«Sento che il destino mi sta dicendo qualcosa: forse non devo essere mamma». Alice sussurra questa frase trattenendo a stento le lacrime. Quarantanove anni, ricercatrice universitaria e insegnante, sta provando a dare un volto a quel bimbo che immagina dentro di sé da anni. Nei mesi passati tutti abbiamo provato sulla nostra pelle il lockdown: famiglie chiuse in casa, saracinesche dei negozi abbassate, città deserte… Per le donne come Alice e per i loro partner, però, a interrompersi con violenza è stato il sogno di una vita. Sono le coppie che cullavano il desiderio di diventare genitori e che dopo anni di dubbi, fallimenti e peregrinazioni, avevano finalmente trovato una speranza grazie alla Pma, la procreazione assistita. Ora quella speranza rischiano di vedersela scivolare tra le dita.
In Italia nel 2019 sono nati più di 1.000 bambini al mese
Nel 2019, in Italia, sono stati fatti 80.000 trattamenti di Pma: una media di 7-8.000 al mese. E grazie alla scienza nel nostro Paese sono nati più di 1.000 bimbi ogni mese. Poi, per almeno 60 giorni tutto si è bloccato. Cristallizzato. Può sembrare un periodo breve, in fondo. Ma diventa una montagna da scalare appena si percepiscono le difficoltà di chi affronta un percorso di fecondazione eterologa nel nostro Paese.
«È stato subito chiaro che l’unica possibilità per me e Gianluca, il mio compagno, era ricorrere a una donatrice» continua Alice che 10 anni fa ha superato un linfoma e affrontato cure che hanno compromesso per sempre la possibilità di avere un figlio. «Tutti ci proponevano le classiche cliniche in Spagna, dove fare direttamente l’intero percorso, ma i costi sono altissimi. Finalmente abbiamo trovato una ginecologa davvero preparata e un buon centro a Firenze. Peccato che la legge preveda che il trattamento tramite il Sistema sanitario nazionale sia possibile solo per chi abita nella Regione della clinica. Così noi lo faremo privatamente e spenderemo 5.000 euro solo per la formazione delle blastocisti (lo stadio che l’embrione raggiunge dopo 5-6 giorni di sviluppo, ndr). Spediranno il campione di gameti di Gianluca in Grecia dove troveranno anche la donatrice e poi procederanno alla coltura dell’embrione».
Perché all’estero? «Da noi ci sono pochissime donatrici di ovuli: manca una cultura in questo senso e, a differenza di altri Stati, chi lo fa non riceve nemmeno una piccola ricompensa economica» spiega Alice. «Così, la maggior parte delle cliniche italiane si appoggia a strutture oltre confine. Loro poi li rispediranno in Italia dove saranno impiantati dentro di me. Alla fine di febbraio ci hanno chiamati per dirci che fermavano tutto. Mi hanno salutato dicendo: “Non sappiamo quando riapriremo”. Mi è mancato il fiato. Ho 49 anni, la clinica accetta donne fino ai 50 e vedo ogni giorno le mie chance che si assottigliano».
Covid e Pma: una corsa contro il tempo
È una corsa contro il tempo quella che sta andando in scena nelle oltre 300 strutture italiane dedicate alla Pma. «L’iter per una fecondazione eterologa dura in media un anno, ammesso che vada tutto bene al primo tentativo, una situazione che è abbastanza rara. Fermarsi qualche mese può raddoppiare la durata del trattamento o compromettere tutto» interviene Nicola Colacurci, professore di Ginecologia e ostetricia all’università della Campania Luigi Vanvitelli e coordinatore del Gruppo di interesse speciale in Medicina della riproduzione della Sigo, la Società italiana di ginecologia e ostetricia. «Le attività di fecondazione assistita sono ripartite a giugno e ora diamo la precedenza alle donne che sono già in cura sperando che a settembre la situazione diventi più gestibile».
