I giudici della Cassazione sembrano non avere più dubbi: i figli maggiorenni, al termine degli studi, devono darsi da fare e trovare un lavoro, anche se non è quello dei sogni. Una sentenza della Cassazione interviene in un tema delicato, soprattutto in un momento in cui il lavoro dei giovani risulta essere il più precario e a rischio crisi. Dunque, fino a quando bisogna provvedere ai figli? In questo caso i giudici hanno stabilito che, quando c’è la capacità lavorativa viene meno il diritto di farsi mantenere da mamma e papà. Ma cosa significa? Quando si è davvero in grado di lavorare?
Cosa hanno stabilito i giudici sul diritto al mantenimento
Con la sentenza n. 17.183 la Cassazione ha chiarito che i figli maggiorenni sono tenuti a mantenersi e l’assistenzialismo a vita non è garantito per legge. Ma è una novità? «In realtà da anni la Cassazione ribadisce che se il figlio non studia o non lavora per sua volontà, anche se ne avrebbe le capacità, perde il diritto al mantenimento da parte dei genitori. Non hanno un diritto, ad esempio, a essere perennemente fuori corso all’università e pretendere di essere mantenuti o stare a casa dopo aver finito gli studi senza cercare un lavoro» spiega l’avvocato Marisa Maraffino.
Questo, però, non significa che non si debba aspirare a soddisfare le proprie ambizioni. Ma come deve comportarsi, allora, un genitore? « genitori devono assecondare le aspirazioni dei figli contribuendo al loro mantenimento, ad esempio durante i tirocini formativi o gli apprendistati, se ne hanno le possibilità economiche. Quando i figli invece trovano un lavoro più stabile, anche se con contratto a termine, cessa l’obbligo di mantenimento. Anche se i figli perdono il lavoro, avendo però capacità lavorativa, i genitori non sono più tenuti a mantenerli» spiega il legale.
Esiste anche il diritto dei genitori a essere mantenuti dai figli
In realtà il mantenimento dei figli non coincide con l’obbligo agli alimenti, «che è cosa diversa – spiega Marraffino – Quando i figli non hanno i mezzi di sostentamento, i genitori devono aiutarli a sopravvivere. Ma il diritto esiste anche a parti invertite, anche i genitori potrebbero avere bisogno dell’aiuto economico dei figli un giorno e i figli sono tenuti ad aiutarli. Anche i nonni, quando i genitori non possono permetterselo, devono aiutare i nipoti, ma vale anche il contrario. Non si è figli per sempre ed è giusto che sia così. È il principio di solidarietà che vige nel nostro ordinamento».
In un periodo di crisi come quello che si sta vivendo,
anche a causa dei risvolti economici del lockdown, il diritto agli alimenti
diventa ancora più importante, ma non a senso unico: «Anche i genitori possono perdere il lavoro,
soprattutto in questo periodo di crisi che stiamo attraversando. In questi casi
i figli – se maggiorenni – sono chiamati a contribuire nei limiti delle loro
possibilità.
Il lavoro dei sogni non è un obiettivo concreto
La sentenza di poche settimane fa emessa dalla Cassazione sembra puntare l’attenzione sul fatto che non si debba necessariamente (e talvolta non si può) coronare il sogno della propria vita: «I giudici ultimamente sottolineano il fatto che, finiti gli studi, i figli debbano andare a lavorare, anche se non si tratta dell’impiego dei loro sogni. Nell’attesa di trovare il lavoro più adatto alle proprie aspirazioni, devono comunque rendersi indipendenti. Se poi i genitori non possono permettersi gli studi universitari, i figli dovranno trovarsi un lavoro per potersi mantenere. È un principio di buon senso, ma in Italia c’è stato bisogno che i giudici lo scrivessero nelle loro sentenze» osserva l’esperta legale.
Cos’è la capacità lavorativa?
Il principio base della sentenza è la capacità lavorativa: di cosa si tratta? Quando scatta? «Non esiste un’età prestabilita per la capacità lavorativa, dipende dal percorso di studi dei figli. I genitori sono obbligati a mantenerli fino alla fine degli studi, che può arrivare fino al master o alla specializzazione, se i figli danno prova di essere in corso e meritevoli. Può andare anche oltre, ad esempio fino allo stage o all’apprendistato. Una volta formati, però, devono darsi da fare e rimboccarsi le maniche. Un buon genitore educa i figli all’indipendenza economica e non solo. È giusto aiutarli negli studi o nell’avvio alla professione, ma poi occorre insegnare loro che l’autonomia è una conquista soprattutto nell’interesse dei figli».
Oltre i 30 c’è l’abuso del diritto
Ma esiste un’età indicativa? «I giudici parlano di una presunzione di capacità lavorativa a 18 anni, ovvero i figli possono a quell’età trovare un lavoro, anche saltuario, per rendersi gradualmente autonomi. Esiste poi un limite di età che l’ultima sentenza fissa a 30 anni, oltre i quali non si può andare sia che si studi sia che si stia lavorando saltuariamente e che interrompe l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori. Se a 30 anni un figlio in buona salute pretende ancora di essere mantenuto dai genitori, non dovrebbe essere un giudice a dirgli che si tratta di un abuso del diritto» chiarisce Marisa Marraffino.
Come funziona all’estero
Da tempo
gli esperti nell’ambito legale affermano che l’Italia sconta un ritardo su
questo fronte: «In Italia assistiamo a
cause singolari, che non ci sono in altri paesi del mondo. I genitori, ad
esempio, producono le schermate dei profili social dei figli per dimostrare che
lavorano e che quindi non hanno diritto al mantenimento. In altri paesi sono
i figli a pretendere di andare via di casa a 18 anni, contando solo sulle
proprie forze. I motivi sono prevalentemente sociali, ma purtroppo anche
culturali. Le sentenze degli ultimi anni vanno nella direzione giusta: i
figli devono avere voglia di conquistarsi l’indipendenza, deve essere
un’esigenza che nasce da loro, magari anche prima della fine degli studi, come succede
all’estero. Anche in Italia molti ragazzi studiano e lavorano con profitto, si
può fare ed è auspicabile che si faccia sempre più spesso. Serve a crescere più
in fretta e meglio» conclude Marraffino.