In occasione dell’8 marzo, abbiamo raccolto una vera guida al vecchio e nuovo femminismo, che si batte per la parità di genere. Dalle autrici “storiche” che per prime hanno parlato di sessualità alle giovani scrittrici che esplorano i sentimenti delle millennials. Dal brano rap contro i femminicidi al doc sugli stereotipi anti-maschili

Quando, il 5 ottobre del 2015, New York Times e New Yorker hanno pubblicato i primi articoli di denuncia contro Harvey Weinstein, lo si è capito abbastanza in fretta che il caso non si sarebbe chiuso lì.

Il #MeToo, nuovo femminismo

Le denunce indirizzate all’ex produttore cinematografico – che sta scontando una pena di 20 anni per violenza sessuale di primo grado nei confronti dell’ex assistente di produzione Miriam Haley e di stupro di terzo grado nei confronti di Jessica Mann dal tribunale di New York e altri 16 anni per uno stupro avvenuto a Los Angeles – hanno fatto esplodere a livello globale il movimento #MeToo, che era stato lanciato dall’attivista afroamericana Tarana Burke già nel 2006. L’hashtag nasce infatti come un collettore di esperienze tramite cui donne, ma anche uomini, hanno raccontato e condiviso online storie di abusi, stupri, molestie: un fiume di confessioni personali e dolorose che ha invaso i social media e trasformato il #MeToo in una leva potentissima per una nuova ondata di femminismo.

Serie tv, romanzi, T shirt sul femminismo

In realtà, di “nuovo femminismo” si parlava già da anni in molti settori culturali, dalla letteratura all’arte, ma è innegabile che l’esposizione mediatica del caso Weinstein abbia catalizzato un interesse senza precedenti e fatto nascere una discussione intorno ai temi della parità di genere, dell’accesso alle professioni e degli squilibri di potere in moltissimi Paesi nel mondo, con complicità dei social. Non sorprende perciò come autrici, teoriche e figure che hanno fatto la storia del femminismo siano così prepotentemente ritornate nel dibattito pubblico per essere rilette, riscoperte e ristudiate dalle nuove generazioni. Parallelamente, nuove voci si sono affermate non solo in ambito strettamente accademico, ma anche in campi come il cinema, la tv e la moda, dove i contenuti femministi (o presunti tali) si sono moltiplicati a dismisura. Ci sono serie tv, romanzi, Ted Talk, t-shirt che inneggiano al potere delle ragazze oppure al trionfo dell’intersezionalità, quella branca del femminismo che cerca di superare le barriere di etnia e di genere per promuovere un movimento più inclusivo, che racchiuda anche le minoranze e le comunità Lgbtq+ (acronimo che sta per lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer).

La parità di genere è un traguardo ancora da raggiungere

D’altra parte, di motivi per parlare di diritti delle donne ce ne sono eccome: a partire dal cosiddetto gender gap, e cioè la disparità salariale che ancora esiste tra uomini e donne. Secondo un recente report della rivista medica Lancet, gli impegni presi 25 anni fa a Pechino in occasione della quarta conferenza mondiale sulle donne a proposito di parità di genere, ritenuta una condizione indispensabile per la giustizia sociale e lo sviluppo sostenibile, non sono stati mantenuti. «Sebbene siano stati compiuti importanti progressi in molte aree, si può dire che nessun Paese sia stato all’altezza di questa visione e i contraccolpi contro i diritti delle donne stanno crescendo. Il Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum (che utilizza una definizione limitata di salute sessuale e riproduttiva) rileva che, sulle tendenze attuali, il divario globale di genere richiederà 99,5 anni per essere colmato».

La battaglia per l’aborto

Molti diritti che pensavamo essere acquisiti, poi, negli ultimi anni sono finiti nel mirino di forze politiche e culturali che individuano nel femminismo, considerato un’ideologia dannosa, il loro nemico dichiarato. Ne abbiamo discusso in Italia, a quarant’anni dalla Legge 194 sull’aborto, quando a Verona si è riunito il Congresso mondiale delle famiglie, che ha portato nel nostro Paese estremisti cattolici da tutto il mondo. E se n’è discusso anche in America, ad esempio, dove il Senato dell’Alabama intendeva vietare l’aborto in tutto lo stato, anche nei casi di stupro e incesto: purtroppo non un caso isolato, che racconta di una più ampia recessione su questi temi. Nemici giurati delle femministe sono anche gli incel, parola che sta per involontariamente celibi e che è diventata tristemente conosciuta per via delle stragi commesse da giovani uomini che si sentivano rifiutati dalle donne e avevano iniziate a odiarle. Così ci siamo accorti dell’esistenza di una “manosphere” digitale, dove i contenuti misogini e violenti abbondano.

