ma bambini e ragazzi fanno i conti con le scuole ancora chiuse e con forti limitazioni alla socialità: al parco non si può giocare con gli amici e gli adolescenti non possono ancora ritrovarsi come prima. Una fase difficile da gestire, tra la difficoltà di rispettare le regole all’aperto a allo stesso tempo la necessità di uscire dall’isolamento tecnologico, con il rischio di sindrome di Hikikomori in aumento tra i teenagers, come segnalano gli esperti.

Come affrontare le novità

Da un lato la voglia di uscire e di tornare all’aria aperta, dall’altro la paura di ammalarsi, spesso “trasmessa” dai genitori che devono controllare che i figli mantengano le distanze di sicurezza da amici e coetanei, indossino la mascherina o- i più piccoli –  non mettano le mani in bocca e sul viso. Tutto questo rappresenta una novità con cui i nostri figli si confrontano nella fase 2: «La loro normalità si basa sulla ripetizione di azioni quotidiane, come andare a scuola e avere orari stabili, saltati durante il lockdown. Adesso, però, occorre abituarsi a comportamenti e oggetti nuovi come l’uso della mascherina o a volte i guanti. Ecco che i genitori diventano punti di riferimento ancora più importanti, se non unici. Tocca a loro spiegare questi cambiamenti in modo chiaro e adeguato all’età» spiega Silvia Valadè, docente di Psicopatologia dell’età evolutiva presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e membro dell’Ordine degli psicologi della Lombardia, che ha stilato un vademecum.

Spiegare “raccontando”

«Il primo consiglio è proprio di spiegare quante più volte possibile ciò che sta accadendo e perché, ad esempio, dobbiamo indossare la mascherina e rispettare le distanze, o non possiamo abbracciare i nostri amici. Non dobbiamo avere paura di ripeterlo più volte, specie con i più piccoli, senza nascondere la stranezza di questi nuovi comportamenti né la fatica che facciamo anche noi. Questo permetterà di condividere questo momento e creare una narrazione, raccontando cosa accade di volta in volta» spiega la psicologa.

Come convincerli a indossare la mascherina

Una delle difficoltà maggiori è convincere i figli, soprattutto i più piccoli, della necessità di indossare la mascherina quando si esce (o si incontrano i nonni). «Con i piccoli, si può fare ricorso a tre strategie differenti ma da seguire insieme: raccontare come la mascherina sia diventata parte della nostra nuova quotidianità, come una sorta di nuova normalità, indossandola noi adulti per primi quotidianamente; non nascondere la necessità di doverlo fare per motivi sanitari: si può ricordare, ad esempio, che è come prendere una medicina che non piace, ma che ci fa guarire o ci protegge; ma è anche molto utile ricorrere alla giocosità e all’ironia: per esempio, si può personalizzare la mascherina colorandola o applicando figure di animali o fatine a seconda dei gusti dei bambini. Può essere utile anche fingere di travestirsi da banditi o pirati, rendendolo un gioco» spiega consiglia l’esperta. In ogni caso, quando si nota che il bambino prova fatica o rabbia, non bisogna sgridarlo, ma accogliere anche questi sentimenti o frustrazioni, parlandone.

Proporre giochi diversi con gli amici

Se si esce per andare al parco o ai giardini, ci si scontra subito con l’impossibilità di giocare in gruppo come prima. «È una novità difficile da accettare per i bambini perché non ne capiscono il motivo. Bisogna spiegare loro che occorre pazienza fino a che non sarà possibile tornare a farlo» dice Valadè. Un’alternativa è suggerire giochi che siano compatibili col distanziamento tra quelli magari fatti anche in casa in solitaria e ora riproposti all’esterno insieme a un amichetto o a piccoli gruppi: «Si possono fare disegni su tavoli da pic nic nei parchi oppure in casa, mantenendo le distanze, oppure suggerire di giocare al bowling con piccoli birilli o a palla evitando il contatto fisico» dice la psicologa.

