Dice Francesca Cavallo, autrice di Storie della buonanotte per bambine ribelli e ospite del nostro tavolo di lavoro sulle emozioni appena concluso alla Statale di Milano, che chi ci ha rimesso di più, nel trito campionario di personaggi stereotipati e narrazioni infarcite di cliché di cui sono fatte le favole, sono i maschi. Noi, bene o male, ci siamo affrancate dalla logica della Bella Addormentata che aspetta il bacio salvifico. Il principe invece è sempre lì, sul suo cavallo bianco, imbalsamato nella corazza dell’eroe. Ma se la principessa nel frattempo se n’è andata, lui che fa?

Giovani autori di femminicidio: chi ha sbagliato?

Parto da qui per provare a capire gli ultimi atroci fatti di cronaca che parlano di aspiranti principi caduti da cavallo, rimasti senza ruolo, abbandonati. Per chiedermi di chi è la colpa. Sbaglia chi pensa che basti incastrare l’assassino per darsi una risposta. Può forse bastare per un delitto comune, non per un femminicidio. Soprattutto se la vittima ha poco più di 20 anni e il suo carnefice solo qualcuno in più. Non se succede in due posti diversi, a distanza di pochi giorni, seguendo un copione analogo. In entrambe le storie c’è un ragazzo che non accetta di essere rifiutato, un cittadino al di sopra di ogni sospetto che si trasforma di colpo in un “mostro”. Ma purtroppo mostro non è. Non come ci piacerebbe pensarlo, per semplificarci la vita e riconoscerlo facilmente qualora ci capitasse di incrociarlo. Per nostra sfortuna è una persona qualunque. Non un balordo, non un violento. Ha un’apparenza mite, la fedina pulita, una vita normale. Chi lo conosce dice che «non farebbe male a una mosca». Per questo la madre lo capisce e lo copre. Non merita di finire in prigione. Non è cattivo, ha solo perso la testa. Capita. Capita?

È la fragilità maschile a rendere gli uomini violenti

Di chi è la colpa. Se questa è la dinamica, come si fa a non chiederselo. Se non è un fatto isolato, ma qualcosa che si ripete, con uno schema simile, malgrado e dopo lo choc suscitato dal caso Turetta, i 75 fendenti che l’assassino ha inferto sul corpo di Giulia Cecchettin (“per inesperienza, non crudeltà” sostiene in tono pericolosamente assolutorio l’ultima sentenza della Corte d’Assise), come non domandarsi: cosa sta succedendo? Dove abbiamo fallito? Noi, plurale. La famiglia. La scuola. Le istituzioni. I tribunali. La società. Tutti. Chiediamocelo non per assolvere chi ha alzato la mano contro una vittima indifesa – a Padova, a Roma, a Messina e chissà dove ancora – nel modo più vigliacco e brutale. Ma per capire perché quella mano si è alzata. E perché il riverbero di quella mano sulla coscienza di chi l’ha alzata è stato così flebile. E così pronto l’aiuto, così inconsistente l’assunzione di responsabilità da parte di chi doveva e poteva evitare che questo accadesse. Con le parole e con l’esempio.

Allenando il cuore al rifiuto, il corpo all’ascolto della sofferenza, che quando viene rimossa o silenziata diventa polvere da sparo, nitroglicerina

Per questo bisogna affrontarla. Se possibile, trasformarla in occasione di crescita. Oppure scioglierla in lacrime. Concedersi di farlo. È la fragilità che rende gli uomini violenti, non la forza. La loro incapacità di mostrarsi indifesi, perdenti. Perché così gli hanno insegnato, fin da piccoli. Non piangere. Non fare la femminuccia.

Dopo Bond, liberiamo anche il principe

È il timore di fare le femminucce che impedisce ai ragazzi di entrare in contatto con le proprie emozioni e autorizzarsi a sentirle. Condividerle. È questo silenzio “dovuto”, che li rende potenzialmente pericolosi. La freddezza di Samson, che butta il corpo di Ilaria in un dirupo e poi va a farsi una piadina con l’amica ci fa inorridire, ma è il risultato di una cultura che non legittima l’uomo vulnerabile. Non lo approva. Caricandolo di un senso di inadeguatezza veramente insidioso ed esplosivo, che si trincera dietro un muro. Daniel Craig si è voluto liberare di James Bond, interpretando in Queer un omosessuale inquieto ed emotivo, perché trovava il superomismo dell’agente segreto ormai superato e un po’ ridicolo. Dopo 007, liberiamo il principe. Spogliamolo dell’armatura e delle aspettative. Questa volta, salviamolo noi.