Nuovi temi nel dibattito politico

In Italia, come non ricordarlo, continuiamo a fare la conta dei casi dei femmicidio, che non mancano mai di suscitare polemiche – basti pensare a Pamela Mastropietro, Elisa Pomarelli e Adriana Signorelli – e che hanno ispirato il cosiddetto Codice Rosso, la legge varata a luglio 2019 che ha creato una corsia preferenziale contro i reati di violenza di genere e nei primi due mesi di applicazione ha fatto raddoppiare le segnalazioni. Velocizzare, però, non equivale a salvare: i femminicidi rimangono all’ordine del giorno, mentre si attendono ancora 6 anni prima di una condanna. E se da una parte la violenza contro le donne rimane una delle questioni fondamentali dei movimenti femministi, molti altri temi che riguardano le donne sono entrati nel dibattito pubblico, dalla tampon tax, ovvero il sovrapprezzo su assorbenti e tamponi, al body shaming e fat shaming (grassofobia), l’odiosa forma di bullismo nei confronti di chi non è magro.

Il femminismo è diventato pop, non senza contraddizioni

Da Beyoncé, che ha campionato le parole della scrittrice e attivista Chimamanda Ngozi Adichie nella sua Flawless, alla t-shirt di Dior con la scritta “We should all be feminist”, negli ultimi anni il femminismo è esploso ed è diventato, è il caso di dirlo, di moda. L’empowerment – parola inglese semi intraducibile che sta per “essere in grado di”, “aver il potere di” – è ovunque: dai personaggi dei libri a quelli delle serie tv, dalle pubblicità alle sfilate, tutto è rivisto in chiave femminista e militante.

oncetti come il consenso, la parità di genere, la fluidità e l’auto-affermazione femminile sono entrati massicciamente nel discorso pubblico, provocando una rivisitazione dei classici stereotipi legati alle donne, alle ragazze e alle bambine. Il femminismo è diventato pop, insomma, ma non senza delle controindicazioni: sono in molti, infatti, a notare come oggi istanze e temi cari al dibattito femminista vengano usati per vendere creme e magliette, e come molti personaggi famosi li cavalchino per costruirsi un profilo pubblico al passo con i tempi. L’interesse che il #MeToo ha catalizzato e lo sdoganamento di certi temi hanno provocato, comunque, un effetto benefico, soprattutto per le nuove generazioni, che così possono iniziare a conoscere questi temi e a farli propri.

Non una di meno

La manifestazione “Non una di meno” che si è tenuta a Roma il 18 dicembre 2019

Le autrici e le attiviste storiche vengono riscoperte…

Dal pensiero classico di Simone de Beauvoir a quello anticapitalista di Nancy Fraser fino al Manifesto Cyborg di Donna Haraway, da Marsha P. Johnson e Sylvia Rivera, le due attiviste trans che furono tra le promotrici dei moti di Stonewall (le proteste che nel 1969 hanno dato il via al movimento di liberazione omosessuale), al lavoro della filosofa e autrice Angela Davis, oggi 76enne, che ha scritto di femminismo e della condizione delle donne nere in America, oggi sono tante le scrittrici e le attiviste che vivono una nuova popolarità.

Ne è un esempio Joan Didion, restia all’etichetta di rockstar della letteratura, così come a quella di femminista (motivo per cui lo è nel senso più profondo del termine), che ad 85 anni è un’icona di libertà. Di scegliere, di essere tante cose insieme, di stile. Giornalista prima che scrittrice, ha vinto il National Book Award nel 2005 con Lanno del pensiero magico (il Saggiatore), scritto dopo la morte del marito. Da recuperare il documentario dove si racconta: Il centro non reggerà su Netflix.