Come parlare della scuola

Se i genitori tornano al lavoro, i figli devono dimenticarsi la scuola almeno fino a settembre. «Il problema principale, oltre alla mancanza del contatto con compagni e insegnanti, è la mancanza di certezze sulla data di riapertura delle scuole né sulle modalità: con i bambini occorre essere chiari e comprensibili, senza promettere ciò che non si può mantenere. Se sono in età scolare, quindi, è giusto spiegare che ci sono persone esperte che stanno studiando come farci tornare in classe il prima possibile, ma eviterei di indicare una data, dicendo che a settembre tutto tornerà alla normalità, perché neppure noi abbiamo indicazioni precise» dice Valadè.  

Festeggiare lo stesso la fine della scuola

A molti bambini e ragazzi mancherà il rito dei festeggiamenti di fine anno scolastico (o di compleanno): niente “pizzata” insomma. «È vero, ma è importante ricreare ugualmente una forma di festeggiamento in casa con la propria famiglia. I riti di passaggio, come la fine del ciclo scolastico della materna, delle elementari o medie, sono passaggi che non devono essere dimenticati, ma anzi celebrati seppure in una forma più limitata o surrogata» suggerisce la psicologa.

Coinvolgere i ragazzi nelle discussioni

Soprattutto per gli adolescenti, invece, la possibilità di incontrarsi in piccoli gruppi, di 2 o 3 amici rappresenta già una conquista anche se non si tratta di un vero ritorno alla normalità: i locali e i cinema restano chiusi e sono vietati gli assembramenti. I ragazzi, poi, sono molto “fisici” nelle loro relazioni interpersonali: abbracci e vicinanza sono all’ordine del giorno. Come si fa senza? «Finora i ragazzi hanno dimostrato una grande resilienza, ma per sostenerli occorre anche coinvolgerli e ascoltarli in dibattiti in casa sulle nuove norme sociali e familiari, come l’uso di smartphone o videogiochi» spiega Valadé.

È ora di limitare lo smartphone

Dopo le «abbuffate social» della fase 1, ora potrebbe essere il momento adatto per disintossicarsi? «Finora siamo stati tolleranti e abbiamo permesso un uso di giochi e social a volte inappropriato consentendo, ad esempio, di fare tardi la notte, a condizione di alzarsi in tempo per le videolezioni. La situazione può essere sfuggita di mano quindi la fase 2 può essere considerata un test per valutare quanto i nostri ragazzi sono annichiliti dalla tecnologia» spiega la psicoterapeuta Barbara Volpi, esperta di adolescenti e collaboratrice del dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica all’Università La Sapienza di Roma. Ora è giusto tornare a limitare l’uso dei dispositivi elettronici, dopo che sono stati sdoganati anche per i più piccoli? «Assolutamente sì, ma per farlo i genitori devono anche proporre qualcosa di costruttivo e coinvolgente, come il contatto con la natura ove possibile tramite passeggiate o gite insieme a piedi o in bicicletta, o la lettura di favole per i più piccoli, che servono anche a individuare eventuali paure dei propri figli e a proiettarle sui protagonisti delle storie» spiega Volpi.

«Dall’esperienza di questi primi giorni penso che soprattutto gli adolescenti abbiano così tanta voglia di tornare ad avere relazioni non virtuali che, di fronte alla possibilità di uscire e incontrarsi, i device passino in secondo piano e se ne riduca l’uso in modo spontaneo. Questo vale anche per i bambini: non appena sarà possibile, l’idea di vedere gli amici è più attraente rispetto al fatto di chattare con loro» aggiunge Valadè.

Il rischio Hikikomori

Esiste, però, il rischio di andare incontro alla sindrome di Hikikomori, segnalato da alcuni esperti, cioè la possibilità che i giovani si chiudano in casa (e nella propria camera), limitando i propri contatti a quelli tramite internet. «Può essere la conseguenza del maggior tempo passato online grazie alla tecnologia, che è ipnotica. In alcuni casi i ragazzi hanno continuato a giocare ai videogiochi anche al mattino mentre facevano videolezioni, spegnendo la telecamera e il microfono». Come riconoscere i sintomi e intervenire? «Prima di tutto verifichiamo se staccano la Play Station o altri videogiochi, se comunicano con noi, se organizzano incontri contingentati con gli amici e corriamo ai ripari se ciò non avviene. Impegniamoli in attività in famiglia, cuciniamo insieme, tiriamo fuori giochi da tavolo. Sono da evitare, invece, frasi come Spegni la Play o Fai i compiti, senza proporre nulla di condiviso».