Si erano tanto amati, così tanto da aver immortalato i momenti felici in centinaia di foto, poi prontamente pubblicate su Facebook. Qualcosa come oltre mille scatti organizzati in ben 36 cartelle. Ma una volta finito l’amore, la ex non ne ha voluto sapere di togliere quelle foto dal social network, costringendo l’uomo, un 55enne della provincia di Bari, a rivolgersi al tribunale che gli ha dato ragione in nome della tutela della privacy. La storia non è unica, ma fa discutere perché ancora una volta ripropone il problema della gestione delle immagini in rete. In questo caso, poi, nelle foto postate c’erano anche i figli minorenni dell’uomo. Proprio di recente c’è stato un altro caso che ha avuto come protagonista una donna separata, che si è opposta alla pubblicazione di scatti in cui erano presenti i figli insieme all’ex marito e alla nuova compagna di lui. Ma cosa dice la legge?
Foto di lui/lei sui social: sì o no?
«La legge parla chiaro: la foto è un dato personale, riconosciuto dal Regolamento europeo sulla privacy recepito anche in Italia, dunque per divulgarlo serve il consenso dell’interessato. È il motivo per cui, se andiamo in tv, dobbiamo firmare una liberatoria. Per i social e internet in generale vale lo stesso principio, sempre. Le uniche eccezioni riguardano i casi di legittimo interesse: se, ad esempio, una persona scompare prevalgono gli interessi di ordine pubblico nel ritrovarla, dunque si può diffondere la sua foto per poterla rintracciare anche senza il suo consenso, perché potrebbe essere in pericolo. Oppure se ci sono finalità giornalistiche» spiega l’avvocato Marisa Marraffino, esperta di diritto digitale.
Separazione, le foto dei figli
«Capita sempre più spesso che negli accordi di separazione si chieda di inserire in apposite condizioni il divieto di pubblicazione delle foto dei figli senza esplicito consenso da parte dell’ex. In realtà si tratta di clausole morali e non giuridiche, perché la legge dice già chiaramente che non si possono postare scatti dei figli minori se non c’è consenso di entrambi i genitori. Lo prevede il testo unico sulla privacy, che prevede una tutela rafforzata proprio per i minorenni» spiega ancora Marraffino.
Le foto a scuola, tra siti e profili social
Un altro aspetto che fa discutere e su cui c’è poca chiarezza riguarda anche il consenso alla pubblicazione delle foto dei figli durante le attività scolastiche, come le gite, le recite, le foto di classe, ecc. Ai genitori viene generalmente chiesto a inizio anno un consenso, che può riguardare sia la stampa “fisica” (per cartelloni, diari scolastici, ecc.) sia la pubblicazione online sul sito della scuola. «Diverso, però, è il caso di Facebook, che è un social. Dal momento che sempre più scuole hanno una propria pagina ufficiale, l’istituto deve indicare in modo esplicito la finalità della pubblicazione nel documento in cui chiede l’autorizzazione (la cosiddetta privacy preventiva), perché un conto è la pubblicazione sul sito scolastico, che è un mezzo di comunicazione istituzionale, un altro è su Facebook» avverte l’esperta, che aggiunge: «Io sconsiglio sempre anche gli insegnanti dal creare gruppi Facebook o WhatsApp in cui pubblicare le foto. Spesso questi sostengono che si tratta di gruppi chiusi, ma nella realtà si stanno facendo circolare scatti in un ambiente social, dove il confine diventa labile».
Quando sono i figli a dire “no”
La tendenza social ai selfie riguarda senza dubbio soprattutto i giovani, che dai 14 anni in su in Italia possono iscriversi e avere un proprio profilo, perché questa è l’età dell’imputabilità. Al di sotto di questa età possono comunque farlo, purché ci sia il consenso dei genitori. Ma cresce proprio il numero degli adulti che postano le foto dei figli, spesso senza il loro consenso. «La responsabilità è di padre e madre, purché ci sia accordo tra loro, altrimenti è vietato. Ma è capitato anche che sia stato il minore a chiedere di non postare le foto in cui è ritratto. Nel caso, ad esempio, di affido è intervenuto il tutore che ha bloccato la pubblicazione di foto da parte dei genitori, in nome del principio per cui ciascuno ha diritto alla propria immagine, identità e reputazione, anche digitale» conclude Marraffino.