Oppure ancora Anne Sexton, premio Pulitzer nel 1967, bellissima, trasgressiva, tormentata (si è suicidata a 46 anni), ha inaugurato il genere dei “confessional poems”, parlando di corpo, erotismo, sessualità femminile. Le sue poesie sono pubblicate da Le Lettere. La sua vita è raccontata in Dio nella macchina da scrivere (La nave di Teseo). E come non citare Margaret Atwood, il cui seminale Racconto dell’ancella, uscito per la prima volta nel 1985, è diventato la serie tv di culto con protagonista Elizabeth Moss, raggiungendo così il pubblico più giovane che non conosceva la scrittrice canadese.

… Mentre si fanno avanti voci nuove

C’è Roxane Gay, che con Bad Feminist e Fame (pubblicato in Italia da Einaudi), ha raccontato cosa significa affrontare uno stupro, l’obesità e l’isolamento sociale. C’è Lisa Taddeo, giornalista e scrittrice, che ha aperto il vaso di Pandora sul desiderio femminile. Il suo Tre donne, appena uscito anche da noi per Mondadori, racconta le storie di Maggie, Lina e Sloane, ma è il risultato di 8 anni di interviste e ricerche su cosa vogliono le donne, come ne parlano, perché si vergognano. Ha fatto così scalpore che è già stata annunciata la serie tv. E c’è Sally Rooney: nel 2017, a 28 anni, ha pubblicato Parlarne tra amici, in cui tutte le millennials si sono subito riconosciute: finalmente una che parla a noi di noi. Nel 2019 torna con l’ancora più bello Persone normali (sempre Einaudi): una specie di Come eravamo (il film con Robert Redford e Barbra Streisand?) ai nostri giorni. L’autrice irlandese scrive d’amore e relazioni come una moderna Louise May Alcott.

Come non citare la poetessa Cleo Wade, che il New York Times definisce “The Millennial Oprah”: cioè l’erede della presentatrice paladina della parità di genere e di razza. Il motivo? Grazie ai suoi testi – un misto di poesia e prosa – pubblicati perlopiù sui social, è la voce dei 30enni di oggi. Parla di uguaglianza, solidarietà consapevolezza di sé, come spiega nel suo Ted visto da 3 milioni di persone. Il suo ultimo libro non a caso si intitola Heart talks, il cuore parla (tre60).

Non una di meno

La manifestazione “Non una di meno” che si è tenuta a Roma il 18 dicembre 2019

In Italia ha parlato di questi temi Esperance Ripanti, italiana di Brescia, nata in Ruanda nel 1991, che è tra le scrittrici italiane di origini afro più influenti di oggi. Ha affidato a un libro, E poi basta. Manifesto di una donna nera italiana (People), il suo urlo di dolore per un Paese in cui è difficile riconoscersi, giustificarsi, perfino restare sola alla fermata del tram. Vive e lavora a Torino, cura un programma culturale su Radio RBA, la puoi seguire su Instagram con l’account @unavitadastendhal, e leggere su Future (effequ), antologia con le voci delle nuove italiane. È un’avvocata-attivista, invece, Cathy La Torre, premiata come migliore legale pro bono nel nostro Paese nel 2019, è per metà italiana e per metà americana. Avvocata e attivista Lgbtq+, ha lanciato Gaylex, rete di esperti contro l’omotransfobia, e la campagna #odiareticosta contro l’odio online. Per lei la politica è «vivi come le cose che dici». Dirige lo studio legale Wildside, che si occupa della parte “selvaggia” dei diritti: quelli non ancora riconosciuti o considerati di serie B.

Ha scritto due libri, invece, la giudice anti-pregiudizi Paola Di Nicola TravagliniLa giudice. Una donna in magistratura (Ghena) e La mia parola contro la sua (HarperCollins). Nel primo racconta il percorso in salita delle donne in magistratura, a cui furono ammesse nel 1965: «Nelle aule di giustizia non potevano entrare né testimoniare, la loro parola non valeva nulla e così non potevano giudicare e non potevano essere avvocati. Eravamo fragili, inadeguate, dedite alla cura, irrazionali, passionali, bugiarde». Pregiudizi che raccoglie nel secondo libro, in cui analizza più di 200 sentenze dimostrando come gli stessi stereotipi condizionino ancora il lavoro dei giudici.