Per tutte le altre, quelle che devono ancora iniziare esami e trattamenti, al momento ci sono solo una lunga lista d’attesa e un vortice di dubbi e incertezze. «Le nostre dirette social e i videoincontri sono presi d’assalto perché la gente ha mille domande e preoccupazioni» spiega Stefania Tosca, fondatrice e vicepresidente della onlus Strada per un sogno. «Ci chiedono quanto si allungheranno i tempi, come vengono controllate le donatrici di ovociti all’estero, se fanno tamponi per monitorare la loro salute o solo test sierologici, se gli embrioni che arrivano in Italia sono davvero a prova di Covid».
In Italia alcuni centri hanno aumentato le tariffe e tanti stentano a ripartire. «In Lombardia» prosegue Stefania Tosca «hanno riaperto solo 2 cliniche che si occupano di eterologa». «Durante il lockdown io e Gianluca ci siamo messi alla disperata ricerca di una struttura all’estero. Dopo settimane abbiamo trovato una clinica greca che ci ha proposto di andare direttamente là in autunno e, vista la situazione adesso, non lo escludiamo. Al momento è il nostro piano B, anche se ci rendiamo conto che se ci fosse un’altra ondata della pandemia rischieremmo di rimanere bloccati ad Atene» continua Alice. «Nel frattempo, ha riaperto il centro toscano. La settimana prossima dovremmo consegnare il seme. Io intanto farò gli esami per essere pronta e mi sottoporrò a una stimolazione ormonale. Sono tutti test a pagamento: dall’inizio dell’anno abbiamo già speso più di 1.000 euro e ora speriamo di non doverli buttare di nuovo, perché pare che i tempi dell’iter si stiano allungando».
I protocolli medici sono cambiati a causa del Covid
Il Covid non ha solo chiuso le strutture per 2 mesi: ha imposto anche un cambiamento profondo dei protocolli medici. «Dobbiamo garantire la massima sicurezza in ogni step del percorso, perciò le coppie vengono sottoposte a pre-triage e test rapidi. La conseguenza è che si fissano meno colloqui e trattamenti al giorno. Negli ospedali pubblici, poi, si dà la precedenza ad altre urgenze e operazioni, quindi le attese si dilatano ancora di più» spiega Colaturci.
È proprio l’immobilismo a fare paura a chi lotta per avere un bambino. «Noi, come tante altre coppie, siamo solo all’inizio» racconta Alice. «Non so se rimarrò incinta e se porterò a termine la gravidanza. Ormai ho scolpito nella mente, e nel cuore, che le percentuali di successo dell’eterologa si aggirano al massimo intorno al 30-40%. In queste settimane ho pensato tante volte di mollare, ma poi mi ripeto che la vita è proprio buttarsi, affrontare il vuoto e le paure. Adesso, però, noi lo facciamo senza paracadute: capisco che il nostro Paese debba affrontare problemi ben più gravi, ma non può dimenticarsi di noi». Una prima soluzione ci sarebbe. E la propongono a gran voce la Sigo e le associazioni che sostengono le coppie. «Abbiamo chiesto alle Regioni di rivedere i limiti d’età che regolano l’accesso ai trattamenti» spiega Stefania Tosca. «Ora rischiano di essere un freno enorme, visto che stiamo perdendo mesi di attività. Noi abbiamo fatto la nostra richiesta, ma non si è mosso nessuno. Zero risposte».
Pma, le onlus a cui rivolgersi
Il cammino della Pma è spesso ostico, e non solo dal punto di vista medico-scientifico. Così diventa fondamentale il lavoro delle associazioni al fianco delle coppie. Eccone alcune.
Una strada per un sogno (www.stradaperunsognonlus.it): uno sportello fisico a Milano, convegni organizzati in tutta Italia e tante convenzioni con centri di Pma italiani e stranieri. L’altra cicogna (www.facebook.com/laltracicognaonlus): le sedi operative della onlus sono in Sardegna, Puglia e Lazio, ma incontri e attività di sensibilizzazione proseguono senza sosta. Associazione Cerco un Bimbo (www.cercounbimbo.net/): creata da una coppia che ha fatto la Pma, ha lanciato anche uno storico portale con notizie e informazioni pratiche. Gemme dormienti (www.gemmedormienti. com/): ideata dalla ginecologa Mariavita Ciccarone, è la prima associazione specializzata nella tutela della fertilità delle pazienti oncologiche.